Di Carlo Corcione
Con la pubblicità, al giorno d’oggi, a qualunque latitudine, non si scherza più. Ne abbiamo avuto la prova in Italia con il Ferragni Gate che poco avrebbe a che fare con il gaming – anche se la beneficenza (vera o finta che sia non sta a noi chiarirlo in questa sede) potrebbe essere, a voler esser cattivi, la più subdola forma di gamification – e ne hanno avuto la prova anche all’ombra della Corona inglese, dove, per tutt’altra faccenda, l’ASA (Advertising Standards Authority) ha ‘avvertito’ (suona strano ma per ora è solo un avvertimento) Electronic Arts, Miniclip e Jagex (dopo aver accolto delle istanze contro tre dei loro titoli) di badare a non violare le regole sulla promozione dei titoli inerenti alle loot box.
Che tali pratiche dovessero essere disciplinate (o disciplinate meglio) era chiaro già da tempo nel vecchio continente ed anzi si pressava da un po’ l’Unione Europea ad agire, ma è stato proprio chi dall’Unione è voluto di recente uscire che ha colpito, a tal proposito, le tre società coinvolte.
In questo caso però curiosamente la vicenda (e conseguenti istanze) non partono da associazioni consumatori ma bensì da una ricerca accademica sui giochi elettronici a prova – caso mai qualcuno avesse dubbi, che studio e analisi non vanno a braccetto solo con la teoria – e che ha contestato (e bene ha fatto) le pubblicità che includevano si le loot box, ma non le relative informazioni.
Il ricercatore in questione è un nome di cui, per quanto attiene la ricerca sul diritto degli Esports e gaming, sentiremo sicuramente parlare a lungo.
Leon Y Xiao, con tanto di PhD proprio sull’argomento della regolamentazione delle Loot Box nel gaming e con tanto di profilo Forbes sulle menti più influenti under 30, ha sostenuto che gli annunci fossero fuorvianti poichè l’omissione di tale informativa specififca sulle loot box influenzava le decisioni commerciali dei consumatori.
Lo stesso Xiao su X ha spiegato che, citando lo stesso: “I made these complaints following my study finding that over 93% of 288 adverts for popular games with loot boxes on Meta platforms (Facebook, Instagram, and Messenger) and TikTok did not disclose loot box presence in the ad and were therefore illegal” e concludendo, in modo un pò naif ma terribilmente preciso, che solo la mancanza di risorse illimitate lo avrebbe frenato dal presentare 288 istanze separate.
ASA in ogni caso le ha accolte, citando le linee guida del Committee of Advertising Practice (CAP) che affermano come la presenza di acquisti definiti in game – e in particolare meccaniche casuali come le loot box – debbano essere incontrovertibilmente dichiarate in qualsiasi annuncio.
In particolare contro Electronic Arts l’istanza verteva su un annuncio Facebook atto a promuovere Golf Clash e dove erano presenti ricompense varie per chi avrebbe controllato delle offerte o si sarebbe iscritto alla newsletter.
Electronic Arts ha avuto quanto meno il buon gusto di ammettere l’errore, definito ‘umano’ e di rimuovere immediatamente gli annunci.
Diverso il caso di Miniclip per il quale, sotto i riflettori è andato un annuncio apparso sempre su Facebook, e che a margine ‘sussurrava’ parole come ‘gioca gratis ora’ ma includeva un link all’Apple Store.
Come affermato da Dr. Xiao, la presenza di loot box avrebbe dovuto essere indicata nell’annuncio e la sua mancanza implicava chiaramente l’ingannevolezza dell’annuncio.
A differenza dei colleghi di Electronic Arts, Miniclip ha rispedito al mittente le accuse dichiarando che il gioco non richiedeva agli utenti di acquistare nulla né per giocare né per progredire.
L’annuncio è stato tuttavia in ogni caso ritirato anche in questa fattispecie.
Jagex infine è caduto su un annuncio (manco a dirlo su Facebook) per RuneScape che metteva in evidenza un nuovo stile di combattimento.
Secondo il ricercatore (e successivamente secondo l’ASA), in RuneScape erano presenti gli acquisti cosiddetti in-game, comprese le loot box, e dunque anche in questo caso l’annuncio presentava elementi fuorvianti.
Jagex di contro ha dichiarato che l’annuncio rimandava semplicemente a una pagina di destinazione, che ben indicava la presenza di acquisti in-game e loot box e che presentava etichette PEGI. Dunque secondo la società la pagina di destinazione a cui si accedeva tramite l’annuncio conteneva informazioni sufficienti sugli acquisti in-game e sulle loot box, tali da rendere i consumatori consapevoli.
Di diversa opinione l’ASA che ha precisato che non basta la divulgazione della dicitura acquisti in game dopo aver cliccato un link ma di contro è nell’annuncio a monte che dovrebbe esserci l’informativa.
Ed ora?
Ed ora nulla in realtà, dato che quello dell’ASA è solo un‘warning’, un avvertimento che sicuramente darà una scossa al settore ma che di per sé non disciplina né regolamenta nulla di preciso.
Volendo riprendere le parole di Dr. Xhiao su X dopo la vittoria: ‘we must act’. È arrivato sicuramente il momento di agire e il warning in questo caso è diretto a tutti i law and policy makers inclusa l’Unione Europea che non può più sottovalutare la questione.