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‘Il Maestro’, Favino e il lato umano della sconfitta nella nuova commedia di Andrea Di Stefano

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, il film, sullo sfondo di un rapporto padre-figlio dominato da aspettative e regole, trasforma il tennis in una metafora di vita, crescita e libertà

“Michael Chang a 17 anni ha appena battuto Ivan Lendl al Roland Garros. Siamo in ritardo”. Sono le parole del padre di Felice, 13 anni, promessa del tennis su cui il genitore punta forte. Dopo anni di allenamento Felice arriva finalmente a giocare i tornei nazionali. Visto che il livello si è alzato, il papà affida felice a un sedicente ex campione di tennis, Raul Gatti, che pare in carriera abbia raggiunto un ottavo di finale al Foro Italico. È lo spunto da cui parte Il Maestro, il nuovo film che vede Pierfrancesco Favino nel ruolo dell’insegnante di tennis – e di vita – del piccolo Felice, interpretato da Tiziano Menichelli.

Il film è diretto da Andrea Di Stefano, uno dei nostri registi più versatili: dopo i film di genere come The Informer, girato in America, e L’ultima notte di Amore, da cui è nato il sodalizio con Favino, ora gira un film personale – quella del ragazzino, del padre e del maestro è la sua storia – e particolarissimo, vicino alla vecchia Commedia all’Italiana. Scritto da Di Stefano con Ludovica Rampoldi e prodotto da Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Viola Prestieri per Indigo Film e da Marco Cohen, Benedetto Habib, Fabrizio Donvito, Daniel Campos Pavoncelli per Indiana Production, Il Maestro è stato presentato alla 82ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e uscirà nelle sale il 13 novembre.

Un film che parla di legami

Parla di rimpianti, di vittorie e fallimenti, e non solo su un campo da tennis. Ci parla del rapporto tra padri e figli e delle aspettative che spesso i genitori hanno per i loro eredi, e che si traducono spesso in pressioni. Ci parla delle scelte che, di fronte a rapporti importanti, facciamo, scelte da cui non possiamo tornare indietro. Andrea Di Stefano ci racconta la storia di un adulto che in fondo non è mai cresciuto, e di un bambino che forse è più adulto di lui. Ma forse, alla sua età, ha già troppe regole da seguire.

“Queste regole ci stanno uccidendo”, gli dice a un certo punto il suo mentore. Che di regole, vedremo perché, ne deve seguire molte anche lui. “Vediamo un ragazzino formato con le regole del padre”, ci spiega Andrea Di Stefano. “Nell’ultima scena del film Felice decide di andare contro quelle regole. È una storia di formazione. È una persona che in qualche modo abbandona tutto e segue l’istinto grazie a quel maestro che lo ha liberato del peso del controllo del padre”.

Il tennis vuol dire essere soli con se stessi

E se le cose non vanno nel verso giusto non si ha nessuno con cui prendersela se non con noi stessi. E così il nostro Raul dovrà fare i conti con chi è stato e con quello che è diventato. E, forse, riuscire a guardare avanti.

“Alla fine non hai alibi”, commenta Favino. “Il tennis è spietato: è vero che sei da solo ed è vero che è con te stesso che te la devi prendere. Ed è con la tua vita che devi fare i conti”. La sua storia, man mano che il film procede, verrà fuori attraverso vecchie foto, vecchi luoghi, vecchi amici, automobili e ritagli di giornale.

Ma fate attenzione anche a quei polsini da tennista che Raul non si leva mai. Come nella vecchia Commedia all’Italiana – qualcuno, vedendo il film, ha citato Il Sorpasso di Dino Risi – dietro ai sorrisi c’è una storia amara, amarissima. E anche una speranza che ci fa uscire rincuorati dalla visione del film.

“Mi piacerebbe che le persone, uscendo dal film, volessero portarsi a cena questi due, portarseli a casa”, ci confessa l’attore. “Che il film ci facesse dire ‘ma lo sai che anche io forse vado bene come sono?’ Esiste un mentore perfetto? Io ho avuto maestri che mi hanno insegnato di più quando non sapevano di farlo”.

Un personaggio tragicomico

Il Raul Gatti di Pierfrancesco Favino è un classico carattere da Commedia all’Italiana. Mollicone, piacione e un po’ codardo, ma in fondo disperato. I Ray Ban a goccia, come quelli di Stallone e Tom Cruise, l’accento napoletano e quella parlata un po’ strascicata con la bocca semichiusa, un po’ tremante, i denti stretti. Il sorriso sornione che diventa spesso un sorriso amaro.

“È un personaggio scorretto, gaglioffo, uno che vive di espedienti”, lo descrive Favino. “E da qui c’è la tradizione della Commedia all’Italiana. Il risultato della recitazione è dovuto a questa specie di rapporto bislacco e imperfetto con la sua emotività. Quando veniva fuori il respiro trattenuto, come risultato aveva quei tentennamenti: quando provi a trattenere un’emozione diventi insicuro. Io e Andrea Di Stefano passavamo le nottate a dire quello che avremmo fatto in scena e il giorno dopo andavamo sul set e facevamo tutt’altro. La cosa bella del film è che non sono un padre. Allora posso sbagliare, posso non piacere al ragazzo. E il fatto che i due non debbano piacersi permette a loro di scoprire chi sono. E vai a capire chi dei due è il padre. È un feel good movie in cui la vittoria non è su un campo da tennis, ma in un altro campo della vita”.

Un gioco a due

Il contraltare di Pierfrancesco Favino è Tiziano Menichelli, nel ruolo di Felice, un ragazzo adorabile e timido come lo sono stati tanti di noi a quell’età, gli occhi puliti e svegli, un’innocenza che riesce a tirare fuori qualcosa dal suo mentore. Tiziano Menichelli poi, è il protagonista di un bellissimo gesto nell’ultima sequenza del film, uno sguardo in macchina con un sorriso e un occhiolino che ci sembrano perfetti per chiudere questa storia. Un gesto istintivo che il regista ha scelto di tenere al montaggio.

“Abbiamo lasciato l’occhiolino e la scena”, ci spiega. “Felice attacca, va avanti in primo piano e sorride. Tiziano Menichelli, che ha capito come funziona il cinema, viene avanti, sorride e fa l’occhiolino. E lì abbiamo capito che era nato un performer. Lo ha fatto al momento giusto, con il sorriso giusto, e io l’ho lasciato nel film. Non era sceneggiatura, ma era una firma di felice sul film”.

La storia di un loser

Quello che ci piace de Il maestro è quell’attenzione e quell’affetto per i perdenti.

“Io sono molto felice del fatto che non sia un vincente”, ci confida Favino, che ormai non sbaglia un film, ma qui va ulteriormente oltre le sue grandi interpretazioni. “Raul mi ha dato la possibilità di mostrare altri colori rispetto a quelli che ho usato fino ad adesso, perché anche se ho interpretato persone in fase perdente, erano sempre stati dei leader. Questo è un personaggio che mi somiglia di più, molto di più di quello che si crede. Io non mi dico ‘sei un vincente’ perché non mi ci sento. È un personaggio meravigliosamente simile a molti di noi. Sul podio, al numero 1, ce n’è uno solo. Ma noi, tutti gli altri, siamo tutti più simili a questo personaggio”.

di Maurizio Ermisino