È solo l’ultima – in ordine cronologico – di una serie di operazioni che hanno coinvolto il settore del food delivery: il gruppo statunitense del delivery DoorDash ha rilevato Deliveroo, con un’offerta complessiva da 2,9 miliardi di sterline. Grazie all’acquisizione, Doordash, che controlla i due terzi del mercato delle consegne food negli Usa, si espanderà nel mercato britannico – dove già controlla Wolt – ed europeo. Fatto degno di nota, benché non il primo storicamente – basti pensare a UberEats – per un mercato ancora giovane, che ha già vissuto le ondate di espansione geografica e di ‘ritiri’ strategici, e basato su un modello di business, quello dei rider autonomi, spesso soggetto a critiche e a decisioni giudiziali non sempre favorevoli.
Ma prima di analizzare nel dettaglio questi avvenimenti, un avviso: quello europeo non è il principale marcato del food delivery al modo, nonostante le sua frammentazione abbia portato spesso a notizie sugli ingressi o uscite da un determinato paese, o sulle acquisizioni cross country di società di delivery di dimensioni minori, che sono state inglobate degli operatori più grandi. Ma neppure gli Stati Uniti lo sono, nonostante un mercato unico interno di 330 milioni di abitanti: il maggior mercato per il food delivery, non sorprendentemente, è quello cinese, con una valutazione 2024 di 82 miliardi di dollari.
Il più grande mercato del food delivery al mondo
La forte crescita economica della Cina, l’evoluzione degli stili di vita e la crescente penetrazione di Internet e degli smartphone sono alcuni dei principali fattori trainanti di questo mercato. Inoltre, la grande popolazione cinese giovane, che costituisce la maggioranza dei consumatori, ha ulteriormente favorito questa crescita. Gli abitanti delle città, che conducono uno stile di vita frenetico, tendono a ordinare cibo online più frequentemente degli altri.
Il mercato cinese è dominato principalmente da due operatori: Meituan Dianping, sostenuto dal gigante di internet Tencent, ed Ele.me, sostenuto da Alibaba. I principali operatori del Paese si stanno ora concentrando sull’espansione delle loro attività nelle città più piccole, che hanno un forte potenziale di crescita in quanto sono mercati meno sviluppati rispetto alle grandi città come Pechino e Shanghai, e stanno anche ampliando la loro offerta di prodotti e puntando su orari non di punta, come il tè del pomeriggio o gli spuntini notturni. Un’evoluzione sicuramente molto interessante, ma assolutamente diversa da quella europea che vede invece una transizione da food delivery puro e semplice e servizio di consegna a domicilio di acquisti a distanza, prenotati ed effettuati in supermercati, farmacie, centri commerciali e simili.
Le conseguenze della frammentazione in Europa
In Europa, ma anche nel mondo, il boom del food delivery è stato storicamente legato alla pandemia: con la gente confinata in casa, la consegna a domicilio si è rivelata il modo migliore per non rinunciare anche a quelle che sono poi tuttavia diventate abitudini acquisite, tant’è che con la cessazione dell’emergenza, lungo dal tramontare, questa necessità si è vieppiù diffusa, pur con gli inevitabili alti e bassi del mercato, che si sono soprattutto tradotti in aperture e successiva chiusure di mercati, a seconda di quali fossero di risultati locali effettivi, al di là delle previsioni e stime iniziali. A titolo di esempio si potrebbe portare la parabola di Getir, società turca che arrivò a valere 12 miliardi di dollari dopo un round di finanziamento di 768 milioni nel 2022 per sostenerne l’espansione internazionale, e che nel maggio 2024 ha chiuso tutte le proprie operazione al di fuori della Turchia, con una valutazione precipitata a meno di un ottavo.
Anche tentativi di espansione Oltreatlantico, nel ricco mercato americano, non sono stati coronati da successo, come l’acquisto di Grubhub da parte di Just Eat Takeaway – il nome stesso è indice del consolidamento europeo in atto – chiusosi con la vendita a Wonder della partecipata americana.
Gli investitori, che si erano riversati sulle startup di consegna durante la pandemia, quando i clienti erano bloccati a casa a causa delle restrizioni di chiusura, con l’aumento dei tassi di interesse e il calo della domanda di servizi, hanno invece iniziato a ritirarsi da un settore colpito da un’ondata di consolidamenti, che ha visto le valutazioni calare drasticamente rispetto ai picchi dell’era Covid.
Just Eat Takeaway ha cercato per anni un modo per scaricare Grubhub. Inizialmente ha annunciato l’intenzione di vendere Grubhub già nell’aprile del 2022, cedendo alle pressioni degli investitori, mentre l’azienda lottava per respingere la concorrenza di rivali statunitensi come Uber Eats e DoorDash, e finendo con l’accettare la cessione nel novembre del 2024 a ‘mani dietro la schiena’, come si dice.
Crescono i ‘delivery giant’ extraeuropei
La stessa Just Eat Takeaway, d’altronde, è stata acquisita dalla sudafricana Prosus, che concretizza così l’opportunità per estendere la propria attività con una piattaforma europea dalla solida reputazione, a completamento dell’attuale network della stessa Prosus al di fuori dell’Europa.
La situazione in Europa, dove operano principalmente le multinazionali Just Eat Takeaway.com, Deliveroo, Uber Eats, Glovo e Delivery Hero (due statunitensi, una sudafricana, una spagnola e una svedese, il cui maggiore azionista però è la sudafricana Naspers) appare abbastanza chiara. D’altra parte i rispettivi pesi, a livello mondiale, disegnano un quadro decisamente sbilanciato: il mercato europeo vale più o meno 26 miliardi di dollari, con un mercato USA che vale quasi tre volte tanto (oltre 70 miliardi) e sta registrando una forte crescita, trainata dalla domanda di convenience da parte dei consumatori e dai progressi tecnologici delle piattaforme di ordinazione.
Addio ai rider ‘liberi’ professionisti a partita IVA?
Oltre alla questione dimensionale, tuttavia, c’è un altro aspetto che potrebbe mettere in crisi il mercato europeo, indipendentemente dalla nazionalità dei distributori: quello del modello di business, basato su algoritmi che gestiscono i rider, liberi professionisti a partita IVA per le consegne dell’ultimo miglio, che spesso si traducono in parecchi chilometri da percorrere in bicicletta per raggiungere l’abitazione del destinatario della consegna. Ma questo modello è in crisi quasi dappertutto: un numero crescente di magistrati tende a riconoscere la subordinazione attraverso il controllo dell’algoritmo e a obbligare l’azienda ad assumere come dipendente chi ha fatto ricorso giudiziario. È già accaduto, quasi con la stesse motivazioni, in Italia, in Germania e in Spagna, quasi con le medesime motivazioni.
In Italia vi è già il caso di Just Eat, che assicura che i suoi fattorini (riders) sono dipendenti diretti, con contratto di lavoro regolare secondo il CCNL. Questo significa che hanno diritto ai medesimi benefici e protezioni dei dipendenti di altre aziende della logistica. Ma gli altri big del food delivery continuano a fatturare i compensi come lavoro occasionale (fino 5.000 euro l’anno) e come partita IVA individuale.
Ancora più curioso il fatto di Glovo: in Spagna tutti i rider stanno ottenendo lo status di dipendenti, con conseguente diritto alle tutele previste per i lavoratori subordinati, poiché il governo Sanchez ha introdotto nel 2021 una legge che esplicitamente regola lo status dei lavoratori delle consegne, riconoscendoli come dipendenti invece di liberi professionisti. Come Just Eat, peraltro, ha già provveduto a fare sul suolo iberico. Ma nel resto d’Europa Glovo è pervicacemente schierata contro questo riconoscimento, in buona compagnia, con UberEats e Deliveroo.
L’intervento regolatore della UE
A questo punto è entrata in gioco l’Unione Europea, che, a ottobre 2024, raggiunge finalmente un compromesso sulla questione del cosiddetto ‘platform work’: i vari stati membri hanno due anni per implementare le rispettive norme nazionali, ma si istituisce un pilastro che protegge i rider: l’inversione dell’onere della prova, cioè il passaggio dal lavoratore alla piattaforma dell’obbligo di raccogliere prove per dimostrare che un lavoratore è veramente ‘autonomo’.
Un direttiva che tratteggia un nuovo mercato europeo, in divenire, per il food delivery e per le società di consegna, obbligate nel medio periodo ad adottare un diverso modello di business. Come potrà essere al contempo rispettoso della legge e sostenibile? Forse Just Eat può essere un buon modello anche per i competitor, dopotutto.
di Massimo Bolchi