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L’Arabia Saudita al centro del mondo degli Esports tra luce e ombre: i possibili scenari mondiali del settore

di Marco Polli

L’Arabia Saudita è davvero pronta a portare il mondo degli Esports ad un livello superiore? Attraverso il Public Investment Fund (PIF) la super potenza economica del Medio Oriente ha previsto ingenti investimenti negli sport elettronici, in piena linea con il programma che prende il nome di Saudi Vision 2030.

Si tratta del piano strategico ideato dal principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, che punta a ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dal petrolio e sviluppare l’economia del Paese in settori come turismo e intrattenimento. In questa ottica, gli Esports rappresentano un’industria troppo allettante per essere trascurata.

Per questo motivo, Mohammad bin Salman già nel 2022 ha dato vita al Gamers8, un evento di otto settimane che ha portato Riyadh a diventare la capitale mondiale dell’Esport. Se nella prima edizione il festival prevedeva un montepremi totale di 15 milioni di dollari (complessivo per tutte le competizioni sui diversi videogiochi), nell’edizione 2023 la cifra si è triplicata arrivando a 45 milioni.
L’evento, infatti, ha ospitato i tornei principali di titoli videoludici di primissimo livello come CS:GO, PUBG, FIFA (ora EA FC), Starcraft II, Rainbow Six Siege e Rocket League.

Secondo i numeri raccolti dall’organizzazione e pubblicati sul sito ufficiale, le visualizzazioni totali dell’evento supererebbero i due milioni, con quasi quattro milioni di impressions: cifre che potrebbero apparire irreali, ma possibili se pensiamo che raggiunti in un evento durato quasi due mesi (dal 6 luglio al 27 agosto) e che al suo interno ha anche incluso otto concerti musicali.

Oltre alla potenza economica, l’Arabia Saudita vanta anche un’enorme influenza politica nel mercato degli Esports (proprio in virtù della grande disponibilità di investimenti).
Il principe saudita Faisal bin Bandar bin Sultan, oltre a guidare la Saudi Arabian Federation for Electronic and Intellectual Sports (SAFEIS), è anche l’attuale presidente della International Esports Federation (IESF)e vicepresidente della Global Esports Federation (GEF), ossia le due principali organizzazioni mondiali che rappresentano il settore.

È con questa capacità operativa che adesso l’Arabia Saudita vuole alzare l’asticella. Il Gamers8, infatti, sarà sostituito dalla Esports World Cup in quello che si prospetta essere l’evento Esport con il montepremi più alto di sempre (al momento ancora sconosciuto, ma superiore ai 45 milioni già citati). A capo dell’organizzazione ci sarà Ralf Reichert, già presidente di ESL FACEIT Group, ossia la società nata dall’acquisizione per 1,5 miliardi di dollari da parte del governo saudita delle due più grandi organizzazioni di Esports al mondo ESL e FACEIT, e ora CEO della Esports World Cup Foundation: l’evento, infatti, sarà patrocinato da una fondazione no profit creata ad hoc e non da un’entità commerciale.

Ma l’accentramento dell’industria dell’Esport nelle mani saudite quali conseguenze avrà? Senza alcun dubbio rappresenta un’opportunità, per il mercato mondiale, di raggiungere vette inesplorate in termini di investimenti in un settore che ad oggi sfiora il valore due miliardi di dollari. Dall’altro lato, però, porta ad alcuni interrogativi più strettamente etici e politici.

Uno dei punti di forza degli Esports è quello di unire persone di ogni origine, genere e orientamento sessuale. Un’integrazione favorita dallo stare insieme (online e in persona) a giocare al proprio videogioco preferito, ad ammirare i pro player in azione e ad esaltarsi per i risultati ottenuti dal team per il quale si fa il tifo.

Le azioni dell’Arabia Saudita a favore dello sviluppo degli Esports si scontrano con la politica del Paese generalmente lontana degli standard occidentali in merito ai diritti umani e della tutela della comunità LGBTQ+: sono numerosi gli appelli internazionali lanciati da organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, che tentano di fare luce su quanto accade.

I responsabili del progetto saudita dovranno spiegare come intendono contribuire allo sviluppo della community femminile degli Esports, in un Paese dove le donne non hanno gli stessi diritti degli uomini, dove non è ammessa l’omosessualità e dove è limitata la libertà di parola e di stampa.

In più l’accentramento di ruoli sulla governance mondiale degli Esports nella figura del principe Faisal bin Bandar bin Sultan rischia di spostare il baricentro del settore verso l’Arabia Saudita, in termini di regole e di rapporti internazionali. In un settore che sta appena sbocciando in tutte le sue potenzialità, questa mossa politica pone da subito l’Arabia Saudita come capofila del movimento gaming mondiale, svuotando di fatto il ruolo dell’Europa e delle sue organizzazioni, costrette a competere nel Paese arabo per operare ad alti livelli.

È per questo che potremmo iniziare a parlare di esportswashing, adattando il termine coniato per gli investimenti nello sport tradizionale, come un’altra manovra operata dall’Arabia Saudita per ripulire la propria immagine agli occhi dello scenario pubblico internazionale.

Se il mercato degli Esports sembra già essere pronto ad imporsi come un’industria capace di smuovere investimenti miliardari grazie all’impegno dei sauditi, adesso c’è da attendere la scelta di chi in prima persona si muove in questo ecosistema: player, team e community.