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Intelligenza artificiale sì, ma il vero vantaggio resta umano: perché le connessioni contano più degli algoritmi

Lo rivelano i dati di una ricerca LinkedIn: intuizione, empatia e connessioni guidano ancora il lavoro degli italiani
Marcello Albergoni, Country Manager LinkedIn Italia
Marcello Albergoni, Country Manager LinkedIn Italia

In un mondo dove l’intelligenza artificiale cresce giorno dopo giorno, gli italiani sanno una cosa: nessuna macchina potrà mai sostituire un consiglio sincero, un’idea nata dal confronto e l’empatia tra colleghi. Eppure, la curiosità e la FOMO spingono i professionisti a correre, imparare e sperimentare. Come conciliare entusiasmo e timori? Cerca di dare una risposta una nuova ricerca globale condotta da LinkedIn.

L’AI non è più né una chimera né uno spauracchio

L’AI è ormai parte integrante della realtà quotidiana di milioni di professionisti, anche in Italia. Tuttavia, se da un lato cresce l’ottimismo – con più della metà (54%) dei lavoratori che crede che l’AI migliorerà la gestione quotidiana dei propri compiti – dall’altro resta forte la sensazione di essere in ritardo. Una vera e propria FOMO (Fear Of Missing Out) che riguarda oltre un terzo dei professionisti italiani (34%), che dichiara di sentirsi sopraffatto dalla rapidità con cui si è chiamati a ‘capire l’AI’.

Non solo, quasi la metà dei lavoratori italiani (47%) ha la percezione di non sfruttare appieno le potenzialità dell’IA nel proprio lavoro. Un dato che sale significativamente tra i più giovani e che riflette una tendenza trasversale: l’incertezza su come l’AI potrebbe cambiare il proprio ruolo professionale nell’immediato futuro (3-5 anni), con un 35% che si dichiara impreparato a gestire un’eventuale transizione.

“Nel 2024 abbiamo raccontato un mondo del lavoro in trasformazione; oggi, nel 2025, siamo nel pieno di quel cambiamento. L’IA non è più una novità da esplorare, ma una realtà da integrare”, spiega nella nota Marcello Albergoni, Country Manager LinkedIn Italia. “Solo un terzo dei professionisti (35%) si sente sicuro sulle competenze da sviluppare, eppure molti investono personalmente nella propria crescita. Questo dato rivela una grande opportunità per le aziende: promuovere una cultura di formazione continua, supportando i dipendenti nella trasformazione digitale e offrendo strumenti per creare percorsi personalizzati e strutturati. È proprio facendo leva su questo approccio positivo al cambiamento che i leader devono fare la differenza: fornendo formazione, strumenti chiari e, soprattutto, creando un clima di fiducia e collaborazione intergenerazionale”.

Gen Z in prima linea, ma più esposta

Dall’analisi generazionale emergono dati particolarmente significativi. Tra i 18-28enni, il 61% si dice ottimista rispetto all’impatto positivo dell’AI sul lavoro quotidiano, ma allo stesso tempo il 40% dichiara di non sapere quali competenze AI siano necessarie per restare competitivi nel mondo del lavoro. Questo paradosso – fiducia ma anche smarrimento – caratterizza una ‘Generation AI’ entusiasta ma bisognosa di una guida. I dati ci dicono che, in generale, i professionisti faticano a tenere il passo: il 44% vive l’apprendimento dell’IA come un secondo lavoro, un dato che tocca il 58% tra i giovanissimi (18-24 anni).

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Human touch vs AI

In un contesto sempre più automatizzato, i lavoratori ribadiscono il valore del fattore umano: per il 37% nulla può sostituire la profondità del dialogo e del confronto tra colleghi, mentre il 33% sottolinea che crescita e successo professionale dipendono anche e in gran parte da empatia e intelligenza emotiva.

Nonostante la crescente adozione dell’AI, il 74% degli intervistati ritiene che il giudizio delle persone e la loro capacità di intuizione, rafforzata dal confronto con colleghi e pari, non possano essere eguagliate dall’intelligenza artificiale. In effetti, il 57% afferma di sentirsi più sicuro nelle decisioni quando può contare sul supporto della propria rete professionale.

L’utilizzo dell’AI a supporto dei processi decisionali suscita perplessità tra i professionisti intervistati. Più della metà di loro (55%) sostiene che l’AI sia utile per scrivere o aiutare a redigere contenuti, ma che non rappresenti ancora uno strumento davvero adeguato quando si tratta di prendere decisioni. Non solo, in molti (40%) esprimono preoccupazioni di ordine etico quando l’IA viene utilizzata per questo tipo di compito. Il dato risulta più marcato tra i più giovani, con il 44% degli under 25 che dichiarano di nutrire questo genere di perplessità.

Sempre secondo l’indagine LinkedIn, l’AI sta anche modificando la dinamica tra colleghi: il 17% afferma di aver rivolto una domanda a un tool AI che avrebbe normalmente posto a un collega o al manager, e il 24% segnala che l’AI ha effettivamente liberato tempo utile per la socialità e il confronto con i colleghi.

Uno scenario in chiaroscuro, da cui emerge però che, oltre alla formazione tecnica, le aziende dovranno costruire fiducia anche sul piano dei valori e della trasparenza nell’adozione dell’AI.

Informarsi ai tempi dell’IA: ma da quali fonti?

Quando si parla di informarsi e rimanere aggiornati attraverso la fruizione di contenuti rilevanti per la propria categoria, i fattori che generano fiducia tra i professionisti sono chiari: la trasparenza sulle fonti e i dati (39%), la pertinenza e accuratezza delle informazioni (38%) e la credibilità di chi condivide i contenuti (33%). Anche la reputazione della piattaforma da cui si attingono le informazioni, al di là dell’autore, è considerata rilevante dal 31%.

Ma, in fin dei conti, è la voce degli esperti che conta: l’85% dei professionisti italiani dichiara che creator e thought leader influenzano notevolmente la propria propensione a interagire con contenuti online, con un 16% che segue attivamente un professionista che considera un esperto del settore.

Infine, la dimensione relazionale è cruciale anche per informarsi, favorendo l’interazione con i contenuti disponibili online: il 25% preferisce video brevi condivisi da persone della propria rete, percepiti come più autentici e affidabili, mentre il 18% si sente coinvolto da post personali che raccontano esperienze dirette.

I leader? Devono facilitare il cambiamento

In conclusione, l’introduzione accelerata dell’AI e il costante evolversi delle dinamiche lavorative stanno generando un forte senso di pressione e paura di rimanere indietro. Il 34% dei professionisti intervistati ritiene che il ritmo del cambiamento sul lavoro non sia sostenibile per il proprio benessere, un dato che cresce sensibilmente tra i più giovani: il 45% dei 25-34enni e il 42% dei 18-24enni si dichiarano d’accordo.

La fatica emotiva si accompagna a una difficoltà concreta quando si tratta di ‘staccare’: il 35% afferma di non riuscire a disconnettersi a causa del ritmo accelerato, con picchi tra i 25-34enni (48%) e i 18-24enni (40%). Questa trasformazione si riflette anche sulla quantità di lavoro percepita: il 37% dichiara che il proprio carico è aumentato significativamente a causa dei cambiamenti recenti.

In questo scenario incerto, oltre la metà dei professionisti (53%) guarda alla leadership come riferimento chiave per navigare il cambiamento. E il 45% ritiene che l’azienda stia aiutando i team a tenere il passo con le trasformazioni in atto.

Un fattore di grandissima rilevanza, considerando che il 48% degli intervistati è convinto che l’AI porterà a un maggiore focus sulle competenze rispetto alle qualifiche più tradizionali, come ad esempio una laurea o un altro tipo di diploma.

Una questione anche culturale

L’AI non è (solo) una questione tecnica, ma anche culturale. Per questo, le aziende hanno oggi l’opportunità – e la responsabilità – di accompagnare i professionisti non solo con corsi e tool, ma con visione, dialogo e contesto. Perché spiegare verso che tipo di futuro stiamo andando è parte essenziale del guidare l’innovazione.