Youmark

Quando e perché un film diventa un cult? Il documentario ‘Gotico Padano – Sulle tracce di Buono Legnani, il pittore delle agonie’, presentato ieri a Roma, se lo chiede per ‘La casa dalle finestre che ridono’ di Pupi Avanti. Ed è certezza, gli horror non fanno più paura, come la pornografia mostrano troppo, anziché destabilizzare

di Maurizio Ermisino

Chi era Buono Legnani? Era il pittore pazzo al centro del film cult di Pupi Avati del 1976, La casa dalle finestre che ridono. Era chiamato “il pittore delle agonie”, perché amava ritrarre le persone in punto di morte, e si feriva per mescolare il suo sangue al colore, e dipingere con questa nuova materia. Intorno a lui, e a un quadro di San Sebastiano che un restauratore veniva chiamato a riportare in vita, si muove una vicenda complessa e spaventosa, che gli ambienti – reali – in cui è girato contribuiscono a rendere terribilmente sinistra.

 Il documentario Gotico Padano – Sulle tracce di Buono Legnani, il pittore delle agonie, di Roberto Leggio e Gabriele Grotto, che è stato presentato ieri a Roma, è un viaggio in questi luoghi, che portano con sé ancora una sorta di maledizione e di incanto, e la ricerca della risposta alla domanda: Buono Legnani è realmente esistito? Quarantasette anni dopo ‘La casa dalle finestre che ridono’ evoca ancora terrore, paura e inquietudine. Il capolavoro horror diretto da Pupi Avati, girato tra l’entroterra ferrarese e il delta del Po, desta ancora interesse tanto da essere divenuto un cult. Ma perché è stato possibile? Da dove nasce la sua innegabile aura “maledetta”? Il fatto è che, una volta usciti, i film diventano di chi li guarda. E chi li guarda comincia ad esserne ossessionato, a cercare risposte, storie, significati. A viaggiare alla ricerca dei luoghi del film. Certo, La casa dalle finestre che ridono è una storia di finzione. Ma una serie di coincidenze con la realtà rendono l’aura di questo film unica. E fanno venire qualche dubbio. Il film è stato definito un “gotico padano” e ha dato il via a un filone, seguito dallo stesso Avati e da altri.

Perché dopo 50 anni il film è ancora un cult?

Gotico Padano – Sulle tracce di Buono Legnani il pittore delle agonie uscirà nelle sale in un tour che partirà da Roma e toccherà diverse città del nord Italia. Prima di uscire ha avuto successo di pubblico presso Isola Vicentina Doc Festival VI Edizione diretto da Luca Dal Molin. Inoltre si è già aggiudicato il premio come miglior documentario al Ciak Film Festival 2023 e il Premio Direzione Nuovo Cinema Italiano all’Ostia Film Festival Italiano IV Edizione 2023. È un film che vive su due piani narrativi, un documentario che vira verso una sorta di horror. “Volevamo sapere perché questi fan andassero alla ricerca dei luoghi dove il film è stato girato” ci ha spiegato Roberto Leggio. “Abbiamo conosciuto Ravaglia, un ragazzo che una volta a settimana si gira il delta del Po per visitare quei posti e ha tutte le versioni possibili in dvd de La casa dalle finestre che ridono.  Si era fatto ricostruire la famosa casa con le bocche sulle finestre da uno scenografo di Cinecittà. Ci siamo immersi nei panni dei fan e abbiamo iniziato la ricerca, per capire perché dopo 50 anni il film è ancora un cult”. “È partito come un documentario” racconta l’altro regista, Gabriele Grotto. “C’era l’esigenza di capire questo fenomeno unico: non ci sono altri film horror che hanno un seguito così maniacale, vasto, e intergenerazionale. Ci sono ventenni che ancora oggi vengono colpiti da un film degli anni Settanta. Siamo partiti da un’indagine, un reportage, senza una traccia predefinita ma immedesimandoci nei fan che vanno in quei luoghi. Sono successe cose casuali, incontri che ci hanno portato a trovare una linea narrativa, un percorso geografico immaginario e mentale. La finzione e la realtà continuavano a contaminarsi”.

Quei tre fratelli, e quel manicomio, sono veramente esistiti

Sì, perché Pupi Avati racconta chiaramente che il San Sebastiano di tal Buono Legnani che vediamo nella famosa chiesa del film è stato dipinto da suo fratello, come le famose bocche sulle finestre della casupola che dà il titolo al film. Però a un certo punto è venuta fuori una storia. Quella di un bambino che, come il Legnani del film, aveva due sorelle e che, in qualche modo, era anche lui un pittore. Erano rinchiusi nel manicomio di Aguscello. Si chiamavano Lesani. Una curiosa coincidenza. “La chiave di volta è stata quando abbiamo conosciuto un’antropologa, Valentina Baraldi, che ci ha detto che forse i fratelli Lesani potevano essere i fratelli Legnani” racconta Leggio. “Ci posso credere che questi fratelli abbiano dato il là a una leggenda attuale”. “L’ex manicomio infantile di Aguscello è effettivamente esistente e su di esso aleggia un’atmosfera di mistero” aggiunge Gabriele Grotto. “Ci sono gruppi di persone che vanno a fare delle messe nere. E poi c’è la coincidenza di un bambino che si trovava lì ed era un pittore. Non si sa più che cos’è vero e cosa è falso”.

Pupi Avati ne sa più di quello che ha messo nel film?

Ma una domanda sorge spontanea. Pupi Avati ne sa più di quello che ha messo nel film? Quando sacro e profano, verità e leggenda si incrociano, il regista potrebbe sapere qualcosa che non sappiamo. “Gli abbiamo mandato un trailer di un minuto e mezzo, all’inizio della lavorazione” rivela Leggio. “Non avevamo ancora idea che il film diventasse una sorta di horror. Mi ha scritto che era una cosa molto interessante. C’è stato il Covid e abbiamo traslato tutto di un anno. Ma è stato molto disponibile. Ne sa ancora di più? Forse sì Forse no”. Ma è stato chiesto ad Avati se è esistito veramente Buono Legnani? “Non gli ho fatto la domanda” risponde Leggio. “Se gli avessimo fatto la domanda diretta, tutta la mitologia del personaggio sarebbe crollata come un castello di carte”. La mitologia invece continua. A proposito, fa riflettere il fatto che, una volta arrivati alla famosa chiesa dove si trova il dipinto di San Sebastiano, il portone sia chiuso e, anche chiamando il numero della sagrestia, non sia possibile entrare. La telefonata, nel film, è ricostruita, recitata, ma il senso è quello. “Abbiamo provato tante volte a contattare la sagrestia ma non c’era verso, non potevamo proprio accedere alla chiesa”. Quella telefonata non è l’unico momento di finzione del film. “Abbiamo ricreato l’infanzia di Buono Legnani, non si sa se vera o leggendaria, con i giochi dei bambini nel manicomio di Aguscello” spiega Grotto. “E poi l’intervista a un ex infermiera del manicomio, con testimonianze che non sapevamo se erano vere o false, e a cui abbiamo dato una nostra interpretazione”.

Giuliano Mondaldo distrusse la “casa dalle finestre che ridono”?

Ma ci sono ancora delle cose da capire in tutta questa storia. Ad esempio, il fatto che la famosa “casa dalle finestre che ridono” fosse stata scelta da Giuliano Montaldo per un suo film – o costruita apposta – e, una volta “dipinta” per il film di Avati, Montaldo non la utilizzò, o la fece distruggere. “Avevo iniziato a fare un documentario e sui partigiani mi sono incontrato con Montaldo per L’Agnese va a morire” ricorda Leggio. “Mi ha detto: ‘sai che dovevo girare una scena nella stessa zona in cui Avati girava il film? Sono andato a vedere la casa che il mio scenografo aveva scelto e ho visto delle bocche disegnate. E così non ho potuto girare più’. Non so se poi l’abbia davvero fatta demolire”. Fatto sta che oggi la famosa casa non esiste più. Ma c’è chi ancora non crede all’idea e continua a cercarla

I due fidanzati scomparsi vicino a quel ponte

Ma c’è un altro aspetto inquietante. Vicino a una location del film, un ponte sulle rive del Po dove viene ripescato un cadavere, recentemente sono scomparsi due fidanzati. “Quando stavamo girando quei due fidanzati sono davvero scomparsi” ricorda Leggio. “Era il 2018. Ci siamo tornati nel 2019. Mente stavamo facendo le nostre ricerche, leggendo La Nuova Ferrara, è venuta fuori la storia dei due fidanzati scomparsi. Volevamo comprendere chi fossero loro due. Pensavamo che introducendo questo breve filmato di paura, che ricostruiva l’accaduto, potessimo fare da ponte e continuare il mistero del film”.

Gli horror non fanno più paura perché mostrano troppo

Il mistero del film continua, quindi. E continua anche la paura che, ogni volta che vediamo La casa dalle finestre che ridono, funziona sempre. Oggi invece molti horror, in fondo, non fanno paura. “Il nostro voleva essere anche un film sulla paura” ci racconta Grotto. “Perché desideriamo di avere paura? E non ha ancora una risposta. Ci sono tanti horror contemporanei, ma in pochi fanno paura. Forse perché mostrano troppo. La casa dalle finestre che ridono mostra poco e per questo funziona”. “L’horror non fa più paura” aggiunge Leggio. “Perché della paura non abbiamo più paura. Perché siamo bombardati da immagini e l’horror non è più horror, è quasi qualcosa di pornografico. Ne La casa dalle finestre che ridono non vedi niente, non c’è sangue. E i film horror facevamo paura perché destabilizzavano. Stephen King diceva: dietro la porta chiusa c’è un’ombra; se e apri la porta e vedi cosa c’è dietro già la paura non c’è più”.