A caldo, a termine dei lavori della giuria SanSpot abbiamo chiesto ai giurati il loro parere. Ecco quelli più significativi. Con l’augurio che nel nostro Paese si provi ad alzare l’asticella. Perché se ci abituiamo al mediocre, sembra che abbia comunque successo (i numeri di questo Sanremo lo dimostrano, allargando anche al contenitore il nostro discorso) ma strategicamente, che contesto culturale stiamo costruendo? Sarebbe il caso di iniziare tutti ad assumercene la responsabilità. Già Eraclito, nel 400 a.c, sosteneva che l’armonia è l’accordo di disaccordi. Quindi ben vengano spirito critico e voglia di andare oltre. Ma ne riparleremo… Per ora, parola ai giurati.
Davide Boscacci Cco Accenture Song, presidente giuria SanSpot
“Come in tutto, Sanremo è rappresentazione dell’Italia. Dal punto di vista del marketing, il nostro sembra un Paese che crede molto nel media e un po’ meno nella creatività. Si conferma un mercato a due velocità: da una parte alcuni brand, i soliti noti, che hanno capito la portata dell’evento e lo sanno interpretare nel migliore dei modi; dall’altra, altri brand che ne vedono il potenziale ma ancora devono forse prenderci un po’ la mano. È comunque un momento entusiasmante ed è bello vederlo crescere di anno in anno, sperando che alla fine vincano, come sempre, le idee”.
Riccardo Fregoso, Chair Creative EMEA e Cco Italy, Dentsu Creative (DENTSU ITALIA)
“Tante Campagne ma poche agenzie e brand che hanno avuto il coraggio di investire su un’idea forte. Troppistorytelling rapidi e incompleti, e craft non sempre presente. Il tutto con una tendenza a ripetere lo stile italiano con voice over iper presenti a siegare tutto”.
Lorena Cascino, creative director & partner GIBBO&LORI
“La sensazione generale è che alcuni brand siano riusciti a fare qualcosa di speciale per il Festival di Sanremo ottimizzando l’occasione di comunicazione, ma non tutti. Da qualche tempo è il momento più atteso dell’anno ma abbiamo visto spot in cui, purtroppo, mancavano le idee. Si sa che gli investimenti media per i brand sono importanti durante questo evento, ma evidentemente si è perso di vista quello che dovrebbe essere l’obiettivo numero uno: investire nella qualità delle idee creative. Per la nostra industry, mi auguro che in futuro lo spazio pubblicitario durante il Festival possa essere atteso come un puro momento di intrattenimento, proprio come lo è il Festival stesso. In fondo è quello che succede al Superbowl.”
Emanuele Saffirio
“Calco i marciapiedi della pubblicità da oltre 25 anni. Sono stato imprenditore (fondando STV con Aurelio Tortelli e Francesco Vigoriti), CEO della DDB, Presidente del Gruppo Publicis e – negli ultimi cinque anni – Senior Advisor per Accenture Song. E, nonostante tutto ciò, ci credo ancora Sanremo: il Super Bowl della pubblicità italiana? Il Festival di Sanremo non è solo l’evento musicale più seguito in Italia, ma è anche un’opportunità straordinaria per la comunicazione pubblicitaria. In termini di audience e impatto mediatico, si sente sempre più spesso dire che Sanremo rappresenta l’equivalente italiano del Super Bowl americano. Tuttavia, se vogliamo veramente che questa analogia funzioni, è necessario un cambio di approccio da parte delle aziende e delle agenzie pubblicitarie. Osservando gli spot dell’ultimo Super Bowl, si nota una netta differenza rispetto a quelli trasmessi durante questo Festival: gli annunci americani sono quasi sempre pensati e realizzati appositamente per l’evento, con chiari obiettivi di brand building e posizionamento strategico. In Italia, invece, si assiste spesso alla riproposizione di campagne già in circolazione, che non sfruttano appieno il potenziale della kermesse sanremese per distinguersi e lasciare il segno. E anche quando si prova a creare qualcosa ad hoc – a mio modo di vedere – raramente si coglie nel segno. In generale ho notato superficialità, il ricorso a stilemi abusati e – spesso – uno scarso spessore dell’approccio strategico. Quest’anno nessuno spot si è meritato il mio 5, il voto migliore nella scala che abbiamo adottato per il nostro San Spot. Ma non vedo l’ora di dare un sacco di 5 alle campagne dell’anno prossimo. Il potenziale c’è, basta crederci, essere ambiziosi e copiare dai nostri colleghi negli USA. Copiare in senso buono, eh…”,
Matteo Lusiani, brand Consultant
“Ceres e MV Line hanno giustamente conquistato i primi due posti. Tra gli altri, scelgo il Gattopardo di Netflix. Nell’anno in cui si è passati da Amadeus a Conti, da un format XL a uno più veloce, dal ‘macromondo’ al ‘micromondo’, Netflix ha giocato bene con il cambiamento facendo leva sulla citazione iconica: ‘Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi’. Il sottotesto è perfetto, con tutti questi significati più la scalinata che richiama Sanremo. Forse il testo poteva essere più incisivo: il monologo verso la telecamera di Kim Rossi Stuart inizia col botto (‘C’è un altro uomo a condurre’, bravi, avete la mia attenzione), ma il prosieguo è meno accattivante dei lavori degli anni scorsi. Detto questo, Netflix si conferma il brand più bravo a giocare con l’attualità, sentendosi parte di un contesto che va oltre i prodotti e le categorie di mercato per abbracciare la cultura, soprattutto quella pop. È con questa mentalità che si può fare non solo pubblicità, ma anche intrattenimento. La strada verso il ‘nostro Super Bowl’ è ancora lunga, ma il Super Bowl non è diventato questo dall’oggi al domani. Sanremo si è incamminato nella giusta direzione e i cinque lavori selezionati mostrano la strada”.