Digital transformation e maturità digitale sono keyword quasi obbligatorie in qualsiasi profilo aziendale. Ma che cosa significano in concreto? Quali sono i KPI utili per valutare questo non facile percorso? Quali sono i modelli di riferimento? Ne parliamo con Alberto Giannini, Founder e CEO di IC DIGITAL, agenzia la cui vision è ‘ieri digital presence, oggi conversione marketing, domani sempre alla ricerca del giusto cambiamento’. Un obiettivo ambizioso, ma le risposte alle nostre domande sono piene di concretezza e realismo.
“Nella letteratura, specie in quella anglosassone, si sprecano i riferimenti a questi concetti, che vengono esaminati ed eviscerati in tutti i modi e in funzione di tutti gli obiettivi”, esordisce Giannini. “Ma non si può evadere dalla prima ‘costrizione’ che obbliga a essere concreti: il profilo dei clienti italiani, in larga misura rappresentati da piccole e medie imprese. Ed ecco allora che nel nostro modello di relazione, che è molto apprezzato dai nostri clienti, come testimonia anche la durata degli incarichi che riceviamo, vuole innanzitutto aiutare le aziende a crescere, facendo un lavoro graduale e misurabile, giorno per giorno. I KPI utili sono rappresentati dalle stesse risposte a un questionario che sottoponiamo inizialmente alle aziende, non per emettere un giudizio di merito, al contrario: per fotografare una realtà da cui inizia il nostro percorso comune, un’istantanea di ciò che è – e non sarà più – quando averemo iniziato a lavorare insieme”.
Ma qual è l’approccio strategico per raggiungere l’obiettivo finale della digital transformation: quali sono i passi da compiere? Come ci si rapporta con lo stato di fatto dei progressi aziendali?
Ogni risposta di questo genere va calata nel contesto del segmento di mercato in cui il cliente è attivo: il che, traducendo il concetto su un piano pratico, significa che i team interessati, tanto in azienda, quanto in agenzia, devono far proprio l’obiettivo da raggiungere. Qui la parola chiave è ‘misurare’. Facendo proprio il – vecchio ma sempre attuale – modello dell’orologio: progetta, disegna, metti in opera, misura e poi ricomincia, fino a quando tutto non funziona come ci si aspetta teoricamente. Significa in altre parole cercare e trovare gli strumenti di misurazione più adatti al contesto, in una continua ricerca delle misurabilità più accurata possibile.
Si parla sempre di obiettivi realistici, mirando a una crescita del 20-30% del traffico organico anno su anno, e un incremento rilevante della conversion. Anche in questo caso dipende sempre dai valori da cui si parte nel percorso intrapreso. Prendiamo per esempio un eCommerce che converte una frazione irrisoria dei clienti, quando la media internazionale si aggira sul 4-5%: in questi casi gli incrementi possono essere addirittura stupefacenti, come spesso accade quando i numeri sono davvero bassi e sono ancora da sfruttare tutte le potenzialità inespresse del sito.
Quale dev’essere il compito dell’agenzia che affianca l’azienda? Come si può conciliare il duplice ruolo di ‘formatore’ per accompagnare lo sviluppo delle competenze interne, e di consulente operativo per vicariare l’azienda in quegli ambiti dove non è ancora pronta a intervenire in prima persona?
Noi viviamo questo duplice ruolo da sempre: abbiamo iniziato a lavorare nel 1999, ancora prima di WordPress praticamente. In tutti questi anni è stato parte del nostro DNA trasferire e condividere competenze con gli AD e i manager che incontriamo e con cui ci confrontiamo. Posso citare come esempio il fatto che, dall’analisi di un sito internet di eCommerce, abbiamo contribuito a far evolvere i processi sia commerciali sia di produzione di un’azienda manifatturiera, poiché sono stati in questo modo individuati insight talmente significativi da far uscire dalle SKU alcuni dei loro prodotti. Perché è la data analysis, che noi preferiamo chiamare data intelligence vista la sua profondità, l’elemento chiave, a livello strategico, del nostro intervento come consulenti. Poi ci sono anche tutte le altre attività a livello più tattico, quali l’ideazione delle campagne, l’automazione dei processi di marketing, il miglioramento del customer service, e così via.
Nel nostro percorso, in altri termini, l’azienda dovrebbe dotarsi poco a poco di tutte le competenze: prima a livello operativo, poi a livello di progettazione, e per arrivare infine ad affrontare l’ultimo livello, quello strategico. Ma porsi l’obiettivo di realizzare tutta questa attività rigorosamente all’interno dell’azienda significa privarsi della ‘contaminazione’ evolutiva, chiudersi in una ridotta difensiva, senza più ascoltare le ‘voci’ che arrivano dal mercato e degli stessi clienti/consumatori. Per questo noi preferiamo sviluppare lavori e collaborazioni medio-lunghe, tre o cinque anni almeno. Rifiutiamo cioè le logiche che sono alla base dell’attuale approccio di mercato: faccio una gara all’anno, cambio agenzia e risparmio. Questa estrema ricerca della migliore offerta non paga più, nel medio periodo.
Un tema comune per aziende e agenzie è la ‘ricerca dei talenti’: come ci si può organizzare in tale ambito? Quali gli step per selezionare e far crescere le potenzialità specifiche ancora non totalmente espresse?
Questo secondo me è un falso tema. Piace molto alle grandi agenzie creative internazionali, che alla fine si fanno concorrenza sul reperimento delle stesse professionalità, che possono vantare un Palmares di Leoni. Per noi la situazione è diversa; abbiamo bisogno di persone che vogliano innanzitutto lavorare nel nostro settore, intendo vogliano davvero. Perché nella mia visione imprenditoriale questo è alla base del desiderio di ‘diventare’ talenti, qualunque cosa ciò voglia dire. Non è una cosa innata, tranne casi rarissimi, ma è il frutto di un processo costante di applicazione e di crescita, in qualsiasi settore si scelga di lavorare. Il mio ‘sogno’ è che le agenzie come la nostra possano essere gli ‘incubator’ di questi talenti per le imprese. Sogno un’azienda che mi dica: questi sono gli incarichi per i prossimi anni, e alla fine assumerò le persone che tu hai costruito, allevato, preparato e ‘certificato’. Ma con le imprese sempre più legate a una visione ‘trimestrale’ dei risultati, senza spazi per investire nelle sperimentazioni di nuovi prototipi, di nuovi prodotti che venderanno tra cinque anni, temo che questo resterà davvero un sogno.
Vorrei chiudere con un’ultima considerazione: fare digitale in maniera seria non può prescindere da un investimento adeguato, pena ritrovarsi a combattere con chi è disposto ad accettare incarichi sottopagati senza avere però le competenze necessarie a portarli a termine adeguatamente.