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La sostenibilità in comunicazione tra il detto e il non detto. Le evidenze della ricerca Astarea

E’ stata presentata questa mattina a Milano in Università Bocconi, nell’ambito della dodicesima edizione del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale, la ricerca di Astarea La Sostenibilità nell’advertising: il detto e il non detto, uno studio sulla comunicazione della sostenibilità, frutto dell’analisi di sei mesi (Febbraio- Luglio 2024) di campagne di advertising.

Che cosa è stato fatto

In primo luogo sono state identificate le campagne di pubblicità (450) basate almeno su uno spot televisivo, affissioni e dinamica, comunicati radio, o stampa, al fine di potere applicare i medesimi criteri di analisi ad un corpus di supporti affini. Sono state selezionate e analizzate le 60 campagne che e parlavano di sostenibilità, sia ambientale sia sociale. L’analisi si è basata su un modello socio-semiotico derivato da altre ricerche Astarea sulla comunicazione della Sostenibilità, basato su 7 criteri: i soggetti emittenti, i settori merceologici, la pianificazione, il ruolo della Sostenibilità nel comunicato, gli obiettivi, i contenuti, il posizionamento di comunicazione, tenendo anche conto  della normativa sulla pubblicità ingannevole come il Codice del Consumo, la normativa Green Washing dello IAP, la recente direttiva EU/825 del 28 febbraio 2024, che dovrà essere applicata dai Governi entro Marzo 2026.

Le principali evidenze

Primo risultato, parlando di sostenibilità si pensa soprattutto all’ambiente. Al contrario, le campagne analizzate si dividono quasi parimenti tra ambiente e sociale, anzi con una leggera preminenza di quest’ultimo.

Le campagne Profit prevalgono sulle No Profit (60% vs 40%), anche se queste ultime (Ong, ETS) prevalgono nettamente sulle altre categorie assunte singolarmente. La pianificazione premia l’integrazione tra i supporti (atl, social, digital: 45%, anche se non è irrilevante la quota di quelle che utilizzano solo lo spot (31%).

Il linguaggio

Se nella comunicazione sociale e ambientale siamo in genere abituati a codici di tipo ‘mitico’, con toni un po’ aulici o drammatici, o su quelli ‘critici’, in cui si pongono in questione alternative e si ragiona su temi opposti, o comunque dirimenti, in questa analisi compare un numero consistente di comunicati dal tono ‘ludico’: giochi di parole, metafore che sfiorano l’assurdo, utilizzo della onomatopea, di personaggi characters, dell’umorismo. Una modalità di comunicazione che sembra abbastanza inedita e probabilmente capace di attirare l’attenzione creando coinvolgimento.

Se in tutte le campagne per definizione di Sostenibilità si parla, comunque il peso che assume varia. Nella stragrande maggioranza dei casi il ruolo della Sostenibilità risulta nettamente centrale: è la protagonista assoluta, ed intorno ad essa gravitano narrazione e codici. Le campagne di imprese/organizzazioni Profit e di quelle del No profit sono allineate su questa prevalenza. Al contrario, solo in quelle Profit la Sostenibilità svolge un ruolo complementare ad altri temi (es: bontà, efficienza, comfort, sicurezza).

Il principale obiettivo è educare

Ma quali obiettivi di comunicazione si propongono queste campagne? Con un peso nettamente superiori agli altri, si pone il tema ‘educational’: vengono raccontati argomenti critici, sociali o ambientali, per sensibilizzare l’utenza a prestarvi attenzione, sovente chiamando all’azione; al secondo e terzo posto, pari merito, si parla di prodotto (messa in scena dell’offerta aziendale con i relativi benefit) e di temi istituzionali (l’impresa/organizzazione stessa è protagonista, con la sua attualità e la sua storia). Segue, ma a breve distanza, l’esternalità, cioè la narrazione delle attività dell’impresa, di là degli aspetti produttivi, in favore dell’ambiente o del sociale (le cosiddette charity).

In sintesi: la sostenibilità viene comunicata molto di più su temi che riguardano il fuori (Educational, Esternalità), che il dentro (l’impresa o l’organizzazione).

“Ed ecco una questione critica, per lo meno considerando la normativa sulla comunicazione e in particolare la recente Direttiva UE in tema di pubblicità ingannevole. Abbiamo numerosità abbastanza esigue, ma dal peso non indifferente in termini qualitativi. Su 20 comunicati profit che parlano di prodotto o di temi istituzionali, i claim di sostenibilità sono solo citati genericamente, o allusi, o magari trattati più esaustivamente, ma senza presentare argomentazioni o reason to believe a supporto della promise. Non intendiamo assolutamente porre questioni di Green Washing o simili. Semplicemente constatare che comunicare la sostenibilità, soprattutto nell’advertising, non è cosa facile e necessita, e soprattutto necessiterà, di un notevole lavoro e apprendimento da parte dei comunicatori”, conclude Laura Cantoni, Founder Astarea.