Entertainment

Il Gattopardo, presentata a Roma la nuova serie Netflix di Indiana Production e Moonage Pictures

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. È cambiato molto, ovviamente, nel nuovo adattamento de Il Gattopardo, la serie evento in arrivo solo su Netflix dal 5 marzo e prodotta da Indiana Production e Moonage Pictures. E non poteva essere altrimenti. Il Gattopardo è una serie molto attesa. Non a caso, durante l’evento globale Next On Nextlix, Bela Bajaria, Chief Content Officer di Netflix, l’aveva inserita tra le serie della proposta globale Netflix, cioè i prodotti non in lingua inglese. Si sa che, quando si parla del nostro Paese, nel mondo amano guardare l’Italia che viene dal passato. E amano la nostra storia e i nostri paesaggi, soprattutto quelli di un sud solare e sfarzoso. Per noi italiani, e per i cinefili, certo, Il Gattopardo è il capolavoro di Luchino Visconti e allora capita di vedere la serie con altri occhi, più attenti, anche più critici. Rivedere Il Gattopardo oggi, vuol dire anche provare a cogliere la modernità, i riferimenti attuali di questa storia. La frase iconica del romanzo, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, si può applicare alla storia italiana più e più volte, fino a quella immediatamente recente. Ma c’è dell’altro. Ne Il Gattopardo c’è il tema delle giovani generazioni che vogliono costruirsi il futuro da sole. C’è il tema dell’ascesa sociale prepotente di nuovi ceti e nuove figure. C’è un discorso sul femminile, su cui torneremo. Ma c’è, lungo tutto il racconto, il continuo senso di essere alla fine di un’epoca, di un mondo consapevole di essere al tramonto, mentre una nuova era sta per iniziare. Che è un po’ l’atmosfera che si respira oggi.

Una Downton Abbey italiana

Il Gattopardo, nella sua nuova versione seriale, ha quindi una sua attualità. Ma sicuramente vi state chiedendo perché girarne una nuova versione oggi. Al Grand Hotel Plaza di Roma, dove è stata girata una scena chiave della serie, quella del ballo, alla conferenza stampa di lancio, ci è stato spiegato da dove viene questa idea. Da un lato, dalla voglia di girare una grande serie sull’aristocrazia in Italia, una sorta di The Crown o una Downton Abbey, ma di casa nostra. “Ci è venuto in mente Il Gattopardo” ha spiegato Fabrizio Donvito, produttore e co-ceo di Indiana Production. “Ci siamo chiesti se i diritti fossero liberi: lo erano, ma c’era un contest internazionale. Lo abbiamo vinto, in base alla visione”.

Una lettera d’amore (inglese) all’Italia e alla Sicilia

Dall’altro lato c’è una casa di produzione inglese, Moonage Pictures, e un gruppo di persone innamorate dell’Italia e della Sicilia. La visione di questo nuovo Gattopardo dunque è la loro, l’Italia come la vedono da fuori. “Avevo visto il film da ragazzo, nel Regno Unito, all’università ho letto il libro” ci ha spiegato Richard Warlow, creatore della serie e sceneggiatore, insieme a Benji Walters. “Adattarlo per il piccolo schermo è stata una sfida, ma in positivo: un mondo pieno di sole, di polvere, bellezze naturali, tutte cose che a Londra non abbiamo”. “Dopo averne parlato ho letto il progetto di Richard, ed era un mondo a cui volevo appartenere” ha aggiunto il produttore Will Gould. E il regista Tom Shankland, che ha diretto gli episodi 1-2-3-6 (gli altri sono diretti da Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti), è forse tra tutti il più grande fan dell’Italia. “Per me è stata un’origin story della mia infanzia” ricorda entusiasta. “Mio padre insegnava italiano e ogni tre quattro anni giravamo l’Italia per fare ricerca: ma il vero motivo era viaggiare e passare molto tempo in Sicilia”. Il Gattopardo è insomma una lettera d’amore per l’Italia e la Sicilia da chi solitamente la osserva da lontano. Realizzata però con alcune eccellenze del nostro cinema.

Kim Rossi Stuart, Principe di Salina forte e fragile

Una di queste eccellenze è Kim Rossi Stuart. È lui, baffi e basette d’ordinanza, a ricoprire il ruolo che fu di Burt Lancaster nel classico di Visconti. Il suo Principe di Salina è una sorta di super uomo, sa tutto, anche quello che non vede. Negli occhi, e nel sorriso, ha sempre qualcosa di ironico, di sarcastico, come se sapesse sempre qualcosa di più degli altri e più di noi. E come se lo steso Stuart sapesse in che ruolo iconico si trova e ce lo volesse dire. Stuart è entrato nel ruolo a modo suo. “Mi sono confrontato con questa immagine mastodontica che c’era in sceneggiatura: due metri di uomo, un corpo pesante, con questa superbia, questa forza” ci ha raccontato. “Io mi percepisco fragile, insicuro: ma ho letto il libro e ho avuto accesso a tutto un mondo interiore, a una fragilità”. Così ha lavorato sul corpo, cercando di allargarlo (anche grazie a trucco e costumi) e sulla profondità della voce.

Deva Cassel è Angelica, donna in una missione che non è la sua

C’è poi anche un discorso sul ruolo delle donne, che oggi acquista un senso diverso. Uno dei cuori della storia è il personaggio di Angelica, che nel film era interpretata da Claudia Cardinale. Oggi in quegli abiti c’è Deva Cassel, la figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, così bella e perfetta da sembrare un’immagine della Bellucci generata dall’Intelligenza Artificiale. Angelica è la bellezza femminile usata per raggiungere determinati scopi: il padre, il Sindaco Sedara, sfrutta la sua eleganza e il suo portamento per la sua scalata della società verso un nuovo status. “È cresciuta vivendo attraverso gli occhi del padre, per compire una missione che non era per forza la sua” dice del suo personaggio. “Ha cominciato a usare la sua bellezza e la sua femminilità per rendere orgoglioso il padre, ma anche per rendersi indipendente da lui”. Deva Cassel ha scelto di non rivedersi l’interpretazione della Cardinale per dare una sua visione di Angelica. Benedetta Porcaroli ha dovuto invece lavorare molto d’immaginazione per il ruolo di Concetta, la figlia del Principe, che è poco approfondita nel libro e nel film. “Allora per una donna era molto difficile trovare la propria strada, immaginare un futuro che non fosse già deciso” spiega. “Ho immaginato che questa ragazza si porti dentro una rivoluzione, che fa da contraltare alla figura maschile, del padre, e che con lui cerca un dialogo alla pari”. Ogni scelta, anche dolorosa, sarà per trovare con lui questo dialogo.

Riempire gli interstizi di tempo

Per realizzare sei episodi da una storia che nel romanzo ha parecchi salti temporali, si è trattato di riempire degli spazi, di “costruire negli interstizi di tempo qualcosa di originale da cui ripartire”, come ha spiegato Tinni Andreatta. “Abbiamo passato settimane con i nostri consulenti storici, uno italiano e uno inglese” spiega lo sceneggiatore. “Abbiamo cercato di capire bene come andassero le cose in quel periodo, quali sarebbero potute essere le reazioni dei personaggi, la cultura, cosa potessero avere fatto nel frattempo”. Nel vedere questa Sicilia e questo patrimonio letterario visto dall’esterno, qualcuno potrebbe parlare di appropriazione culturale indebita, suggerisce una giornalista. “Pensiamo che la ricchezza della terra di Sicilia venga da tante parti, dai normanni, dai greci, dagli arabi” risponde Fabrizio Donvito. “È un luogo che è speciale, è cresciuto nell’essere molteplice. Abbiamo percorso la stessa strada”. E, poi, come ci ricorda Tinny Andreatta, Umberto Eco diceva che “la traduzione è sempre un tradimento”.

di Maurizio Ermisino