“È morta, avvolta nella plastica”. Sono queste le prime parole che abbiamo sentito, dopo la celebre sigla con la musica di Angelo Badalamenti, nell’episodio pilota di Twin Peaks, la serie capolavoro creata da Mark Frost e David Lynch. Le pronunciava Jack Nance, attore feticcio di Lynch, nei panni di Pete Martell, che aveva trovato sulla riva di un lago il corpo privo di vita di una ragazza. “Chi ha ucciso Laura Palmer?” sarebbe stata la domanda che avrebbe tenuto incollati alla tv milioni di spettatori in tutto il mondo. Ora, a 35 anni dalla prima messa in onda della serie in America, e nell’anno della scomparsa del regista di Missoula, MUBI, il distributore globale, piattaforma di streaming e casa di produzione, annuncia che Twin Peaks (1990), e Twin Peaks – La serie evento (2017) saranno disponibili dal 13 giugno 2025. MUBI presenterà tutti i 30 episodi di Twin Peaks e i 18 episodi di Twin Peaks – La serie evento. È una grande occasione per rivedere una serie che ha fatto la Storia della televisione.
Dal cinema alla televisione
Twin Peaks andò in onda per la prima volta l’8 aprile del 1990 sul network americano ABC. Oggi David Lynch è considerato all’unanimità uno dei grandi del cinema, ma allora non lo conoscevano ancora in molti. Arrivava da alcuni successi a livello di cinema d’autore: il film indipendente Eraserhead (1977), il grande classico The Elephant Man (1980), prodotto da Mel Brooks, il flop di Dune (1984), dopo aver rischiato di dirigere Il ritorno dello Jedi, il terzo episodio di Guerre Stellari. E Velluto blu, del 1986, con protagonista Kyle MacLachlan, che rivedremo anche in Twin Peaks nel ruolo dell’agente FBI Dale Cooper, e in cui è presente chiaramente la poetica di Lynch. Nella prima scena vediamo un prato fiorito, ma un movimento di macchina ci porta sotto quei fiori, dove si muovono inquietanti insetti. È lo sporco che si cela dietro il sogno americano. Anche Twin Peaks ci racconta la stessa storia: la morte di Laura Palmer è l’evento che apre il vaso di Pandora e fa uscire tutti i segreti che restavano nascosti dietro la facciata di una cittadina ideale.
Poliziesco e soap opera
Twin Peaks e Mark Frost, che veniva dal successo della serie Hill Street giorno e notte, avrebbero dovuto dirigere un film su Marilyn Monroe, che non vide mai la luce. Arrivò invece la storia di un’altra ragazza bella, bionda e dannata come l’angelica Laura Palmer, ragazza modello e reginetta del ballo della scuola che rivelava un lato oscuro. David Lynch, che allora odiava il mezzo televisivo, decise di ascoltare le richieste della ABC che voleva qualcosa di mai visto in tv: i due autori si presentarono con un’idea generica, proprio l’immagine di quel corpo avvolto nella plastica. L’idea piacque e si decise di svilupparla come un misto di poliziesco e soap opera. Una delle fonti di ispirazione di David Lynch era una vecchia soap americana, I peccatori di Peyton Place, dalla quale viene tutto il discorso sulle relazioni sentimentali e un certo modo di girare le scene in interni. Non è un caso che gli abitanti di Twin Peaks guardino l’immaginaria soap Invito all’amore che irrompe a tratti nella narrazione e ne anticipa le svolte.
Le ossessioni di David Lynch
Così David Lynch colse l’occasione di usare la televisione per fare cinema d’autore. Per creare cioè un’opera personale in cui racchiudere tutte le sue ossessioni. Una di queste è il tema del doppio. Tutto, in Twin Peaks, richiama questo concetto: le cime gemelle che danno il nome alla cittadina, le due cascate, Jocelyn Packard (Joan Chen) che si riflette allo specchio nella prima scena. Ogni personaggio, a partire da Laura, ha una doppia vita. E poi c’è l’ossessione di Lynch per gli anni Cinquanta, epoca lontana e ideale: le gonnelline a quadri e le scarpe di Audrey Horne (Sherilyn Fenn), l’Harley Davidson di James Hurley, il diner Double R di Norma Jennings. Siamo negli anni Novanta, ma potremmo essere anche quarant’anni prima. E questo contribuisce a dare a Twin Peaks un’atmosfera fuori dal tempo, che rende la storia universale e straniante allo stesso tempo.
Entrare nel mondo di Lynch
Una volta arrivata in tv, Twin Peaks spiazzò il pubblico. Il ritmo lento, ipnotico, il ripetersi ossessivo di immagini e temi era qualcosa che si staccava nettamente dalla narrazione televisiva dell’epoca. Ed è ancora più evidente oggi, in un’epoca in cui le serie tv, per catturare l’attenzione, puntano su ritmi sempre più alti ed episodi da vedere compulsivamente in binge watching. Twin Peaks, per essere seguita, richiedeva il suo tempo, di attendere pazientemente il prossimo indizio, di abbandonarsi al flusso narrativo, al suo spazio onirico, di entrare in sintonia con la visione di David Lynch. Non tutti riuscivano ad entrare nel suo mondo. Ma se ci entravi non ne uscivi più. In tanti di noi sono ancora lì, sospesi tra questa cittadina del nordest degli Stati Uniti e la Loggia Nera, il mondo dell’aldilà dove restavano sospese le anime perdute.
1991: Twin Peaks arriva in Italia
Twin Peaks è la serie che ha cambiato per sempre la serialità televisiva. L’idea che un grande regista potesse dedicarsi anche alla tivù, che una narrazione più cinematografica e più profonda potesse essere fatta sul piccolo schermo, che la qualità dell’immagine filmica potesse essere portata anche su un altro mezzo nasce dalla serie di Lynch. Ma fu un cortocircuito anche l’apparizione della serie sulla tv italiana. Il 9 gennaio del 1991 veniva messa in onda per la prima volta, con il titolo I Segreti di Twin Peaks, su Canale 5. Era la rete ammiraglia del gruppo Mediaset (allora Fininvest), la rete più mainstream e commerciale d’Italia, quella su cui erano andate in onda Dallas e Dinasty, e su cui stava per arrivare Beautiful. Era la rete dei grandi show comici come Risatissima e Premiatissima, la tivù e il pubblico generalista per eccellenza. Che si aspettava probabilmente l’ennesimo serial o sceneggiato americano. E che si trovò prima avvolto da una forma che si avvicinava apparentemente a questi prodotti, poi completamente spiazzato da immagini e temi inusuali.
La prima serie social
Oggi un prodotto premium come Twin Peaks sarebbe destinato a una piattaforma a pagamento (non è un caso sia stato scelto da MUBI, che ha un posizionamento forte sui prodotti d’autore). Allora non esistevano, e così la collocazione fu una tv lineare e classica, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti: la disponibilità di un pubblico molto ampio e l’inevitabile rigetto del prodotto da una parte di quel pubblico. Non c’erano le piattaforme e non c’erano i social media. Ma Twin Peaks è stata la prima serie social: se ne discuteva sempre e ovunque, a scuola, al lavoro, nei bar. Era una serie che si vedeva e si rivedeva, con i mezzi a disposizione all’epoca, che erano videoregistratori e vhs. Erano gli anni dei watch party, che non erano visioni simultanee on line, ma veri e propri incontri nelle case delle persone. Ovviamente, accompagnate da ciambelle, caffè e crostate di ciliegie, immagini ricorrenti nel racconto.
Canale 5 e le sinergie
‘Silvio Berlusconi Communications presenta’ era la scritta che appariva orgogliosamente prima di ogni episodio. L’intuizione di Berlusconi di portare Twin Peaks in Italia fu ottima, ma lo fu anche la strategia di lancio che si basava sulle forti sinergie del suo gruppo editoriale. Tv Sorrisi e Canzoni, il settimanale che faceva riferimento allo stesso editore, adottò la serie con una copertura costante e settimanale dell’evento televisivo. E anche Ciak, il mensile di cinema dello stesso gruppo, partecipò al lancio. Un’ottima strategia di ufficio stampa portò Twin Peaks e le sue attrici a comparire sui mensili femminili dell’epoca, mentre Canale 5 inondava i suoi programmi di spot molto accattivanti per lanciare la serie. I segreti di Twin Peaks fu premiata anche ai Telegatti come “miglior serie straniera”: Sheryl Lee e Michael Ontkean furono premiati da un’allora giovanissima Monica Bellucci. Che, 25 anni dopo, sarebbe entrata nel cast della terza stagione di Twin Peaks.
Il transmedia storytelling
David Lynch inventò anche il transmedia storytelling, l’idea che una storia non si risolvesse in un unico media, in questo caso la serie tv, ma si espandesse anche su altri mezzi. In questo caso Il Diario di Laura Palmer, un oggetto chiave nello svolgimento della serie, che diventò un vero e proprio libro, scritto dalla figlia Jennifer Lynch, che uscì per Mondadori e fu regalato, in una versione ridotta e a puntate, proprio da Tv Sorrisi e Canzoni. In seguito uscì anche L’autobiografia dell’agente speciale Dale Cooper: la mia vita, i miei nastri, di Scott Frost, edita allora da Sperling e Kupfer e oggi fuori catalogo. Twin Peaks è stato quello che oggi si definisce un game changer. Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera, avrebbe scritto in seguito: “I segreti di Twin Peaks ha segnato un’epoca. Non solo televisiva. Ha simboleggiato l’inquietudine degli anni Novanta, cui ha offerto persino una colonna sonora, scritta da Angelo Badalamenti”.
di Maurizio Ermisino