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Libra: la cryptomoneta di Facebook non è di Facebook. Una storia alla rovescia, raccontata nei panni dell’avvocato del Diavolo

Ormai lo sanno tutti: ieri mattina, a Ginevra, è stata svelata Libra, la cryptomoneta – per ora permission-based, ma a tendere permissionless, nel giro al massimo di cinque anni – che porterà la tecnologia blockchain a disposizione di tutti, a partire da quel miliardo di persone che non hanno un conto corrente ma dispongono di uno smartphone. Ed ecco allora che trasferimenti istantanei, pagamenti digitali e simili, a costi bassissimi e addirittura a costo zero, saranno alla portata di chiunque.

Poiché ampia pubblicizzazione è già stata data alla notizia, alla valuta e alle future potenzialità, per una volta vogliamo assumere il ruolo dell’avvocato del Diavolo, dello scettico che trova la pagliuzza che stona all’interno di un quadro largamente ottimistico. Non che questo sia l’approccio migliore possibile, ma sicuramente rappresenta qualcosa di diverso dalla informazione di massa comunque veicolata ieri attraverso i media.

Indossata la toga dell’avvocato del Diavolo. dunque, la prima notizia è che la valuta di Facebook non è di Facebook. Facebook, insieme a Instagram, Messenger e Whatsapp, è solo uno dei 27 soci del consorzio, denominato Libra Association , che racchiude protagonisti del calibro di Mastercard, PayPal e Visa; tecnologici come eBay, Lyft, Spotify e Uber; specialisti blockchain e venture capitalist. Non potevano mancare organizzazioni non profit come Creative Destruction Lab, Kiva, Mercy Corps, e Women’s World Banking, esentate dal versare la fiche di 10 milioni dollari per entrare nel progetto.

I soci potranno arrivare a 100, prima del lancio effettivo di Libra a metà del 2020, ma – recita la presentazione di Libra Association – nessuno potrà superare i 10 milioni di dollari o l’1% di possesso del capitale. Una proprietà estremamente frazionata, come è la regola nella distributed ledger economy a cui si ispira la cryptocurrency, ma che smentisce decisamente la comunicazione del “Facebook batterà moneta” che è stata all’ordine del giorno fino ad oggi, il sottostante a ogni messaggio. Anzi, a guardare meglio, nell’elenco dei soci di Libra Association non c’è Facebook (o Whatsapp, o Instagram); c’è Calibra, un controllata destinata a garantire la separazione tra le attività finanziarie e quelle social del network.

Per il momento il ruolo di Facebook è quello di motore e facilitatore per l’affermazione di Libra, ma dopo il lancio “will have the same commitments, privileges, and financial obligations as any other Founding Member”.
Libra poi è un stablecoin, vale a dire una cryptomoneta che (a differenza dei bitcoin) viene emessa a fronte di una riserva di valute o asset finanziari stabili, che dovrebbe garantire una fluttuazione contenuta. Ma attenzione, perché “the value of one Libra in any local currency may fluctuate”, come qualsiasi altra valuta regolata da un rapporto di cambio. Con la differenza che non c’è ancora un luogo (fisico o virtuale che sia) dove questo valore sia fissato ufficialmente, quotidianamente.

Certamente, al momento stanno progredendo i colloqui con i “regolatori”, non meglio specificati, ma al momento il progetto manca del riconoscimento esterno: Libra rimane una delle versioni possibili delle cryptocurrencies, il cui valore è sostanzialmente basato sulla fiducia nei confronti dell’emittente.
Nel Libro Bianco da dove sono tratte le citazioni, inoltre, è esplicitato che gli interessi sulle riserve “will be used to cover the costs of the system, ensure low transaction fees, pay dividends to investors”, ma manca, e non è certo l’ultimo dei problemi quando si parla di moneta il cui obiettivo è rivolgersi a qualche miliardo di consumatori, quali sono le rispettive proporzioni, in altri termini, quanto andrà a ridurre le commissioni e quanto a retribuire gli investitori.

Infine nel Libro Bianco non mancano le frasi circa gli alti obiettivi dell’iniziativa, si afferma che “Libra is a simple global currency and financial infrastructure that empowers billions of people”, ci sono i dettagli di come proporsi per far parte della blockchain e via discorrendo, ma i promotori sono quanto mai parchi nell’affrontare gli aspetti pratici. Per esempio la Strong Customer Autentication richiesta dal 14 settembre prossimo alle banche che operano nella Unione Europea non è neanche menzionata. C’è ovviamente tutto il tempo necessario per predisporla prima del lancio di Libra, ma la cosa pare destinata a scontrasi con lo storytelling di miliardi di persone desiderose di usare servizi finanziari “semplici come condividere un foto”. Rispettare le normative degli Usa, decisamente più lasche, e quelle della UE non sarà un compito facile.

E per gli altri, quelli tech savvy, quelli che non pagano “interest rates of 400 percent or more”, serviranno dei fatti concreti per indurli a lasciare i loro conti correnti, le loro app come Satispay o quelle proprietarie, le loro carte di credito o i loro bancomat. Qualche cosa che li induca dare la fiducia (traduzione: soldi)a un social network che non ha una reputazione immacolata sulla protezione dei dati. A meno che tutte queste obiezioni vengano assorbite da un modello WeChat, che spopola in Cina. Oppure che il vero obiettivo non sia quello dichiarato di acquisire legioni di consumatori poveri, che hanno difficoltà ad accedere ai servizi finanziari, ma al contrario, quello di collaborare con “the financial sector, including regulators and experts across a variety of industries” per creare un altro grande oligopolio. Ma questo lo scopriremo nei prossimi mesi.