Parlare di strategia di marca in modo tradizionale non basta più. Certo, resta la necessità di stabilire la mission e il territorio commerciale del brand, ossia il ruolo dei suoi prodotti nel mercato e nel rapporto con i consumatori, ma oggi le marche sono chiamate anche a rispondere a uno scopo superiore, che va oltre i meri obiettivi di business. Ecco perché dopo l’uscita nel 2017, sempre con FrancoAngeli editore, del volume Brand Narrative Strategy, Alberto De Martini, co founder e ceo CONIC, ha sentito l’esigenza di allargare alla necessità per tutte le aziende di avere una propria purpose.
C’è purpose e purpose
E’ indubbio, quando la purpose nasce dalle radici dell’essenza del brand, ossia è conseguenza inevitabile di quello che il brand fa nella sua natura più tipica, è anche molto più facile comunicarla creando fiducia, così come essere ascoltati dagli stakeholder, perché si è credibili. La case history di Always, brand americano di Procter & Gamble di assorbenti igienici, insegna. Sinergico il suo impegno per diffondere nel mondo educazione contro lo stigma e il tabù del ciclo.
La morale e l’interesse
Nel paradigma classico eravamo abituati a ragionare due direttrici che andavano in direzioni opposte, la morale e l’interesse. La nuova era, invece, punta, se non alla convergenza, a guardare nella medesima direzione. Ossia l’interesse si veste di valori morali e i medesimi sanno anche soddisfare l’interesse. Qui sta la sfida, nella definizione di modelli win win, che sappiano fare vincere tutti. Brand, profitto, consumatori, società, ambiente. Tra l’altro, con la futura obbligatorietà del bilancio di sostenibilità, avere una narrazione credibile e sostenibile sui temi trattati sarà imprescindibile.