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O lo odi o lo ami, Paolo Sorrentino e anche il suo Parthenope (ci piace tanto). Ma è inopinabile il successo. 1 mio di spettatori e 8 di incasso. E la comunicazione c’entra

Dopo il successo italiano, Parthenope di Paolo Sorrentino è in lancio nel mercato Usa, con un trailer tagliato ad hoc. Che piaccia o meno questo film, bisogna dare adito almeno alla capacità strategica nel comunicarlo. Come dire, la comunicazione crea valore. 8 mio l'incasso. Portando in sala i giovani

di Maurizio Ermisino

Parthenope è un grande film che racchiude tutta l’opera di Paolo Sorrentino

Odi et amo. Paolo Sorrentino è così, si odia o si ama, è divisivo. Come tutti i grandi. Come tutti quelli che hanno talento. Così, da quando il suo ultimo film, Parthenope, è stato presentato allo scorso Festival di Cannes, a maggio, e da quando è arrivato nei cinema italiani, con le anteprime di settembre e l’uscita ufficiale di ottobre, è stato un continuo prendere le parti o denigrare il film. L’arte, si sa, è opinabile. Quello che non è opinabile, ma un dato di fatto, è un altro. Parthenope è un grande successo. A un mese dall’uscita può contare oltre 1 milione di spettatori e una rotta che procede verso gli 8 milioni di euro di box-office. Merito di quello che secondo noi è un grande film e anche di una strategia di lancio e distribuzione accurata della neonata Piper Film, che presto conosceremo meglio e vi racconteremo. Ora Parthenope si appresta a conquistare l’America. Non andrà a sfidare gli altri film stranieri agli Oscar, compito che toccherà a Vermiglio. Ma sarà distribuito negli Stati Uniti da A24, casa di distribuzione che è stata artefice di molti successi del cinema indipendente di oggi. E che ha già lanciato un trailer costruito ad arte per il mercato americano: è accattivante, sensuale, punta molto sul personaggio femminile e sull’eleganza. Funzionerà.

Parthenope piace ai giovani, merito anche della comunicazione

Dove Parthenope ha funzionato, ed è una relativa sorpresa, è tra il pubblico giovane. Un interessante articolo di Gabriele Niola su Il Post ha segnalato un dato davvero interessante. Il successo di Parthenope (e, in un altro ordine di grandezza, di Berlinguer – La grande ambizione) è dovuta molto anche al pubblico tra i 20 e i 34 anni (40% del box office, mentre è il 20% per il film su Berlinguer). Una tendenza iniziata dopo la pandemia. Sempre nell’articolo si legge che Piper Film è stata subito consapevole ha spinto molto sulla promozione del film online e sui social network, facendo fare a Paolo Sorrentino ospitate nei podcast o sui canali Instagram e collaborando con diversi creator. Proprio a quel target erano state dedicate delle anteprime di mezzanotte, che hanno permesso al film, a settembre, di inserirsi nell’iniziativa a livello nazionale Festa del Cinema, e sono state un grande successo.

La sola programmazione in sala, senza preannunciare lo streaming, rende i film evento

Secondo gli addetti ai lavori ha contato molto anche un altro aspetto. A differenza di altri film, non è stata annunciata subito la data del rilascio di Parthenope su altre piattaforme o formati, che siano l’home video, il noleggio on line, la distribuzione in streaming su piattaforme svod. Spesso oggi al momento dell’uscita di un film, o di lì a breve, è già comunicata anche l’uscita in streaming. Oppure questa è facilmente intuibile dalla distribuzione del film. Parthenope, invece, ha goduto di una “finestra” dedicata alle sale molto ampia e ancora indefinita. In questo modo il pubblico non sa se e quando potrà vedere quel film in una visione domestica: sente l’evento, e corre al cinema a viverlo. È quello che è successo anche lo scorso anno con C’è ancora domani di Paola Cortellesi.

Cosa vuol dire Sorrentiniano?

Le ragioni del successo del film sono però quelle insite nell’opera stessa. È un film di Paolo Sorrentino, uno dei pochi autori in Italia in grado di creare già con il suo nome un evento. Un regista tra i pochi oggi capaci di dare vita a un aggettivo. “Sorrentiniano” è infatti un termine che si usa ormai costantemente per definire ogni suo film, ma anche qualsiasi altra cosa che a quell’estetica si ispiri. C’è chi lo intende in senso negativo, per definire un cinema che sarebbe eccessivamente estetico, effettato, pretenzioso. Ci sono però anche tutti quelli per cui “sorrentiniano” è sinonimo di grande qualità, ricerca stilistica, cura maniacale per ogni aspetto, dall’inquadratura ai movimenti di macchina, alla fotografia. E anche al coraggio di certe scelte.

Un film affascinante

Parthenope è un film affascinante. La metafora di Parthenope, che è come Napoli, bellissima ma enigmatica e a suo modo irraggiungibile, è forte. Il fascino della sua protagonista, Celeste Dalla Porta, destinata a una carriera da star, è un forte richiamo. Ma è tutto il cast a brillare, da Silvio Orlando, Gary Oldman e Peppe Lanzetta, fino a Isabella Ferrari e Luisa Ranieri, in scena con un personaggio ispirato a Sofia Loren, senza dimenticare Stefania Sandrelli. Parthenope ci piace per il coraggio e la follia di certe sequenze, tra cui proprio quella di Luisa Ranieri, il patto delle famiglie camorriste siglato con il sesso, e il misterioso figlio del professore interpretato da Silvio Orlando.

È stata la mano di Sorrentino, il dittico su Napoli

Ma quello che più ci affascina è che Parthenope è una summa di tutto il cinema di Paolo Sorrentino, e sembra racchiudere tutti i suoi film. A partire da È stata la mano di Dio, con cui Parthenope costituisce un ideale dittico su Napoli. Entrambi i film, uno molto lineare e personale, l’altro molto costruito e metaforico, iniziano con una carrellata su un lungomare. In entrambi i film c’è un lutto, in entrambi un mentore. C’è, in misura molto diversa, il calcio, la tentazione del cinema. E il fatto di lasciare Napoli per trovare sè stessi. E tornare, un giorno, cresciuti. Persone diverse.

La grande bellezza di Parthenope

Ma in Parthenope c’è anche molto de La grande bellezza, il film più noto di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero. Ricordate la fine del film, in cui Jep Gambardella rimpiangeva il suo amore giovanile, il suo unico vero amore? Ecco, in Parthenope c’è tutto il rimpianto degli amori giovanili, il rimpianto per una gioventù che è passata e non può tornare. Ma c’è anche la vacuità di certi ambienti. La vacuità delle feste. “Non amo le feste” dice a un certo punto la Parthenope di Celeste Dalla Porta. “Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire” recitava il Jep Gambardella di Toni Servillo. E c’è anche una sorta di presa in giro di  mostri sacri, figure apparentemente inscalfibili: Madre Teresa di Calcutta ne La grande bellezza, la già citata Sofia Loren in Parthenope. Nessuno oserebbe mai. Ma Paolo Sorrentino può. I temi del rapporto tra gioventù e vecchiaia erano presenti anche in Youth, le feste dei potenti ne Il Divo e Loro.

Sacro e profano

E Paolo Sorrentino può anche mescolare sacro e profano come pochi altri oserebbero. C’è anche questo al centro di Parthenope. Pensiamo a tutta la parte dedicata al miracolo di San Gennaro e al Vescovo Tesorone di Peppe Lanzetta. In questi momenti del film siamo vicini alle due, bellissime, serie tv, The Young Pope e The New Pope. Quel viaggio segreto all’interno delle chiese e dei luoghi sacri, quel continuo muoversi tra sesso e santità. E anche quei ragazzi malati e disabili visti con una pietà e un’empatia rari. Tutto questo avvicina Parthenope anche alle serie tv ambientate in Vaticano. Tutto questo è Paolo Sorrentino.