Gaming

Il mito sfatato: i videogiochi violenti non riducono l’empatia, lo dice un recente studio

di Francesco Bocci

Un recente studio di neuroimaging pubblicato su eLife ha scoperto che giocare ai videogiochi violenti non riduce l’empatia nei giocatori. Questa scoperta mette in discussione l’idea popolare che l’esposizione alla violenza dei videogiochi desensibilizzi le persone alla sofferenza del mondo reale.

Il dibattito sui videogiochi violenti e sui loro potenziali effetti sul comportamento non è nuovo. Per anni, ricercatori, educatori e genitori hanno espresso il timore che la violenza grafica rappresentata in molti giochi popolari potesse portare a una diminuzione dell’empatia e a un aumento delle tendenze aggressive nei giovani giocatori. Queste preoccupazioni si basavano sull’ipotesi che l’esposizione regolare alla violenza virtuale potesse rendere gli individui meno sensibili alla sofferenza della vita reale. Tuttavia, le prove concrete a sostegno di questa teoria sono state diverse, con vari studi che hanno dato risultati contrastanti.

“Essendo cresciuto con i videogiochi, la questione della loro influenza sul comportamento e sulle emozioni era intrinsecamente interessante per me”, ha detto l’autore dello studio Lukas Lengersdorff, dottorando presso l’Unità di Neuroscienze Sociali, Cognitive e Affettive dell’Università di Vienna.

“Ci sono molti miti e preconcetti che circondano i videogiochi, in particolare quelli violenti. Sebbene molti di questi preconcetti possano riflettere problemi reali, le prove scientifiche sono spesso scarse o inconcludenti. Ad esempio, è intuitivo che sperimentare la violenza in un ambiente virtuale possa intorpidirci nei confronti della violenza reale. Ma questa intuizione regge alle prove sperimentali? Mettere in discussione credenze popolari come questa è ciò che più mi interessa come ricercatore”.

Lo studio ha coinvolto 89 partecipanti maschi che avevano poca o nessuna esperienza precedente con i videogiochi violenti. Questa selezione specifica è stata fondamentale per evitare qualsiasi desensibilizzazione preesistente alla violenza dei videogiochi. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi. Un gruppo ha giocato a una versione altamente violenta del popolare gioco ‘Grand Theft Auto V’, dove il compito principale era quello di uccidere il maggior numero possibile di personaggi. L’altro gruppo ha giocato con una versione modificata e non violenta dello stesso gioco, con il compito di svolgere attività non violente (fotografare i personaggi).

I partecipanti hanno giocato alle rispettive versioni del gioco per un periodo di due settimane, per un’ora in ogni sessione, con circa 24-48 ore tra le sessioni. Nel gruppo sperimentale, i partecipanti hanno ucciso in media 2844,7 personaggi, mentre quelli del gruppo di controllo hanno scattato in media 3055,3 foto, assicurando una significativa esposizione ai rispettivi contenuti del gioco.

Per valutare l’impatto di queste esperienze di gioco, i ricercatori hanno condotto dei test sia prima che dopo il periodo di gioco. Hanno utilizzato sessioni di risonanza magnetica funzionale (fMRI) per osservare i cambiamenti nell’attività cerebrale legati all’empatia. Inoltre, sono stati raccolti dati comportamentali per misurare più direttamente le risposte empatiche. L’uso di misure neurali e comportamentali ha fornito una visione completa dei potenziali impatti del gioco.

I ricercatori non hanno riscontrato alcuna prova significativa che l’uso di videogiochi violenti riducesse l’empatia dei giocatori. Ciò era vero sia in termini di risposte comportamentali che di attività neurale nelle regioni cerebrali associate all’empatia. I giocatori esposti a contenuti violenti non hanno mostrato una diminuzione delle risposte empatiche al dolore altrui o una riduzione delle reazioni emotive alle immagini violente.

Lo studio, intitolato ‘Neuroimaging and behavioral evidence that violent video games exert no negative effect on human empathy for pain and emotional reactivity to violence’, è stato redatto da Lukas Leopold Lengersdorff, Isabella C. Wagner, Gloria Mittmann, David Sastre-Yagüe, Andre Lüttig, Andreas Olsson, Pedrag Petrovic e Claus Lamm.