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Agenda Digitale: l’Italia fa progressi ma rimane quintultima in Europa. È la Lombardia la regione più digitale

Nel 2019 l’Italia ha fatto importanti passi avanti nel percorso di digitalizzazione. La collaborazione tra Team digitale e AgID ha permesso di avviare la costituzione di un vero e proprio “sistema operativo” per il nostro paese: una serie di componenti fondamentali sui quali costruire servizi più semplici, accessibili ed efficaci per cittadini, PA e imprese attraverso soluzioni digitali innovative.

Questi progressi non trovano ancora conferme nelle classifiche internazionali. Sul Digital Economy and Society Index (DESI), che misura lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale nei Paesi europei, l’Italia si colloca al quintultimo posto, con un ritardo in particolare nelle aree delle competenze digitali e dell’uso di Internet, lontana da paesi a lei simili come Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. Le aree di maggior ritardo sono il capitale umano (26° posto), l’uso di Internet (25°) e l’integrazione delle tecnologie digitali (23°), mentre nella connettività (19°) e nei servizi pubblici digitali (18°) si registrano i maggiori progressi. Stiamo crescendo più velocemente rispetto al resto d’Europa: il nostro punteggio complessivo sul DESI è migliorato di 5 punti (da 38,9 nel 2018 a 43,9 nel 2019), contro i 2,7 punti della media europea.

Le aree su cui è più urgente intervenire sono quelle relative all’utilizzo delle tecnologie digitali da parte di imprese e cittadini, perché esiste una forte correlazione fra il benessere di un Paese e la sua maturità digitale. Inoltre, bisogna accelerare i processi di impegno e spesa delle risorse per l’Agenda Digitale: l’Europa ha messo a disposizione complessivamente 11,5 miliardi di euro (1,65 miliardi di l’anno) dal 2014 al 2020, il 77% (1,27 miliardi l’anno) da fondi strutturali di cui a fine 2018 sono stati spesi meno del 16%.

Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano presentata al convegno “Italia digitale: la macchina è pronta a correre?”.

“L’Italia non migliora ancora in modo sostanziale la posizione complessiva nelle classifiche internazionali sul livello di digitalizzazione, ma nel 2019 molto è stato fatto per recuperare il divario con gli altri paesi”, afferma Alessandro Perego, Responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation. “Abbiamo realizzato le fondamenta del processo, avendo finalmente capito che le tecnologie digitali rappresentano le nuove infrastrutture portanti dello sviluppo del nostro Paese. Per incidere veramente ora serve una visione di lungo periodo in cui la trasformazione digitale guidata dalla PA diventi la base per la crescita economica nei prossimi anni. Per far correre l’Italia digitale, la macchina pubblica deve accelerare lo switch-off dei suoi servizi a cittadini e imprese, collaborare meglio con quest’ultime ripensando i processi di procurement, sperimentare tecnologie emergenti con pragmatismo e definire roadmap di trasformazione digitale chiare, in un continuo confronto con gli altri Paesi e tra i nostri territori”.

Un DESI per le regioni italiane

L’Osservatorio ha sviluppato un indice DESI a livello regionale per fornire un quadro più approfondito delle priorità di digitalizzazione per il nostro Paese. Tutte le regioni italiane si posizionano sotto la media europea. La regione più digitale è la Lombardia, seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma di Trento, Liguria, Toscana e Piemonte. La Calabria è ultima in classifica con 20,4 punti, preceduta da Molise, Abruzzo e Basilicata.

“La digitalizzazione può essere un ottimo strumento di integrazione delle diverse aree del Paese, ma purtroppo il gap tra Nord e Sud, già rilevato negli anni passati, non è ancora stato colmato”, afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale. Delle nove regioni sopra la media italiana, sette sono del Nord e due del Centro, mentre tutte le ultime in classifica (sotto i 30 punti) sono nel Mezzogiorno”.

Le frontiere della digitalizzazione in ambito pubblico

L’innovazione digitale inizia a diffondersi nel pubblico: cresce l’interesse per le iniziative di Smart Working e Blockchain, anche se i progetti non sono maturi, mentre sono ancora poche le startup digitali che lavorano con la PA. Nel dettaglio, nel 2019 è raddoppiato il numero di PA italiane che hanno attivato iniziative strutturate di Smart Working rispetto al 2018, passato dall’8% al 16%. Ma solo il 23% dei progetti in ambito pubblico è a regime, il 32% è in fase di estensione e il 45% è in corso di sperimentazione. È alto l’interesse per progetti di Blockchain, il cui uso in ambito pubblico è in crescita già da qualche anno (+300% dal 2016 a oggi nel mondo). Con 15 progetti avviati, l’Italia è tra i Paesi che stanno conducendo più sperimentazioni, in particolare per migliorare la gestione di documenti scambiati tra PA e cittadini. È agli inizi la collaborazione con le startup: sono 212 in tutto il mondo le startup digitali finanziate che offrono soluzioni alla PA, la maggior parte con sede in USA (110), 58 in Europa, ma una sola è italiana. Considerando anche le non finanziate, in Italia si stima che meno del 10% delle startup lavori con la PA.

“La PA può e deve giocare un ruolo centrale nello sviluppo delle tecnologie digitali, a beneficio dell’intero sistema paese”, afferma Giuliano Noci, Responsabile scientifico degli Osservatori Digital Innovation. Pertanto, a differenza di quanto avvenuto in passato, è necessario che venga superata la logica del campanile nella prospettiva di mettere a sistema risorse, esperienze e competenze in materia digitale così da concentrare gli sforzi nello sviluppo di soluzioni tecnologiche e organizzative a supporto di enti che, per dimensione e tipologia, non sono in grado di portare avanti autonomamente un percorso di digital innovation”.

Procurement ed eProcurement in ambito pubblico

Il mercato di soluzioni digitali della PA vale 5,8 miliardi di euro, appena l’8% del mercato digitale italiano, ed è concentrato nelle mani di pochi attori: solo il 15% dei fornitori di ICT lavora con la PA mentre i primi 10 fornitori per fatturato coprono il 49% di quanto speso dalla PA in SPID, ANPR e pagoPA. E poi c’è il tema dei tempi di gara, non allineati ai contesti privati. Questo insieme di fattori strutturali rischia di vanificare ogni tentativo di usare il procurement come leva di trasformazione digitale.

“I tempi delle gare sono ancora troppo lunghi: mediamente, una gara pubblica in tecnologie digitali è assegnata 4,5 mesi dopo la scadenza per presentare le offerte. “Le gare di oltre 1 milione di euro richiedono più di 6 mesi”, afferma Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale. E in queste tempistiche non sono considerati i tempi per la preparazione delle gare e quelli per gestire i ricorsi, usati spesso in modo strumentale dalle aziende escluse”.

Le gare Consip relative a soluzioni digitali attivate dal 2016 al 2023 hanno un valore complessivo di 5,3 miliardi di euro, il 55% già speso dalle PA, e nuove sono previste entro il 2020. Le gare hanno consentito di portare avanti la trasformazione digitale della PA in un quadro di forte incertezza normativa: a 3 anni dalla pubblicazione del Codice dei contratti pubblici, sono stati adottati solo 24 dei 56 provvedimenti attuativi per renderlo pienamente operativo. D’altro canto, è necessario incentivare gli appalti innovativi e favorire le collaborazioni tra PA e imprese. Solo il 30% dei Comuni gestisce le fasi di gara completamente in digitale e i processi di procurement pubblico sono spesso gestiti male: l’83% dei comuni non analizza le performance dei processi d’acquisto.

L’Italia è tra i paesi europei con la maggiore disponibilità di soluzioni digitali nei processi di procurement pubblico, che tuttavia non si riflette in implementazioni coese su scala nazionale. Una governance forte farebbe da contrappeso alle criticità esistenti anche a livello normativo.

E proprio sul tema della governance interviene Giuliano Noci: “Abbiamo bisogno di un “sano” centralismo: le continue concertazioni portano inevitabilmente a delle mediazioni. In questo momento abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda la responsabilità delle decisioni, accompagnando i vari enti in un percorso differenziato di raggiungimento degli obiettivi prefissati. Per fare questo bisogna aver ben chiara la road map strategica: la tecnologia non deve essere un obiettivo a ogni costo ma uno strumento. L’obiettivo, quello vero, è essere utili ai cittadini”.