L’idea è venuta a Valentina Amenta, direttore creativo FCB Milan, o meglio, è stato grazie a lei che questo giro di microfoni è nato, alla ricerca di direttori creativi donna. Perché, diciamolo, era da tempo che youmark ci pensava, ma non sempre siete così palesi. E’ vero siete poche, ma in più, e qui magari un mea culpa va fatto, ve ne state un po’ in disparte. Non che le luci della ribalta siano sinonimo di valore, ma se non comunicate, il rischio è il calzolaio dalle scarpe rotte. Invece c’è bisogno di conoscervi. Dovete fare squadra, in nome di una professione e di un mercato che senza il vostro sguardo avrebbero molto da perdere. Tornado a Valentina, quindi, grazie per averci supportato nel segnalarci i vostri nomi e ne definire con noi delle domande che vogliamo porre a ognuna, intervista dopo intervista, sino a conoscervi tutte.
Vi presentiamo Chiara Monticelli, direttore creativo Havas Milan.
Perché i direttori creativi donna sono in minoranza, in Italia e nel mondo?
“Questo settore non è altro che lo specchio della nostra società. Non è un segreto che ci sia ancora tanta strada da fare in termini di parità: pensiamo ad esempio al salary gap o al fatto che ci sia ancora bisogno di una regola impopolare come quella delle quote rosa. Il modello di leadership che siamo abituati a conoscere è maschile e infatti se volessimo descrivere una donna come combattiva o di successo, con termini un po’ prosaici, ci verrebbero in mente espressioni che richiamano gli attributi maschili. Penso però che le cose stiano cambiando: solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile vedere una ragazzina come Greta Thunberg alla testa del più grande movimento globale a difesa dell’ambiente o assistere alla clamorosa vittoria alle elezioni di New York di una latina del Bronx come Alexandria Ocasio-Cortez”.
Però questa è una industry ricca di donne, cosa manca per permettere loro di fare carriera, cosa vorresti cambiasse?
“Il cambiamento parte da noi. Di sicuro non mancano le capacità ma noi donne tendiamo a essere ipercritiche con noi stesse. Credo sia arrivato il momento di credere di più nelle nostre capacità, non avere timore a chiedere quello che ci spetta, e fare gruppo, creando una rete di supporto femminile come ha fatto Valentina Amenta proponendo questa bella serie di interviste. Inoltre come pubblicitarie abbiamo anche il dovere, e la bellissima possibilità, di rappresentare la realtà per quella che è, perché non ci siano più in tv donne che fanno il bucato e uomini in carriera. Parliamo solo di spot è vero, ma entrano ogni giorno nelle case di tutti e la coscienza collettiva viene condizionata anche da questi messaggi”.
Nella tua storia personale, qual è la difficoltà maggiore che hai trovato e a chi o a cosa dai invece il merito per avercela fatta?
“Sono diventata mamma da pochi mesi e penso che la sfida più difficile della mia carriera sarà riuscire a coniugare questo aspetto della mia vita con un lavoro molto demanding. Per fortuna ci sono tante colleghe mamme che stanno facendo un ottimo lavoro e che saranno il mio esempio. Per essere arrivata qui devo ringraziare Francesco Poletti che ha creduto in me fin dai banchi di scuola e Giovanni Porro che mi ha affidato la direzione creativa di uno dei più importanti clienti dell’agenzia. Non per ultimi ci sono i ragazzi del mio team, perché insegnare a loro questo lavoro alla fine ha insegnato tanto anche a me (ragazzi non pensate che la maternità mi abbia intenerita, tornerò più cattiva che mai)”.
La campagna di cui sei più orgogliosa e quella che ti piacerebbe aver firmato?
“Tra le campagne di cui sono orgogliosa ci sono lo spot di Vodafone con protagoniste due mamme e il loro bambino, non tanto per il valore creativo ma quello sociale, perché ha portato in tv per la prima volta in Italia una famiglia omo-genitoriale; voglio citare ‘Forgetting Auschwitz, Remembering Auschwitz’, la campagna fatta grazie a Selmi Barissever e Lorenzo Crespi, perché affronta un tema di importanza vitale e ahimè sempre attuale; e la campagna ‘Meno mondano, più montano’ di Braulio perché è uno di quei casi in cui si ha la possibilità di riposizionare un brand creando da zero la sua voce. Tra le campagne che vorrei aver fatto metto sicuramente ‘Like a girl’ per il semplice ma fortissimo insight e ‘The epic split’ perché sono anni che cerco di fare una campagna con Van Damme”.
Prossime sfide?
“In futuro vorrei sempre più fare della creatività che sia rilevante anche per il grande pubblico, che tocchi le persone nel quotidiano e, perché no, che risolva anche dei problemi reali e sociali”.