Interviste

Collettivo HARIEL: “Il cinema in AI è cinema. Ma vogliamo girare film che non si possano girare senza le AI”

Il cortometraggio THE PØRNØGRAPHƏR, realizzato dal collettivo milanese HARIEL con l'IA, ha vinto il Premio Centro Nazionale del Cortometraggio | ShorTO Film Market alla 40ª Settimana Internazionale della Critica, durante l’82ª Mostra di Venezia

Ha fatto sensazione la notizia che il cortometraggio THE PØRNØGRAPHƏR del collettivo milanese HARIEL, generato con l’Intelligenza Artificiale, si sia aggiudicato il Premio Centro Nazionale del Cortometraggio | ShorTO Film Market alla 40esima edizione della Settimana Internazionale della Critica, riconoscimento assegnato da una giuria indipendente, nell’ambito dell’82esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

È infatti la prima volta che un film generato con l’AI accede al concorso di una sezione competitiva ufficialmente riconosciuta del festival veneziano. Realizzato dai registi milanesi Pietro Lafiandra, Flavio Pizzorno e Andrea Rossini, THE PØRNØGRAPHƏR è il secondo cortometraggio del trio e il primo firmato con il nome del neonato collettivo HARIEL. La notizia è interessante già di per sé. Ma non si tratta solo di questo. Il fatto è che fino a qui si è sempre pensato all’AI generativa come a una tecnologia in grado di riprodurre fedelmente il girato live action (il successo dei video di Jacopo Reale lo conferma). Questo corto invece, va in un’altra direzione: quella di trovare linguaggi nuovi rispetto al cinema girato in maniera tradizionale.

Filmare l’infilmabile

THE PØRNØGRAPHƏR racconta una videochiamata in cui tre uomini provano a comprendersi, a capire che cosa è attraente e cosa non lo è. Ma poi tutto diventa qualcos’altro, un viaggio all’interno dei corpi, alla ricerca della possibilità di filmare l’infilmabile. È questo il futuro dell’AI? Generare immagini impossibili da realizzare dal vero, o immagini che nessuno vuole realizzare? Del corto, che si avvicina a certe atmosfere di David Croneberg e di Flora Sigismondi (autrice, tra le altre cose, di alcuni video di David Bowie) abbiamo parlato con Pietro Lafiandra.

Il vostro corto è stato pensato per essere girato con l’AI?

Partiamo dal presupposto che ogni buon film fatto con l’AI è sempre un film sull’Intelligenza Artificiale. Perché un film che utilizza correttamente le immagini algoritmiche è un film che per forza di cose lascia parlare l’algoritmo. E ne evidenzia le logiche, le storture o le problematiche

Come è nata l’idea?

Come tutte le cose buone della vita, è nato mentre eravamo fuori a bere. È capitato che una sera, da lontano, ho visto quella che mi sembrava una ragazza bellissima. Ma non ero sicuro se fosse un uomo o una donna. Ma il mio collega Flavio mi ha detto: ‘se ti piace che differenza fa?’. Questo spunto iniziale del nostro film ci sembrava parlasse tantissimo di AI. Gli algoritmi generativi dell’immagine vengono prodotti attraverso un’etichettatura manuale di un vastissimo corpus di immagini – anche di corpi – che vengono date in pasto agli algoritmi. E viene segnato precisamente cosa c’è dentro quella immagine. Si ha una gerarchia e una tassonomizzazione dei corpi che per forza di cose introietta una visione del mondo. Il film nasce dal bisogno di decostruire le etichette sociali dei corpi e le etichette attraverso le quali generiamo l’AI.

Nel film ci sono corpi non conformi, o mutanti, immagini che possono non piacere o che si possono trovare interessanti

Ricordate la famosa immagine del vestito blu e nero che vedevano bianco e oro? Ci siamo accorti che nelle immagini ognuno guarda e vede quello che vuole. È un film narcisistico su un circuito chiuso. Il film termina con un uomo che viene risucchiato nelle immagini e finisce per vedere solo se stesso. È un film sul fatto ognuno vede quello che vuole. Ma è anche un film su come una singola immagine possa provocare un dibattito tale da non arrivare mai a una concordanza nemmeno su quello che è contenuto in essa. La cosa affascinante è che le reazioni alle immagini possono essere violente. Ed è quello che è successo al nostro film: abbiamo ricevuto pareri polarizzati da bianco o nero, alcuni ci hanno insultato in sala, altri ci hanno dato recensioni entusiaste. Il tema è proprio questo: cosa vediamo nelle immagini, come le guardiamo le immagini, come ci chiamano e le completiamo con le nostre ossessioni, i nostri gusti, i nostri desideri.

Tocchi di Cronenberg e Flora Sigismondi

Ci ritroviamo nel discorso cronenberghiano sui corpi e sul post umano. Alcuni hanno visto un inferno alla Hieronymus Bosch. Noi ci vediamo molto Bacon. Ma anche Nicolas Winding Refn. Durante la promozione di The Neon Demon continuava a dire: io sono un pornografo.  Ho capito che intendeva pornografia nel suo senso etimologico, scrittura sulle prostitute, su qualcosa che teniamo lontano dal discorso sociale e dagli occhi. E che il cinema è capace di svelare, di parlarci direttamente di qualcosa di intimo. È il cinema ad essere il vero pornografo.

L’AI deve essere perfetta per riprodurre il reale, o creare nuovi linguaggi, qualcosa che nella realtà non esiste? Mi sembra che il vostro cinema vada in questa seconda direzione

Noi ci proponiamo, se non in antitesi all’industria, in alternativa. L’industria dell’AI sta andando verso il tentativo di copiare la realtà e le facoltà dei precedenti media. A noi la cosa interessa poco e ci sembra una logica che vada a ledere le maestranze esistenti. Noi questa cosa la vogliamo evitare e vogliamo aprire un nuovo campo per cineasti indipendenti. Vogliamo provare ad esplorare la possibilità di fare film a poco prezzo e che ci permettano di lavorare con i generi. I nostri due film, per quanto sperimentali, sono un’opera di fantascienza e un body horror. Generi che richiederebbero costi impensabili.  Quindi l’AI in questo senso ci permette di fare cinema con più facilità. Lo fa con un ricatto: tutti quelli che utilizzano lo stesso algoritmo generativo utilizzano la stessa estetica. Ed è la morte dell’autorialità. Vogliamo esplorare delle strade che ci permettano – attraverso le allucinazioni della macchina – generare immagini specifiche dell’AI che non si possano realizzare senza AI.

Si dice che presto si gireranno due tipi di contenuti, il primo in modo classico e più costoso, il secondo con le AI, più economico, ma si dà per scontato che riproducano quelli realizzati dal vero. La vostra è una terza via?

Assolutamente sì. La cosa grande di essere stati in concorso a Venezia, alla Settimana Internazionale della Critica, è che ha detto che questo è cinema come tutto il resto, abbiamo gareggiato come altri film. Sono convinto che il cinema in AI sia semplicemente cinema.

di Maurizio Ermisino

Pietro Lafiandra, Flavio Pizzorno e Andrea Rossini