Curiosa quanto meno la coincidenza temporale. Da oltreoceano rimbalza la notizia che Facebook attiva la funzione di Shopping anche su Whatsapp (oltre due miliardi di utenti nel mondo), per completare, nell’anno dell’esplosione definitiva dell’eCommerce, la triade di campioni – a Whatsapp si aggiungono Facebook e Instagram con le rispettive funzioni Shop attive da parecchi mesi – e negli Stati Uniti la Federal Trade Commission e 48 entità dei 50 Stati che compongono la Federazione comunicana di aprire le causa legali contro il gigante dei Social Media.
E in Europa sono in arrivo i due provvedimenti antitrust contro i colossi del web (non solo Facebook dunque) che saranno presentati alla UE da Margrethe Vestager e Thierry Breton, i due commissari competenti per il digitale.
Ma il Governo Federale USA (ancora rappresentato dal presidente in carica Donald Trump) è decisamente contrario a queste misure, e ha anticipato una posizione di netta chiusura alle iniziative, minacciando sanzioni in caso venissero applicate.
Una situazione a dir poco complessa. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine partendo dalla notizia che Whatsapp si allineerà alle altre società di Facebook nel social shopping, ovvero la possibilità di acquistare prodotti con un semplice click, senza uscire dalla app. Un passo molto logico, in vista di una futura fusione della tre app in quanto emanazione della stessa azienda. Il solo problema, non di poco conto, è che Facebook aveva promesso, nel corso del processo per ottenere il nulla osta dell’Antitrust USA, che i dati, i numeri telefonici e le identità personali dei due social sarebbero rimaste separate.
Il social shopping, a stretto rigore di termini, non equivale a una commistione delle società: le tre app continueranno a esistere separatamente, ma questi indizi e i recenti cambiamenti delle regole per gli utenti di Whatsapp fanno pensare che qualche cosa stia bollendo in pentola, nelle segrete stanze di Menlo Park.
Ecco allora che cade a fagiolo che la Federal Trade Commission abbia cominciato a interessarsi di Facebook. “Abbiamo iniziato oggi la causa a Facebook”, si legge sul sito della FTC, che spiega come l’azienda stia illegalmente mantenendo il proprio monopolio nel mondo dei social network grazie ad una reiterata condotta anti-concorrenziale. “A seguito di una lunga investigazione condotta in collaborazione con una coalizione di 46 procuratori generali di altrettanti Stati, più quello del Distretto di Columbia e del territorio non incorporato dell’isola di Guam” si legge ancora sul sito, “la causa sostiene che Facebook abbia perpetrato una strategia sistematica per eliminare minacce al suo monopolio, compreso il caso dell’acquisizione dell’allora quasi rivale Instagram, nel 2012, dell’acquisizione del 2014 dell’app di messaggistica di WhatsApp, e l’imposizione di condizioni anticompetitive agli sviluppatori di software. Questa condotta ripetuta danneggia la concorrenza, lasciando ai consumatori poche scelte per la propria attività social, e priva gli inserzionisti dei vantaggi della competizione”.
L’FTC chiede una ingiunzione permanente dalla Corte Federale (si legge ancora sul loro sito) che potrebbe, fra le altre cose, imporre il disinvestimento di alcuni asset, inclusi Instagram e WhatsApp, vietare a Facebook di imporre condizioni anti-concorrenziali agli sviluppatori, nonché richiedere a Facebook di ottenere un’approvazione preventiva in vista di future fusioni e acquisizioni. La strada è ovviamente molto lunga, a partire dall’ottenimento stesso di una sentenza di condanna.
“Il nostro obiettivo è ‘riavvolgere’ la condotta anticoncorrenziale di Facebook e ristabilire la concorrenza cosicché l’innovazione e la libera concorrenza possano prosperare”, dichiara sempre sul sito Ian Conner, Direttore del Dipartimento per la Concorrenza dell’FTC.
Basti pensare alle ingiunzioni antitrust nei confronti di colossi quali la Standard Oil o la Bell Telephone, che sono alla fine effettivamente arrivate a sentenza, per concludere che ci vorranno parecchi anni per ottenere una decisione.
Non si sono fatte attendere le risposte di Facebook, quale capogruppo. Jennifer Newstead, Vice-Presidente e General Counsel di Facebook, ha infatti diffuso una nota in cui si legge, fra le altre cose, che “entrambe le acquisizioni (di Instagram e WhatsApp) erano state riesaminate dai competenti uffici dell’antitrust, all’epoca. L’FTC aveva condotto un’approfondita seconda indagine sull’acquisizione di Instagram nel 2012 prima di votarne all’unanimità l’approvazione. La Commissione Europea aveva esaminato l’acquisizione di WhatsApp nel 2014 e non aveva rilevato alcun rischio di danno alla concorrenza in nessuno dei mercati potenziali. Le autorità avevano correttamente permesso l’avanzamento di questi accordi perché non rappresentavano minaccia alla concorrenza”.
Una posizione difensiva che si appoggia alla decisioni del passato da parte della stessa FTC, per sostenere che tutto venne fatto secondo le regole. Ma poi prosegue sottolineando che si rischia di lanciare a imprenditori e investitori il messaggio che “nessuna transazione sarà mai definitiva, poco importa il danno ai consumatori o il raggelante effetto sull’innovazione”. E oltre a essere “revisionismo storico”, prosegue la Newstead, “non è così che l’antitrust dovrebbe operare”. Guerra aperta dunque tra FTC e 48 entità statali da un lato e il gruppo social più grande del mondo dall’altro.
La necessità di maggiore concorrenza è sentita anche in Europa: una delle due iniziative prima citate, il Digital Market Act (DMA), introdurrà una serie di regole per rompere le posizioni dominanti sul web di colossi come Google, Facebook, Amazon, Youtube, Apple, Yahoo o Microsoft e cercare di aprire il mercato a nuove aziende. Mentre l’altra, il Digital Service Act (DSA), vuole impedire che le piattaforme si facciano scudo con la mancanza di responsabilità per quello che viene detto, scritto o filmato da terzi sui loro sistemi. Anche qui un bel po’ di lavoro per la Commissione Europea.
E in più la posizione ondivaga assunta dal Presidente Trump al riguardo. Lo scorso giugno accusava Brussels e affermava che che le azioni dei regolatori europei erano dovute all’odio per gli USA, sostenendo che le azioni giudiziare su Facebook e Google dovrebbe aver luogo negli Stati Uniti e non nell’Unione. “Odia gli USA più di qualsiasi altra persona che ho conosciuto”, aveva affermato Trump riferendosi al Commissario per la Concorrenza Europeo, Margrethe Vestager, “Vuole far causa e multare tutte le società americane: Amazon, Facebook, Google e Apple”, arrivando a minacciare dazi contro l’industria europea dell’auto, che esporta negli USA i suoi modelli più costosi e redditizi.
Ma era un’altra epoca, prima del Covid e delle ultime elezioni di novembre. Chissà come la pensa ora? Una cosa è certa: da entrambe le parte dell’Atlantico gli studi legali più famosi stanno preparandosi a combattere la ‘madre di tutte le battaglie’, legali si intende.