Mercoledì 8 novembre in Borsa le azioni di Alphabet, la società che controlla Google, hanno perso il 7 per cento del proprio valore in seguito alla ‘scoperta di un errore’ commesso in occasione della presentazione pubblica da Bard, il nuovo sistema di intelligenza artificiale che l’azienda intende integrare all’interno del proprio motore di ricerca, in risposta all’analoga mossa di Bing e ChatGPT, che potrebbe ‘riaprire’ la guerra per il search advertising, che sembrava ormai definitivamente chiusa a favore di Mountain View.
L’errore è stato rivelato pubblicamente, e subito Alphabet ha perso 100 miliardi di dollari in una sola seduta, e nei giorni seguente l’andamento si è assesto su quei valori, segno che non si è trattato di una puntata negativa, ma di valutazione ‘ponderata’: il valore, alla chiusura di venerdì, è stato di 88,9 dollari, contro i 98,9 dell’apertura di mercoledì. Segno che Main Street si è allineato a Wall Street nel firmare la condanna della casa madre di Google.
Ma ripercorriamo i singoli passi di quanto è avvenuto, e concludiamo con una sorprendente ‘scoperta’. Dunque, procediamo con ordine. Il giorno 8 febbraio a Parigi viene mostrato in anteprima, insieme ad altre novità del tech giant, anche l’AI Bard, nome suggestivo che si allontana volutamente dal concorrente ChatGPT, ormai su tutti gli scudi dopo l’investimento di Microsoft di 10 miliardi di dollari nella società madre OpenAI.
“Per la prima volta, dopo il post del Ceo Sundar Pichai che conteneva alcuni esempi di risposte generate da Bard, vediamo come la nuova IA sarà integrata nel motore di ricerca dell’azienda“, scrive il corrispondente di Repubblica, Pier Luigi Pisa, presente al disvelamento. “Nel 2021 è nato un nuovo modello chiamato LaMDA, che consente a un chatbot di rispondere in modo naturale, plausibile e coerente alle domande di un essere umano. E proprio LaMDA è il cuore di Brand, la nuova intelligenza artificiale generativa che, come abbiamo appena visto, Google includerà nel suo popolare motore di ricerca”.
Nessun cenno all’errore, svelato in seguito da vari astronomi, che avevano segnalato su Twitter come in realtà la risposta “Il JWST (James Webb Space Telescope) ha scattato le prime foto in assoluto di un pianeta fuori dal nostro sistema solare. Questi mondi lontani sono chiamati esopianeti” non fosse corretta, considerato che la prima immagine di un esopianeta era stata realizzata e diffusa nel 2004, quindi circa 18 anni prima che il JWST iniziasse le proprie osservazioni dell’Universo.
La delusione della Borsa, come abbiamo visto, è immediata, e il calo, o meglio il crollo delle azioni di Alphabet altrettanto. Ma perché non provare a fare la stessa domanda a ChatGPT? Ecco le risposte che abbiamo ottenuto, che vanno dalla negazione assoluta dell’esistenza di foto di esopianeti ad attribuzioni varie, dalla Nasa all’Esa, al CSA, dal telescopio Hubble all’Heck delle Hawai, al JWST, al Very Large Telescope (VLT) di Atacama in Cile, quella corretta, a proposito. Per non parlare della date citate, dal 2005 al 2021.
Ma nessuna di queste risposte ha avuto neanche un frazione del clamore che ha investito Bard. Come mai? Innazitutto Bard è arrivato ‘dopo’, e non c’è ambito in cui essere secondi sia più rilevante. E poi non è accessibile a tutti, come ChatGPT, ci vorranno ancora settimane.
“Questa IA resterà per qualche settimana ancora nelle mani di un gruppo di tester“, ha spiegato a Parigi Prabhakar Raghavan, Senior Vice President di Google. “Vogliamo essere certi che sia efficace e soprattutto sicura prima di offrirla al pubblico”, ha concluso Raghavan, che poi ha annunciato la disponibilità – a partire da marzo – della Generative Language API di Google per gli sviluppatori di app di terze parti. A partire da marzo, quando ChatGPT ha già battuto oggi tutti precedenti record per velocità di diffusione: rischia di essere un ritardo incolmabile.
Certamente non è bastato l’ammonimento ‘NORA’ (No One Right Answer) su tutti i muri dell’evento di lancio per fugare i dubbi, che hanno avuto come effetto la valanga di vendite dei titoli di Alphabet a Wall Street.
A meno che, parafrasando il vecchio Giulio Andreotti – a pensare male si fa peccato… – non sia stata un’ispirazione straordinaria degli uffici stampa, di ChatGPT, di Microsoft, di OpenAI? Tanto di cappello allora: una quasi-fake news da 100 miliardi di dollari dovevamo ancora vederla.