di Monica Gianotti
AIRC è la principale organizzazione non-profit per il finanziamento della ricerca oncologica indipendente in Italia, grazie alle donazioni di cittadini e aziende che ne condividono la missione: una comunità di persone impegnate a rendere il cancro sempre più curabile. Dal 1965 ha investito oltre 2,3 miliardi di euro in migliaia di progetti di ricerca che hanno prodotto risultati concreti per la prevenzione, la diagnosi e la cura del cancro, e hanno contribuito alla crescita della comunità scientifica italiana e alla formazione dei suoi giovani talenti. AIRC raccoglie fondi grazie a 4 milioni e mezzo di sostenitori, 20 mila volontari e 17 uffici territoriali, e li assegna in modo trasparente ai progetti di ricerca sul cancro più meritevoli, a cui oggi lavorano circa 6 mila ricercatori in oltre 100 istituti in tutto il territorio. Diffonde la cultura della salute e della prevenzione nelle scuole, nelle piazze, nelle aziende e attraverso i mezzi di comunicazione.
Come tutti i brand anche AIRC sta affrontando la sfida di riuscire a coinvolgere le nuove generazioni, target sfuggente per definizione ma che, se ingaggiato, può fare la differenza sia in termini di prevenzione sia in termini di raccolta fondi. Chiara Occulti, Chief Marketing & Fundraising Officer Fondazione AIRC e Nicola Gotti, Chief Creative Officer BITMAMA (BUSINESS UNIT DI REPLY DIGITAL EXPERIENCE) ci raccontano come stanno provando a farlo, insieme.
Quali sono gli obiettivi del vostro nuovo posizionamento e cosa vi ha convinto di più della proposta di Bitmama?
Chiara Occulti: Il nostro obiettivo era creare una piattaforma di comunicazione che ci aiutasse a essere credibili e contemporanei sia per i nostri attuali sostenitori, sia per le nuove generazioni, quella dei millennial in primis ma anche della Gen Z, in ottica futura. Ci rendiamo conto che la nostra missione rispetto ad altre è meno ‘vicina’ a queste generazioni, più attente – forse – a tematiche di tipo ambientale e di inclusione. Tranne situazioni personali la malattia è qualcosa che i giovani sentono distante. E invece, lo sappiamo dai numeri, il cancro ormai è un’emergenza sociale ed è qui che diventa fondamentale ingaggiare anche i pubblici giovani, sia in ottica di prevenzione sia di potenziale donazione futura. Avevamo anche l’esigenza di trovare un filo conduttore narrativo, in grado di amplificare e dare consistenza a tutte le iniziative che facciamo nel corso dell’anno, creando una brand experience coerente su tutti i canali.
A questo scopo abbiamo organizzato un pitch piuttosto complesso e articolato che ha visto coinvolte 6 diverse agenzie e che ci ha portato a una short list di 2 proposte, sia attraverso un lavoro di scrematura che ha fatto il team AIRC al suo interno sia attraverso un percorso di test quali-quantitativo. Noi ci eravamo già innamorati dell’idea di Bitmama, ma abbiamo voluto coinvolgere anche i donatori attuali e potenziali per decretare l’idea vincente.
Mai come oggi la comunicazione no profit deve convincere, arrivando alla testa e al cuore delle persone. Come la vostra creatività si è messa al servizio di Airc?
Nicola Gotti: È stato un pitch complesso per gli obiettivi e la profondità richiesti ma anche perché il lavoro strategico non aveva il fine di ‘vendere un prodotto’ bensì quello di creare una piattaforma con un purpose molto più importante. Una delle prime ambizioni che ci siamo dati è stata quella di trasformare AIRC in un ‘lovemark’ per creare una connessione emotiva profonda e duratura, attribuendo al marchio stesso un valore semantico che trasferisce l’impegno non solo verso i donatori, ma verso l’intera società, riducendo le distanze e incentivando la partecipazione. Per farlo abbiamo messo in campo il nostro framework strategico ‘Makes me feel’ che ci ha aiutato a identificare non soltanto un posizionamento rappresentato da un payoff ma un insieme di linee guida strategiche, in grado di suscitare un senso di partecipazione a un movimento che affronta il cancro con l’unico strumento in grado di farlo in maniera efficace, la ricerca.
In uno scenario complesso come quello che la fondazione ha di fronte, sono veramente tanti gli output di comunicazione che devono lavorare in maniera sinergica sulle diverse segmentazioni di pubblico. La nostra metodologia ci ha aiutato a identificare l’attitudine con cui comunicare alle diverse audience, un’attitudine volta a ‘far vedere il bicchiere mezzo pieno’. E così in ogni in ogni idea teniamo conto di questa sensazione da provocare: senso di appartenenza a una comunità che ti aiuta a vedere un futuro diverso.
La comunicazione del no profit non lascia dubbi sull’efficacia: se una campagna funziona la si misura in termini di raccolta fondi. Per una fondazione come AIRC quanto è importante il lavoro strategico sul brand e sul fundraising?
Chiara Occulti: In realtà vedo un’assoluta sinergia tra il lavoro fatto sul brand e quello fatto sulla raccolta fondi. I due aspetti devono viaggiare a braccetto, l’uno a supporto dell’altro. La necessità di ingaggiare le nuove generazioni è proprio in ottica della longevità della nostra fondazione. Abbiamo un parco donatori molto fedele che ci supporta da tanti anni ma che sta fisiologicamente ‘invecchiando’ quindi abbiamo bisogno di trovare lo stesso entusiasmo, la stessa energia, lo stesso supporto anche da parte delle nuove generazioni. E per questo il lavoro sulla comunicazione e sul brand è assolutamente strategico e strumentale.
Avete creato una piattaforma di comunicazione, non una semplice campagna. Qual è lo storytelling che avete in mente?
Nicola Gotti: Il nostro storytelling opera su due livelli distinti ma complementari. Il primo ha l’obiettivo di sensibilizzare, cioè rendere consapevole la comunità, tutte le persone, anche quelle che non si sentono coinvolte. Il secondo potrei definirlo un ‘abbraccio’ alle persone che ogni giorno vivono la malattia per fare sentire loro calore e vicinanza, in ogni momento, ma anche ai ricercatori per la nobile causa a cui hanno deciso di dedicare la loro vita e ai donatori che sostengono tutto questo. Il racconto visivo entra letteralmente nell’intimità del brand. Abbiamo esploso il logo trasformandolo in una cornice che accompagnerà tutto il racconto di marca per stabilire la leadership in termini di immagine – dalla comunicazione tv all’out of home, dal digital ai social fino ad arrivare sul territorio, nelle piazze, che sono una parte fondamentale del lavoro di AIRC. È proprio questa vicinanza alla community che vogliamo trasferire all’interno delle occasioni di comunicazione. Attraverso uno sguardo o una stretta di mano si riescono a creare ponti emotivi che entrano nel cuore senza mai ricorrere alla pietà come tecnica di persuasione.
‘Affrontiamo il cancro. Insieme’ è il payoff di brand semplice, chiaro e diretto, rappresentativo dell’evoluzione del linguaggio di marca che stiamo portando avanti insieme e volto a comunicare in modo concreto senza troppi fronzoli. Come dice il film manifesto nell’insolito attacco su nero ‘non è facile credere in quel che non si vede’ per questo lo storytelling è sempre accompagnato da ‘datatelling’, dati della ricerca che evidenziano i passi avanti che sono stati fatti in questi anni grazie al sostegno dei donatori. AIRC ogni giorno c’è e ogni giorno vede il cancro da vicino, grazie alla conoscenza dei suoi ricercatori. Nella prima campagna – quella dedicata alle Arance della Salute – i dati sono accompagnati da tre semplici lettere come line: ‘DAI’, una parola estremamente breve ma che rende assolutamente l’idea della concretezza di cui c’è bisogno davanti a queste tematiche. Il ‘dai’ è un’esortazione a fare prevenzione, è un’esortazione a crederci e, chiaramente, un’esortazione a sostenere e a perseguire un qualcosa che ‘non si vede’ ma che si può – e si deve – conoscere.
La vostra è una vera e propria community di persone che si mobilita per ‘affrontare il cancro insieme’, sostenendo la ricerca e promuovendo la prevenzione. Quali progetti metterete in campo per continuare a fidelizzarla, coinvolgerla e alimentarla?
Chiara Occulti: La comunità è il nostro punto di forza e si compone di tante parti. Partiamo dai volontari: abbiamo sul territorio oltre 20mila volontari che tre volte all’anno si ritrovano in piazza per la distribuzione dei nostri prodotti solidali. Il primo appuntamento dell’anno è stato quello delle Arance della Salute, che ha visto il lancio della nostra nuova piattaforma di comunicazione. Seguirà la Festa della Mamma a maggio, con l’Azalea della ricerca, per concludere a novembre con i Cioccolatini della ricerca. Senza i volontari non esisteremmo perché non saremmo in grado di raggiungere le oltre 3.500 piazze su tutto il territorio nazionale. Quindi il loro coinvolgimento è per noi fondamentale e strategico. Per conoscerli meglio e mantenere attiva questa relazione nel corso dell’anno organizziamo momenti loro dedicati con webinar, iniziative di formazione, coinvolgimento in varie forme.
Un altro elemento cruciale e vitale sono i nostri donatori. Anche con loro stiamo facendo un lavoro volto a comprenderli meglio, mettendoli al centro e cercando di individuare le loro caratteristiche non soltanto di ‘generosità’, quindi legate al mondo donativo di per sé, ma anche di stili di vita e demografiche, per riuscire a creare una relazione il più possibile indirizzata rispetto alle loro esigenze.
E poi, naturalmente, ci sono i ricercatori, protagonisti fondamentali e strumentali al raggiungimento della nostra missione che è quella di trovare la cura per tutte le forme di cancro. La ricerca è cura e l’unico modo per rendere il cancro sempre più curabile è la ricerca. Ogni anno supportiamo 6000 ricercatori che lavorano in oltre 100 istituti su tutto il territorio, alcuni di loro li abbiamo seguiti nello sviluppo di tutta la loro carriera professionale, fino a vederli diventare rappresentanti dell’eccellenza della ricerca italiana riconosciuti a livello internazionale. Abbiamo messo a punto anche programmi speciali dedicati alla crescita di una nuova generazione di giovani scienziati, per offrirgli la possibilità di fare ricerca in Italia ad altissimi livelli.
Non possiamo dimenticare, infine, tutto il mondo delle aziende che sono al nostro fianco. Anche con loro è indispensabile creare delle relazioni, delle partnership che siano in ottica win win. Ritengo che sia necessario evolvere da un ‘modello di beneficienza’ vecchio stampo verso la creazione di veri e propri progetti integrati. Le aziende richiedono una progettualità che sia customizzata, che integri le loro strategie aziendali in un contesto competente e trasparente, a maggior ragione nel momento in cui la parte di ESG diventa sempre più strategica. E noi siamo il partner ideale di quella ‘S’…
Nell’ottica di una strategia omnichannel quali strumenti metterete in campo e che ruolo avrà la tecnologia per creare engagement e attrarre anche le generazioni più giovani?
Nicola Gotti: Innanzitutto stiamo costruendo un percorso e abbiamo diviso per priorità le azioni che dobbiamo portare a terra. Il lavoro che stiamo facendo oggi guarda ai giovani, già a partire dalla strategia. Abbiamo cominciato con un cambio di linguaggio importante, fondamentale per parlare a questo target. Abbiamo ascoltato molto il web grazie agli strumenti proprietari che abbiamo in Reply come la piattaforma Sonar che ci permette, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, di rendere molto veloci ed efficaci le ricerche su sentiment e percezione che gli utenti hanno rispetto a un brand.
Tuttavia, pur facendo parte di un gruppo tecnologico come Reply mi sento di sottolineare che non è la tecnologia che guiderà la comunicazione ma sono le esigenze di comunicazione che andranno a identificare i giusti territori. E questo è ciò che faremo: esplorare paradigmi che non sono quelli canonici dell’advertising – ad esempio il gaming – per identificare nuove strategie e azioni concrete volte prima a educare e poi ‘portare a bordo’ le nuove generazioni. In sintesi non si tratta solo di algoritmi e analisi; si tratta di comprendere e rispondere alle esigenze su larga scala. AIRC ha una segmentazione del proprio pubblico davvero notevole, e questo lavoro molto approfondito che abbiamo ereditato come Bitmama ci impegneremo a metterlo a regime sfruttando la tecnologia per modulare i messaggi su larga scala in maniera più precisa, utilizzando il linguaggio più adatto a creare una connessione forte con la community AIRC.
Il ‘5 per mille’, motore della ricerca
“Il 15 aprile è partita la campagna sul ‘5 per mille’ che per AIRC è la più importante dell’anno in termini di raccolta fondi. Noi siamo nell’ambito del non profit la fondazione che ha più firme esplicite, questo significa che ogni anno circa 1 milione e 600mila donatori decide di devolvere il suo 5 per mille ad AIRC. Tuttavia, sappiamo che ci sono ancora tantissime opportunità perché ci sono persone che non esprimono una preferenza e questa è un’opportunità persa”, spiega Chiara Occulti.
Grazie ai fondi del ‘5 per mille’, Fondazione AIRC quest’anno può garantire continuità a otto programmi speciali all’avanguardia sullo studio delle metastasi e a oltre 360 progetti di ricerca individuali, condotti in istituzioni prevalentemente pubbliche in tutto il territorio nazionale.
“Le metastasi sono la principale causa di morte del tumore. Quindi questi studi sono cruciali per la nostra missione, che è quella di rendere il cancro sempre più curabile. Nel nostro Paese tra il 2010 e il 2020 sono aumentate del 54% le persone che hanno superato il cancro e sono vive da oltre 10 anni dalla diagnosi. Numeri importanti, da ribadire anche per sottolineare l’impatto concreto della ricerca. Perché le nuove generazioni sono le più scettiche, hanno bisogno di vedere, di capire, di toccare con mano. Sottolineando i risultati concreti della ricerca vogliamo far capire quanto è importante continuare a sostenerla. Perché mettere una firma è solo un gesto, non costa nulla, ma per noi è fondamentale”, conclude Chiara Occulti.