Interviste

Ci sarà un evento di creatività e marketing, il Videns. Ci parleranno in molti. Noi abbiamo scelto Gibbo&Lori

Le loro risposte alla nostra intervista non lasceranno dubbi sul perchè. Il duo è creativo con la C. Un assaggio del tenore di quanto nel loro intervento ascolterete, il 22 e 23 maggio, dal palco fiorentino

Perché per voi creatività ha fatto rima con struttura snella, anzi snellissima, tu e lui, e quanto è stato semplice o difficile in tempi di aggregazioni (nascevate nel pieno del ritorno all’agenzia con tutto dentro) convincere il mercato?

“Per noi essere snelli è un valore fondamentale, ma non lo abbiamo deciso a tavolino: lo abbiamo capito nel tempo. All’inizio cercavamo un nome ‘da agenzia’ e un ufficio adatto come sede. Alla fine non trovando nè l’uno nè l’altro, abbiamo continuato a chiamarci semplicemente gibbo&lori#, scelto di lavorare in uno spazio condiviso con altre realtà, che fanno spesso tutt’altro, e di dedicare tutte le nostre energie e risorse alla ricerca delle idee e collaboratori con cui trovarle. Non è stato facile essere presi sul serio dalle aziende, ma abbiamo lasciato che a parlare per noi fossero le nostre campagne, alcune delle quali forse hanno abbattuto il pregiudizio che taluni clienti avevano verso una struttura come la nostra, senza una targa su un palazzo”.

Ogni vostra campagna spacca. Non volendo essere troppo celebrativi, che non è creativo, aggiustiamo il tiro, quasi tutte le vostre campagne spaccano. Come fate?

“Non facendo parte di network internazionali e non giocando a golf con amministratori delegati, l’unica nostra chance per farci conoscere da nuovi potenziali clienti è creare campagne che possano farsi notare. Questo istinto di sopravvivenza, ci porta a spingere al massimo sempre”.

Ma la creatività è figlia anche del brand, insomma, potersi scegliere i clienti conta per mantenere un certo standard?

“Sicuramente la nostra dimensione ci permette di poter fare delle scelte. Ma più che scegliere il cliente magari cerchiamo di capire se un determinato progetto è nelle nostre corde ed è possibile gestirlo con la dovuta attenzione. Altrimenti preferiamo rinunciare. Ovviamente lavorare su brand prestigiosi ti porta un certo tipo di esposizione e desiderabilità. Però per noi non è mai stato un parametro. La vera determinante è il tipo di interlocutore e il motivo per cui vuole fare comunicazione. A volte anche un brief apparentemente noioso può portare a bellissime creatività”.

Vi capita di non essere d’accordo tra voi sulle idee da realizzare, e cosa succede a quel punto?

“Ogni tanto, molto raramente, ci capita di essere d’accordo. Per il resto, è sempre un lungo e civile processo, fatto di scambi di parolacce e schiaffoni, al termine del quale uno dei due cede e si arriva a una conclusione. Si scherza, eh! Per noi il fine ultimo è il bene del progetto stesso e non quello di assecondare l’ego di nessuno. Probabilmente la nostra chiave è anche fidarsi molto dell’istinto dell’altro”.

E se a non recepirle è il cliente, proni o combattivi?

“Crediamo che il cliente non abbia sempre ragione, ma nemmeno sempre torto. Per noi il cliente non è il nemico da combattere che probabilmente rovinerà le nostre idee. È parte fondamentale del team e spesso può dare un valore aggiunto al risultato finale.  A noi è capitato diverse volte. Per questo ci piace ascoltare le idee e le opinioni di tutti, ma se non siamo d’accordo con qualcosa, non ce lo teniamo dentro. È faticoso e per alcuni versi anche rischioso, ma l’onestà alla fine paga”.

Avete delle campagne icone, che per qualche motivo segnano le tappe principali del vostro percorso?

“Abbiamo tante campagne a cui siamo molto affezionati. Sicuramente il percorso, ormai decennale, che stiamo facendo insieme a idealista ci rende molto orgogliosi. Se dovessimo citare una campagna che ha segnato una svolta nel nostro percorso citeremmo “Succhino?”. Il primo tormentone non si scorda mai”.

Cosa vorrete lasciare sul palco del Videns, insomma, chi vi ascolterà cosa si porterà a casa?

“Innanzitutto speriamo di non fare una figuraccia, non siamo abituati agli speech davanti al pubblico. Sul palco racconteremo la verità attraverso alcuni episodi che ci sono capitati in questi anni e che ci hanno insegnato qualcosa. Niente di accademico, eh. Ci piacerebbe riuscire a trasmettere la passione che abbiamo per questo lavoro”.

Foste della gen Z, fareste questo lavoro, se sì come?

“Bella domanda. Probabilmente l’unico consiglio vero ma molto banale, ce ne rendiamo conto, sarebbe quello di fare questo lavoro prima di tutto per passione. Non ci si può limitare al ‘compitino’ perché il rischio di estinzione è alto. Noi non ci accontentiamo delle prime idee che ci vengono in mente e tiriamo le testate finché l’idea giusta non viene fuori: questo può dare grandi soddisfazioni. Quindi… sì, se fossimo della gen z faremmo questo lavoro ma con la condizione di farlo con determinazione e perfezionismo”.

Il competitor che più vi convince?

“In generale noi guardiamo più alle singole persone che non alle agenzie, ci sono talenti in molti reparti creativi. Se dovessimo citare un competitor per questioni di dimensioni ti diremmo Small: in realtà hanno un posizionamento molto diverso dal nostro, vincono un sacco di premi, sono internazionali… Ma c’è una cosa che ci accomuna: il coraggio di osare e di rimanere “small”. Luca e Luca, sentitevi liberi di smentirci pubblicamente”.

Il vostro rapporto con l’AI, senza veli?

“La nostra relazione con l’AI è la stessa che hanno i liguri con i turisti stranieri: all’inizio solo diffidenza e ostilità. Poi piano piano, si comincia a fare conoscenza e si può addirittura diventare amici”.

L’ultima domanda sceglietela voi, cosa vi chiedete?

“Gibbo, Lori, siete soddisfatti di come Chat GPT ha risposto alle domande di quest’intervista?”

di monica lazzarotto