L’idea è venuta a Valentina Amenta, direttore creativo FCB Milan, o meglio, è stato grazie a lei che questo giro di microfoni è nato, alla ricerca di direttori creativi donna. Perché, diciamolo, era da tempo che youmark ci pensava, ma non sempre siete così palesi. E’ vero siete poche, ma in più, e qui magari un mea culpa va fatto, ve ne state un po’ in disparte. Non che le luci della ribalta siano sinonimo di valore, ma se non comunicate, il rischio è il calzolaio dalle scarpe rotte. Invece c’è bisogno di conoscervi. Dovete fare squadra, in nome di una professione e di un mercato che senza il vostro sguardo avrebbero molto da perdere. Tornado a Valentina, quindi, grazie per averci supportato nel segnalarci i vostri nomi e ne definire con noi delle domande che vogliamo porre a ognuna, intervista dopo intervista, sino a conoscervi tutte.
Vi presentiamo Chiara Giuliano, Direttore Creativo HUB09 BRAND PEOPLE.
Perché i direttori creativi donna sono in minoranza, in Italia e nel mondo?
“Posso parlare per la mia esperienza e per il mercato italiano nel quale ho lavorato. Credo che la maternità giochi un ruolo chiave nel rallentare od ostacolare la carriera di una donna. La figura del direttore creativo richiede presenza, presenza, presenza. E affidabilità. Una mamma, soprattutto nei primi anni, non sempre riesce a garantire dedizione completa a entrambi i propri mondi. Per quanto lo voglia con tutta se stessa”.
Però questa è una industry ricca di donne, cosa manca per permettere loro di fare carriera, cosa vorresti cambiasse?
“Sono stata super fortunata. Lavoro da oltre 20 anni in questo settore. Ho vissuto realtà piccole, medie e multinazionali e non mi sono mai sentita privata di potere, riconoscimenti e considerazione per essere una donna. Misogini ne ho incontrati, ma non sono mai stati incoraggiati dal sistema di nessuna di queste agenzie. Potrebbero esserci sicuramente dei margini strutturali e culturali sui quali poter lavorare, soprattutto sul tema maternità, che è l’ambito più critico: la possibilità di definire un piano carriera che definisca obiettivi, responsabilità e stipendio al rientro dal congedo, per esempio. Un segnale che tranquillizzi e motivi una neomamma a tornare presto leonessa alla propria scrivania. Culturalmente invece, dovremmo imparare ad accettare di più i limiti umani di ognuno di noi. Mamme in carriera in primis”.
Nella tua storia personale, qual è la difficoltà maggiore che hai trovato e a chi o a cosa dai invece il merito per avercela fatta?
“Due sono state le maggiori difficoltà: la politica e – aridaje – la maternità. A determinati livelli, bisogna imparare a muoversi su una scacchiera. Io non ci riesco, mi rompo proprio le palle, non ne ho mai avuto voglia. Per fortuna, da diversi anni, ho trovato il mio posto in una realtà limpida e di valore, che apprezza le persone al di là del ruolo che ricoprono. In Hub09 sono diventata due volte mamma e ho ricevuto supporto, elasticità, comprensione. Ho lavorato in smart working e tutto il mio team si è sempre fatto in quattro per venirmi incontro, nonostante le assenze, nonostante gli orari ridotti. Ce l’ho fatta e continuo a farcela soprattutto grazie a loro, e a una passione che non demorde”.
La campagna di cui sei più orgogliosa e quella che ti piacerebbe aver firmato?
“Dai, rimaniamo in tema: una vecchia campagna Walls sul gelato senza lattosio. Una multisoggetto di una donna che non aveva paura a togliersi ogni sfizio ribattendo ai diktat imposti dalla società, rispondendo a tono alla sua capa o al marito. Il concept era: ‘I’m intolerant. So what?’. Quella che vorrei aver firmato? Ehehehe: ‘Dream Creazier’ – Nike”.
Prossime sfide?
“Aprire una sede Hub09 in Lussemburgo, dove mi sono trasferita. Fare smart working funziona, ma funziona di più se riesci ad abbracciare i tuoi colleghi di tanto in tanto”.