Un inverno in Corea è il titolo del film che arriva al cinema l’11 dicembre con Wanted Cinema. Ve lo diciamo subito: è un film da vedere perché è bellissimo, una vera sorpresa. Ed è importante per capire qualcosa di più della Corea, un Paese che, per la sua produzione culturale – cinema, serialità, musica – sta diventando veramente dominante. Oggi la Corea è il centro del mondo. E vedere questo film, la storia di un incontro, di un amore, raccontata in modo unico, è un modo per entrare in un mondo così lontano da noi, ma che è in grado di conquistarci. Come conquista il protagonista del film, un uomo occidentale arrivato in questa terra unica. Il film è una coproduzione tra Francia e Corea del Sud, con un regista giapponese. È un incrocio di culture, e la sua bellezza è anche qui. Un tempo Occidente e Oriente erano culture e mondi separati, oggi c’è una grande contaminazione. E se l’Oriente un tempo per noi erano soprattutto il Giappone e la Cina, oggi è proprio la Corea del Sud la cultura che ci affascina di più e che sta entrando nei nostri cuori.
Un ragazzo incontra una ragazza
Yan Kerrand è un artista, un illustratore famoso per i suoi albi, che è arrivato dalla Francia a Sokcho, in Corea, per trovare l’ispirazione per la sua prossima storia. Sokcho è una città di villeggiatura, ma siamo in inverno. Soo-Ha, 25 anni, studentessa di letteratura, lavora alla Blue House dove Yan arriva deciso ad alloggiare per qualche tempo. E, prima in modo più restio, poi sempre più convinto, lei si prende cura di lui e delle sue esigenze: un ristorante da trovare, la carta e l’inchiostro per i suoi disegni, una visita alla zone demilitarizzata al confine con la Corea del Nord. Soo-Ha ha un ragazzo, ma non sembra adatto a lei. È uno che ha “grandi” ambizioni: vuole andare a Seoul e fare il modello, anche ricorrendo alla chirurgia estetica. Lei è molto diversa da lui: le piace stare in quella città, lavorare in quell’albergo. È timida e le piace il suo aspetto. O forse no. In quell’uomo francese trova una fascinazione molto particolare. È l’artista, è l’uomo maturo, viene da lontano. È francese, soprattutto. Come lo era il padre che non ha mai conosciuto.
Una Corea umile e sobria. Come Bella Kim
Un inverno in Corea ci immerge nella vita quotidiana della Corea. Lontana dai colori accesi e dalla violenza di una serie simbolo come Squid Game e anche dai riflettori e lo scintillio del K Pop così in voga oggi. È una Corea umile, sobria, in cui la gente fa il proprio lavoro con serenità e sembra vivere la propria vita senza turbamenti. O meglio: quei turbamenti li vive con un contegno forse a noi sconosciuto. Così anche Soo-Ha, interpretata dall’intensa Bella Kim, è una protagonista molto particolare. La sua è una bellezza sobria, poco appariscente. I capelli lunghi raccolti, gli occhi verdi celati e allo stesso tempo esaltati da due semplici occhiali tondi. I denti non perfetti. Un’espressione curiosa, enigmatica, intensa.
L’animazione che integra la live action
Un inverno in Corea è un film molto particolare. È avvolgente. È caldo, a dispetto dei colori freddi e del clima invernale in cui si muovono i personaggi. Vive di una scelta stilistica forte, quella di intervallare i fotogrammi del film con delle sequenze animate, in bianco e nero, con qualche tocco di rsso, che, partendo da figure concrete, si astraggono e si trasformano in continuazione. Hanno una funzione che non è narrativa, ma piuttosto emotiva ed emozionale, accentuano un momento o una sensazione, e legano una scena ad un’altra. A volte facendo da ellissi ad alcuni momenti. E sono perfettamente coerenti con la storia perché il tratto richiama quello dei disegni del protagonista.
Una regia speciale
Un inverno in Corea vive di una regia ispirata e in grado di sorprendere sempre. Lo si nota dalla fantasia di alcune sequenze. Come la scena in cui, in un bagno termale, con un gioco di specchi il volto della protagonista è sovrapposto al corpo di una donna matura. Come la scena della prima cena insieme dei due in cui, per un attimo, la mdp inquadra le mani e i busti ma non i volti. E poi c’è un momento bellissimo, quello in cui lei si guarda allo specchio, e tratteggia con il colore il suo volto su quella superficie, dipingendo le labbra di rosso, che così diventano le sue. È forse un modo per diventare una donna nuova senza esserlo ancora, di tratteggiare qualcun altro ma restando se stessa, senza osare davvero. È la scena di chi cerca un cambiamento ma non sa ancora se è pronta per farlo.
Il confine tra le due Coree, una ferita aperta
Un inverno in Corea è intrigante già di per sé, per il suo incedere affascinante. E lo è anche per provare a capire la cultura della Corea, un mondo che ci affascina sempre di più. Un modo per capirlo è proprio quel viaggio alla zona de-militarizzata, lungo il confine tra Corea del Nord e Corea del Sud. Un confine che, spiega lei, non è affatto solo una linea tracciata su una mappa, ma è molto di più. È una vera ferita ancora aperta per il popolo coreano. È una linea che ha diviso le famiglie, padri e figli, fratelli e sorelle che ancora non si riescono a riunirsi e nemmeno a rientrare in contatto. Affetti che probabilmente si sono persi per sempre. Per capire i sentimenti di chi vive in Corea, le loro emozioni, le loro reazioni non si deve mai dimenticare questo. Il grande dolore che è insito in tutto quel popolo. Non si deve dimenticare che c’è stata una guerra che dicono sia finita, ma non lo è.
La Corea del Sud, potenza
È un Paese diviso in due, che va in due direzioni. La Corea del Nord è schiacciata da una dittatura militare che investe i propri fondi in armamenti. La Corea del Sud si è rimboccata le maniche ed è diventata una potenza mondiale, a livello economico e industriale (molte big tech e aziende dell’automotive vengono da lì). Ma soprattutto a livello culturale. Ne avevamo parlato lo scorso anno con la direttrice del Far East Film Festival di Udine. Il cinema coreano è vivissimo. È entrato in maniera indelebile nelle nostre vite nel 2003, quando è stato presentato al Festival di Cannes il capolavoro di Park Chan-wook, Old Boy, e quando è arrivato da noi il cinema di Kim Ki Duk, con Primavera, estate, autunno, inverno e poi ancora primavera. Il cinema coreano, da quel momento, è diventato una costante anche nelle distribuzioni del cinema occidentale. Il 1 gennaio, ad esempio, arriverà sui nostri schermi, distribuito da Lucky Red, il nuovo film di Park Chan-wook, No Other Choice, presentato alla recente Mostra del Cinema di Venezia.
Squid Game, KPop Demon Hunters, Past Lives
Se quella coreana è una cinematografia da sempre viva e originale, la Corea del Sud è dominante anche per quanto riguarda la serialità e l’animazione. Viene da qui la serie più vista di sempre su Netflix, Squid Game, durata tre stagioni e diventata immediatamente iconica, oltre che un fenomeno destinato a uscire dallo schermo per diventare fenomeno di costume e di cultura pop. KPop Demon Hunters, un film d’animazione, è un’altra grande hit del mondo Netflix, destinata ad andare avanti. A dare vita al film è Maggie Kang, autrice nata a Seoul e cresciuta in Canada, che ha deciso di dare vita a un progetto che raccontasse un lato importante della cultura coreana. Un po’ come è accaduto con Celine Song, autrice anche lei nata a Seoul e naturalizzata canadese, oggi di stanza a New York, che con Past Lives, film candidato all’Oscar, ha voluto raccontare un altro aspetto della cultura coreana. L’autrice ha appena diretto Material Love. Una generazione ai autori e autrici stanno portando nuove idee e nuovi valori anche nel cinema mainstream.
La musica: il K Pop
Ma dove la cultura coreana domina è la musica. Il K Pop è ormai un fenomeno globale da anni, e negli ultimi due ha sfondato anche da noi. Band come le Blackpink e gli Stray Kids, la scorsa estate hanno riempito l’Ippodromo SNAI di Milano e lo Stadio Olimpico di Roma. Ma la carica delle band K Pop è infinita. Gli storici BTS, BabyMonsters, Itzy, Illit, Katseye. E potremo andare avanti all’infinito. 30 anni fa da noi in Europa c’erano I Take That, le Spice Girls, i Backstreet Boys e pochi altri. In Corea hanno preso il modello delle boy band e lo hanno moltiplicato all’infinito, creando un’industria. La Corea domina ed è destinata ad espandersi sempre di più. C’è, nel popolo coreano, una determinazione, una dedizione alla causa che proietta i coreani a farcela sempre, a gettare il cuore oltre l’ostacolo. La motivazione è da ricercare proprio in quella ferita che divide la penisola e in quella guerra che non è mai finita.
di Maurizio Ermisino