Interviste

L’AI genera, ma è l’uomo a orientare la direzione: benvenuti nell’era della creatività aumentata

Alessio Angiolillo, VicePresident di Digitouch Marketing
Alessio Angiolillo

L’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del marketing: non più solo automazione di task ripetitivi, ma vera leva strategica per personalizzare esperienze, anticipare bisogni e potenziare la creatività. Alessio Angiolillo, Vice President di Digitouch Marketing, ci guida in una riflessione profonda su come l’AI stia trasformando il ruolo delle agenzie, il valore del fattore umano e le competenze indispensabili per il futuro del settore.

Partiamo dallo scenario: oggi si parla molto dell’AI come strumento per automatizzare attività ripetitive nel marketing. Ma secondo voi, come si può andare davvero oltre? Dove inizia il vero valore strategico?

Lo scenario dell’intelligenza artificiale applicata al marketing è andato ben oltre la semplice automazione delle attività ripetitive. Oggi non si tratta più solo di inviare un’email automatica o gestire una campagna ADV con qualche regola preimpostata. Quella è la base, l’inizio. Il vero salto avviene quando l’AI diventa un alleato strategico, capace di personalizzare esperienze e guidare decisioni in tempo reale.

Pensiamo alla content intelligence, ad esempio: l’AI analizza in tempo reale il comportamento degli utenti e adatta i contenuti mostrati – che si tratti di un sito, di un’app o di una newsletter – in base a chi ha davanti. Non è più comunicazione ‘a target’, ma ‘a persona’, quasi individuale. Poi c’è un tema ancora più interessante: la predizione del customer journey. Non parliamo solo di reagire a ciò che un utente fa, ma di anticipare ciò che potrebbe voler fare. È come passare dal marketing reattivo a quello proattivo, dove l’AI diventa uno strumento che prevede ‘bisogni’ prima ancora che si manifestino.

Un altro ambito fondamentale è quello degli insight strategici. L’intelligenza artificiale non si limita a ‘fare’, ma inizia anche a ‘pensare’: scopre pattern che un marketer, per quanto esperto, potrebbe non vedere. Può suggerire nuove segmentazioni di pubblico, mercati emergenti, comportamenti latenti. In questo senso, l’AI diventa ‘un partner analitico’, che aiuta a prendere decisioni più informate e più rapide.

E non dimentichiamo l’aspetto creativo. L’AI non sostituisce la creatività umana, ma la potenzia. Genera idee, concept, copy, visual partendo da input strategici, e permette di testare decine di varianti creative in tempo reale, con logiche di A/B o multivariato. Il risultato? Contenuti sempre più personalizzati, pensati per risuonare con i diversi cluster di utenti.

Ma forse il punto più interessante è quello della co-creazione. Il vero valore nasce quando l’AI non è semplicemente uno strumento, ma un collaboratore. I team di marketing non devono più solo ‘usare’ l’intelligenza artificiale, ma dialogare con essa. L’AI propone, suggerisce, esplora. I team decidono, affinano, orientano. È da questa collaborazione che nasce anche la nostra idea di ‘Original Intelligence’: non solo artificiale, ma originale, perché nasce dall’incontro tra tecnologia e intelligenza umana.

In che modo state integrando l’AI nella creatività? Può affiancare o addirittura ispirare i team creativi nelle campagne di comunicazione?

Nel team di Digitouch Marketing stiamo integrando l’intelligenza artificiale generativa e i modelli linguistici a diversi livelli dei nostri workflow creativi. Non si tratta di una semplice adozione tecnologica, ma di una vera e propria evoluzione del nostro approccio alla creatività.

Partiamo dalle fasi iniziali di brainstorming, dove utilizziamo LLM e modelli generativi per stimolare la nascita di idee originali, esplorare varianti concettuali e perfezionare le proposte in tempi molto rapidi. Questo ci consente di ampliare il raggio creativo, rendendo le sessioni più ricche e produttive. Nelle fasi successive di sviluppo e concretizzazione, ci affidiamo ai migliori strumenti text-to-image, text-to-video e test-to-sound per generare visual impattanti, storyboard dinamici e contenuti audio e video non convenzionali. Questi tool agiscono come veri e propri assistenti creativi, migliorando la qualità dello storytelling e velocizzando la produzione.

Anche nella fase esecutiva, per la stampa o la progettazione di materiali fisici come stand o grafiche di grande formato, l’AI gioca un ruolo fondamentale. Utilizziamo strumenti di upscaling per mantenere un’altissima qualità visiva senza compromessi tecnici.

Inoltre, l’AI ci consente di elevare significativamente il livello di personalizzazione delle proposte rivolte ai clienti, mantenendo al contempo processi fluidi, tempi di risposta brevi e costi ottimizzati rispetto al passato.

Possiamo dire che l’AI non sta semplicemente supportando i nostri processi creativi: sta cambiando il modo in cui concepiamo la creatività stessa. È una rivoluzione creativa in atto, che ci permette di essere più veloci, più efficaci e più competitivi.

Per quanto riguarda l’ispirazione, la nostra conoscenza approfondita dei tool di AI generativa, unita a tecniche avanzate di prompt engineering, ci permette di mettere sul tavolo molte più opzioni creative da esplorare, mixare e affinare. Questo arricchisce la qualità delle idee e stimola continuamente nuovi linguaggi e nuovi immaginari.

Se l’AI generativa sta ridefinendo i confini della creatività e abbattendo le barriere tra ideazione e produzione, quale sarà il ruolo di un’agenzia creativa nei prossimi anni?

È vero, oggi l’intelligenza artificiale generativa sta cambiando radicalmente il modo in cui creiamo contenuti. I tempi tra l’idea e la sua realizzazione si stanno accorciando in maniera impressionante, e questo sta spingendo tutti – agenzie comprese – a ripensare il proprio ruolo. Secondo me, però, proprio in questo contesto le agenzie creative non perdono rilevanza. Al contrario, acquistano un nuovo tipo di valore. Non si tratta più solo di produrre contenuti, ma di dare senso e direzione alla creatività.

L’AI può generare un’infinità di immagini, testi, video… ma non ha ancora la capacità di comprendere fino in fondo il contesto culturale, l’intuizione emotiva, le sfumature di un brand. E qui entra in gioco il ruolo dell’agenzia, che diventa una sorta di ‘curatore creativo’: seleziona, affina, collega le idee all’identità di marca e alle esigenze del pubblico.

Un altro aspetto interessante è che, grazie all’AI, possiamo sperimentare di più e più velocemente. Prototipare, testare, adattare le idee in tempo reale. Questo cambia il modo in cui lavoriamo con i clienti: non più solo presentazioni statiche, ma veri e propri laboratori creativi. E poi c’è un altro passaggio fondamentale. Le agenzie stanno diventando sempre più orchestratrici di ecosistemi complessi, fatti di strumenti AI, talenti umani, nuove tecnologie. Si tratta di integrare tutto questo in progetti che non sono solo belle campagne, ma vere e proprie esperienze.

Il ruolo dell’agenzia creativa nei prossimi anni sarà sempre meno legato alla semplice produzione, e sempre più vicino a quello di ‘direttore creativo aumentato’: qualcuno che sa dove andare, come arrivarci, e come dare forma a una visione in un mondo che cambia ogni giorno.

In uno scenario dove l’AI è pervasiva, quale sarà il nuovo ‘fattore umano’ competitivo?

Credo che questa sia una delle domande più importanti del momento. Perché in un mondo dove l’intelligenza artificiale è sempre più presente – nei processi, nei prodotti, nelle decisioni – viene spontaneo chiedersi: che cosa rimane veramente umano? E soprattutto: dove possiamo ancora fare la differenza?

La verità è che il valore competitivo non sarà più nella velocità, né nella capacità di produrre tanto e in fretta. Lì l’AI è già più brava di noi. Il vero vantaggio sarà altrove: nella nostra capacità di dare senso alle cose. In mezzo a miliardi di dati, contenuti generati, analisi automatiche… quello che farà la differenza sarà la persona che sa porsi le ‘domande giuste’, che riesce a cogliere una sfumatura, a interpretare un contesto, a immaginare scenari che nessun algoritmo può prevedere. La creatività, l’intuizione, la visione strategica, tutte qualità profondamente umane, che non si riducono a un set di dati. Pensiamo anche alla ‘relazione con le persone’: creare fiducia, ascoltare davvero, costruire legami. Sono competenze che restano – e resteranno – fondamentali, soprattutto in contesti dove l’AI genera tutto ma spesso ‘non capisce nulla’.

E poi c’è un altro tema cruciale: l’Etica. In un’epoca dove la tecnologia può fare quasi tutto, la vera domanda è: ‘cosa vogliamo farci?’ Il fattore umano sarà anche la capacità di scegliere, di prendere decisioni responsabili, di guidare l’innovazione con consapevolezza. In fondo, più la tecnologia avanza, più il valore torna a ciò che ci rende davvero umani: ‘pensiero critico, empatia, responsabilità’. E credo che, in questo, ci sia una grande opportunità per riscoprirci non solo professionisti migliori, ma anche persone migliori.

Guardando al futuro, quali competenze ritenete saranno imprescindibili per i professionisti del marketing in un mondo sempre più dominato dall’AI?

È una domanda che ci tocca tutti da vicino. Perché l’intelligenza artificiale sta cambiando profondamente il modo in cui lavoriamo nel marketing, ma non vuol dire che tutto sarà automatizzato o sostituibile. Anzi, proprio per questo diventa fondamentale capire che cosa rende un professionista del marketing davvero rilevante oggi – e soprattutto domani.

La prima cosa che mi viene in mente è il pensiero critico. L’AI può generare dati, analisi, suggerimenti… ma serve qualcuno che sappia fare le domande giuste, che sappia leggere tra le righe, cogliere segnali deboli e capire dove davvero si nasconde un’opportunità. Insomma, non basta avere accesso a una dashboard: bisogna ‘capirne il senso’.

Poi c’è la visione strategica. Le macchine sono molto brave a suggerire azioni tattiche, ottimizzazioni, automazioni. Ma la direzione, la visione di marca, il posizionamento… restano profondamente umani. Un marketer dovrà saper guidare l’AI, non solo usarla.

La creatività, ovviamente, non perde importanza. Però cambia. Si parla sempre più spesso di ‘creatività aumentata’, ed è proprio così: oggi chi lavora nel marketing deve saper usare l’AI come un’estensione del proprio processo creativo. Non per sostituirlo, ma per potenziarlo. Sperimentare, generare alternative, prototipare idee in tempi rapidissimi: è una rivoluzione che va colta con curiosità.

E a proposito di rivoluzioni: serve anche un minimo di AI literacy. Non parlo di saper programmare, ma almeno capire come funzionano questi strumenti, cosa possono fare davvero e dove invece hanno dei limiti. È un linguaggio nuovo, e chi non lo parla rischia di restare fuori dai giochi.

Un’altra competenza, forse meno tecnica ma molto più rara, è l’empatia. In un mondo pieno di contenuti generati, quello che fa la differenza è ancora la capacità di entrare in sintonia con le persone, capirne i bisogni profondi, comunicare in modo autentico. Più le interazioni si automatizzano, più il valore si sposta verso l’autenticità.

E infine – ma forse è la competenza più importante – la capacità di apprendere in modo continuo. Tutto cambia velocemente, le tecnologie si evolvono ogni giorno. Chi lavora nel marketing dovrà essere pronto a mettersi in discussione, a imparare cose nuove costantemente, a reinventarsi quando serve.

Il marketer del futuro sarà dunque una figura ibrida: analitica ma creativa, tecnologica ma umana, strategica ma sempre in ascolto. Chi saprà integrare questi aspetti in modo fluido sarà, secondo me, davvero competitivo in un mondo guidato dall’AI.

di Monica Gianotti