L’idea è venuta a Valentina Amenta, direttore creativo FCB Milan, o meglio, è stato grazie a lei che questo giro di microfoni è nato, alla ricerca di direttori creativi donna. Perché, diciamolo, era da tempo che youmark ci pensava, ma non sempre siete così palesi. E’ vero siete poche, ma in più, e qui magari un mea culpa va fatto, ve ne state un po’ in disparte. Non che le luci della ribalta siano sinonimo di valore, ma se non comunicate, il rischio è il calzolaio dalle scarpe rotte. Invece c’è bisogno di conoscervi. Dovete fare squadra, in nome di una professione e di un mercato che senza il vostro sguardo avrebbero molto da perdere. Tornado a Valentina, quindi, grazie per averci supportato nel segnalarci i vostri nomi e ne definire con noi delle domande che vogliamo porre a ognuna, intervista dopo intervista, sino a conoscervi tutte.
Vi presentiamo Nicoletta Zanterino, Direttore Creativo LEO BURNETT COMPANY.
Perché i direttori creativi donna sono in minoranza, in Italia e nel mondo?
“Bella domanda. Da un certo punto di vista, la risposta è anche ovvia: per quanto riguarda l’Italia, per ragioni storiche. Stiamo ancora scontando gli strascichi di un Paese che per secoli ha precluso alle donne diritti che per gli uomini erano quasi scontati. Tra cui il diritto al lavoro. E quando le leggi hanno cambiato le cose, comunque la società non ha risposto con lo stesso tempismo: per esempio, penso che l’80% della mia generazione abbia una nonna che fa la casalinga. Non perché alle nostre nonne fosse vietano lavorare, ma perché era considerato strano farlo. E stiamo parlando dell’altro ieri, non del Medioevo.
Usando una metafora: la donna ha iniziato a camminare più tardi rispetto all’uomo, semplicemente perché per secoli non le è stato permesso di farlo. Statisticamente non sorprende quindi che, quando si tratta di correre, siano più veloci gli uomini che le donne”.
Però questa è una industry ricca di donne, cosa manca per permettere loro di fare carriera, cosa vorresti cambiasse?
“Devono cambiare i vertici, delle agenzie e delle aziende. Per semplice ricambio generazionale, e quindi culturale. Penso che il maschilismo che, inutile negarlo, ancora esiste in questo ambiente non sia tanto dovuto alla personalità del singolo che sceglie di essere maschilista, ma derivi proprio da una mancanza di strumenti culturali adeguati, purtroppo diffusa nelle generazioni un po’ più ‘vintage’. Man mano che ai vertici di agenzie e aziende salgono esponenti di generazioni più illuminate da questo punto di vista, uomini o donne che siano, certi preconcetti vengono a cadere in modo naturale”.
Nella tua storia personale, qual è la difficoltà maggiore che hai trovato e a chi o a cosa dai invece il merito per avercela fatta?
“Penso di essere stata molto fortunata ad aver quasi sempre lavorato con persone che semplicemente per formazione culturale consideravano certi stereotipi sulle ‘donne al potere’ troppo obsoleti per poter anche solo esser presi in considerazione. Non penso di avercela fatta, perché la strada tra dove sono ora e dove mi piacerebbe arrivare è ancora molto lunga; ma il merito del percorso fatto finora lo attribuisco sicuramente agli ECD, ai clienti e a tutti i colleghi che mi hanno dato fiducia e continuano a darmene ogni giorno. E, sarebbe ipocrita non dirlo, a me stessa e alla mia testardaggine”.
La campagna di cui sei più orgogliosa e quella che ti piacerebbe aver firmato?
“Inizio dalla seconda domanda, perché non devo pensarci nemmeno un attimo: The Hidden Flag, meritatissimo gold lion di Cannes 2019. Semplice e geniale, ci ricorda che la vera creatività è fatta di pura idea. Tornando alla prima domanda: devo dire che sono molto orgogliosa di tutto il lavoro che stiamo facendo per McDonald’s. E vorrei approfittarne per ringraziare tutto il team che lavora con me su ogni progetto, dal singolo post alla campagna integrata. Guardando un po’ indietro, sono particolarmente legata a due campagne, completamente diverse l’una dall’altra. La prima è ‘Samsung Wemogee’, un progetto CSR che ci ha portati a sviluppare la prima chat app che permette alle persone colpite da afasia di tornare a comunicare digitalmente. Il secondo lavoro di cui vado particolarmente fiera, forse anche perché mi ricorda la gioventù, è una semplice copyad: ‘Sterrare è umano’ per il lancio della nuova MINI Countryman”.
Prossime sfide?
“Mi piacerebbe far crescere le persone con cui lavoro, così come i direttori creativi con cui ho lavorato da copy hanno fatto con me. E questo significa mirare a un livello creativo sempre più alto, costruire giorno dopo giorno un rapporto sempre più solido con i clienti, realizzare campagne che abbiamo un vero impatto positivo, sulle persone e sul business. E, naturalmente, ottenere riconoscimenti anche in termini di awards, perché penso che i premi siano tappe fondamentali nel percorso di ogni creativo”.