Interactive

Brand Safety e Climate Change: un sfida che si combatte anche sulla ‘disinformazione’ dei video UGC

L’Oréal e Samsung sono tra gli oltre 100 marchi le cui pubblicità sono apparse inconsapevolmente insieme a video di disinformazione sul clima su YouTube. I risultati sono stati pubblicati in uno studio la scorsa settimana, solo pochi giorni prima che IAB Europe lunedì avesse pubblicato i propri dati in un sondaggio sulla safety del brand.

Lo studio ha aggregato le risposte di 90 dirigenti europei senior su come hanno affrontato la sicurezza della marca nel 2019 e su cosa deve fare l’industria nel 2020 per garantire la brand safety per tutti gli investitori.

I risultati della ricerca confermano che che la safety e la privacy della marca rimangono elementi prioritari: il 77% degli intervistati indica la sicurezza del marchio come fondamentale, e che in generale è necessaria una maggiore formazione al riguardo. Per quanto riguarda la protezione, invece, il sistema più diffuso, con 93,8% delle risposte raccolte, è il ricorso a ‘black list’, mentre circa il 91% lavora sul targeting per parole chiave.

Solo il 21,6% ha dichiarato che bloccare questi annunci rappresenta una sfida maggiore rispetto allo scorso anno, con il 55,7% che ha affermato che la situazione si mantiene stabile anno dopo anno. Egualmente, solo per il 28,4% dei sondati la viewability si è rivelata più complessa da gestire, contro il 52,3% che giudicato che sotto questo aspetto non vi sono stati peggioramenti di sorta. Circa il 40,9% ha invece confermato che la gestione della trasparenza è stata più preoccupante rispetto allo scorso anno, mentre il 48,9% ha affermato che non vi fossero differenze rilevabili.

Circa il 57% degli intervistati ha convenuto che la brand safety ha reppresentato una sfida maggiore nel 2019 rispetto agli anni precedenti, citando come possibile spiegazione una maggiore comprensione e conoscenza dell’argomento da parte degli inserzionisti.

Alla domanda su quale settore sia in ultima analisi responsabile della brand safety, il 42% ha risposto indicando gli editori (nel senso più esteso del termine), il 28,4% ha segnalato le agenzie e quasi il 15% ha infine messo in evidenza gli stessi inserzionisti. Al riguardo è stato unanime l’accordo sulla necessità di discussioni più ampie su soluzioni, differenze e opzioni di intervento, e di ulteriore formazione specifica. Particolare attenzione è stata posta sull’opportunità legata allo scambio di conoscenze puntuali.

A questo proposito va sottolineato l’attività di Avaaz, un’organizzazione no profit con sede negli Stati Uniti che promuove l’attivismo globale su questioni come i cambiamenti climatici, che ha pubblicato un rapporto che mostra che a una banale ricerca con il termine ‘riscaldamento globale’, il 16% dei primi 100 video di risposta rappresentava una disinformazione sui cambiamenti del clima. Risultati analoghi sono stati riscontrati nelle ricerche con termini relativi all’argomento: video fuorvianti con stati riscontrati nell’8% dei casi in risposta a interrogazioni con i termini ‘cambiamento climatico’ e nel 21% con ‘manipolazione clima’. Questa ricerca è stata realizzata in tutta Europa, tra il 18 e il 24 settembre scorso.

Ovvimente sul banco degli imputati non poteva essere assente la maggior piattaforma di video UGC, YouTube, e il suo sistema di assegnazione in programmatic. I video di disinformazione sul clima recensiti da Avaaz avevano raggiunto i 21,1 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma, e marchi come Samsung, L’Oreal, Warner Bros e Carrefour erano pubblicizzati su questi contenuti. A ‘discolpa’ dell’algoritmo va il fatto che anche Greenpeace International e World Wildlife Fund erano tra gli annunci pubblicitari presenti su questi video.