Interviste

We Are Social: creare conversazioni che vadano anche oltre la tv

Sanremo dovrebbe essere occasione per uscire da una comunicazione autoreferenziale, sfruttando l’evento come una piattaforma di brand building a lungo termine. Ecco perché Ceres e Netflix hanno conquistato la giuria SanSpot, ma soprattutto le persone

Ne parliamo con Mattia Lacchini e Giuseppe Schiavone, Creative Director, Camilla Vanzulli e Laura Venuti, Associate Creative Director, WE ARE SOCIAL.

Avete vinto sia con Ceres che con Netflix, che sono tra gli spot che meritano attenzione decretati da SanSpot. Abbiamo sentito la giuria spiegare i motivi di questa scelta, ma ci dite secondo voi perchè queste campagne hanno meritato il podio?

 “Con Ceres e Netflix abbiamo fatto due lavori significativamente diversi: con Ceres abbiamo scritto un nuovo capitolo di una storia di marca riconosciuta. Con Netflix abbiamo partecipato alla conversazione sul Festival, da dentro il Festival(sia con Nuova Scena s02, sia con Mercoledì). Due fili rossi che collegano i due presidi però ci sono. Il primo è il nostro punto di partenza per l’ideazione: partiamo sempre dalla cultura locale per cercare di contribuire a conversazioni che esistono nel mondo reale (IRL, per dirla con il linguaggio di internet). Con Ceres abbiamo voluto dire qualcosa di quello che ci lega agli altri: online basta una microscopica differenza a renderci antagonisti, nemici, hater. Al bar, al contrario, anche se c’è pochissimo che abbiamo in comune, sappiamo amarci/volerci bene.  Con Mercoledì abbiamo cercato di dare voce agli outcast che guardano il Festival anche (soprattutto) per blastarlo. Con Nuova Scena siamo partiti dalla polemica sulla partecipazione di Geolier dell’anno scorso, dicendo, tra le righe, che alla fine l’unica cosa importante è credere nel proprio sogno e, ovviamente, nel rap. Il secondo è il rapporto di fiducia con i clienti con cui lavoriamo, la loro voglia di prendersi una quota di rischio che quest’anno ha premiato”.

Dai contenuti e dai commenti emerge che molti brand investono su Sanremo, ma pochi lo fanno nel modo più consono e, diciamolo, la qualità spesso è mediocre, cosa ne pensate e come fare per alzare l’asticella?

“La nostra ‘stella polare creativa’ è “Ideas worth talking about”. Cerchiamo di partire dalle conversazioni per creare conversazioni a cui le persone vogliano partecipare spontaneamente. L’appuntamento di Sanremo è sicuramente un momento chiave nel panorama culturale italiano, ma non è immediata la scelta di intervenire in TV per provare a innescare un dialogo. Noi abbiamo provato a farlo quest’anno. Ovviamente il modo in cui questa postura si traduce in contenuto dipende molto dalla personalità del brand: per Ceres è stato far rivivere un po’ del mood, della vibe storica di Ceres a una nuova generazione di consumatori, restando fedeli al DNA della marca e offrendo ai già affezionati una serie di easter egg. Per Netflix, ma in realtà per i singoli titoli che abbiamo trattato (Mercoledì e Nuova Scena), abbiamo scelto di dire qualcosa sul Festival, da dentro il Festival, rimanendo comunque fedeli al tono di voce del brand, che è quello di un fan che parla ad altri fan. Inoltre c’è un punto che vale la pena sottolineare: gli spot di Sanremo arrivano a tutti in contemporanea, ma il vero successo spesso dipende da quello che succede dopo l’on air del commercial. Anche online la discussione esplode, l’attenzione si sposta e, se sono state toccate corde ‘relatable’, le persone si appropriano del contenuto e ne fanno quello che vogliono. Le campagne vincenti non si esauriscono con il passaggio in TV, anzi: è sempre più importante che i brand continuino la conversazione sui social e su altri canali. Per questo i nostri passaggi (un esempio su tutti la social strategy per Mercoledì) sono stati sempre accompagnati da momenti di ulteriore costruzione del racconto, di espansione del messaggio sui social”.

Tutto è nato dall’assunto ‘Sanremo è il nostro Super Bowl’, trainati dall’entusiasmo di dati di audience mai così importanti. È raro trovare 12-13 milioni di italiani davanti allo stesso programma. Eppure, c’è ancora un bel pezzo di strada da fare per arrivare a un vero ‘Super Bowl italiano’. Perché, secondo voi?

“Il Festival è un’occasione media ghiotta per qualunque brand. Quello che forse però è emerso da questa edizione della kermesse è che ancora questi spazi ad alto valore vengono adoperati con prudenza, scegliendo un numero significativo di passaggi (la frequenza) piuttosto che singoli interventi capaci di catalizzare l’attenzione delle persone. In un senso, e un po’ contro intuitivamente, durante il più importante momento di intrattenimento del calendario culturale italiano, i brand scelgono l’interruzione. Ci sembra che l’industry oggi aspetti gli spot di Sanremo (SanSpot è un esempio di questa attenzione), mentre non è chiaro che le persone si aspettino che gli spot siano una forma di intrattenimento ulteriore rispetto allo show. E questo crediamo difficilmente succederà a meno che i brand si assumano il rischio di usare quello spazio per dire qualcosa di meno autoreferenziale, lavorando anche per obiettivi di brand building di più lungo periodo, per stabilire delle chiare personalità di marca. Con Sanremo, i brand hanno la possibilità di uscire da una comunicazione autoreferenziale e sfruttare l’evento come una piattaforma di brand building a lungo termine. Investire su messaggi capaci di raccontare una chiara personalità di marca, intrattenere e generare connessioni autentiche con il pubblico potrebbe essere la chiave per trasformare il Festival in un vero e proprio ‘Super Bowl’ italiano”.