L’aumento del costo della vita avvenuto nell’ultimo anno a causa dell’impennata dei prezzi di beni e servizi sta mettendo a dura prova le finanze delle famiglie italiane. E’ quanto emerge dall’Osservatorio ‘Sguardi Famigliari’ di Nomisma, un nuovo cantiere avviato lo scorso agosto dal gruppo di lavoro multidisciplinare coordinato dall’economista Marco Marcatili e dal sociologo Massimiliano Colombi con l’intento di indagare le fragilità economiche, sociali e relazionali delle famiglie italiane, oltre che le tipologie familiari più colpite e a rischio sociale.
Dai risultati della ricerca si evidenzia che il 13% delle famiglie italiane ritiene il proprio reddito insufficiente a far fronte alle necessità primarie, vale a dire alle spese irrinunciabili come i generi alimentari, oppure le spese legate alla casa come l’affitto, il mutuo, le bollette. A questo gruppo di famiglie, che potremmo definire compromesse, si aggiunge un altro contingente numeroso (il 43% delle famiglie intervistate) che valuta la propria condizione reddituale appena sufficiente a far fronte a tali spese, in una sorta di equilibrio precario che potrebbe essere messo a rischio da un evento imprevisto anche di modesta portata.
Eppure, dal mercato del lavoro, continuano a giungere notizie e dati positivi con un tasso di occupazione ai massimi storici e un livello di disoccupazione molto contenuto, elementi che consentono la tenuta economica della maggioranza delle famiglie ed evitano loro il passaggio a una condizione di precarietà, sottolinea la nota. Non a caso negli ultimi mesi il principale motivo di percezione dell’inadeguatezza delle risorse economiche a disposizione delle famiglie è rappresentato dall’elevato costo della vita (per il 78% delle famiglie si dichiarano insoddisfatte della propria condizione reddituale), molto più delle difficoltà lavorative (10%).
L’impennata dell’inflazione e l’aumento dei prezzi hanno depresso fortemente il potere di acquisto delle famiglie: più della metà degli intervistati ha visto crescere le bollette energetiche di oltre il 50% rispetto ai livelli di un anno fa, con il 16% che dichiara di aver avuto molte difficoltà nel pagare le utenze: di questi il 4% ha accumulato ritardi nei pagamenti.
Per far fronte ai rincari energetici le famiglie hanno dovuto innanzitutto comprimere le spese ritenute ‘superflue’, vale a dire quelle per il tempo libero, per le attività culturali e per quelle sportive. Il 39% delle famiglie che si è dichiarata in difficoltà nel pagare le bollette ha dovuto ridurre anche spese basilari come quelle sanitarie, il 31% ha tagliato le spese in istruzione mentre il 27% ha manifestato difficoltà nel pagare il mutuo o l’affitto della propria abitazione.
Volgendo lo sguardo ai prossimi mesi, il numero di famiglie che teme di poter incontrare forti difficoltà nel pagare le utenze sale al 24%.
Vi sono molti gradi di vulnerabilità e alcune condizioni che determinano delle difficoltà oggettive per le famiglie: la presenza di una sola fonte di reddito è certamente una di queste, considerando che se nel complesso del campione la percentuale di famiglie che reputa il proprio reddito non completamente adeguato o insufficiente a far fronte alle necessità primarie è pari al 57%, tra le persone giovani che vivono da sole questa percentuale sale al 69%, mentre tra i genitori soli con figli arriva addirittura al 78%. Queste ultime hanno problemi di natura non solo economica ma anche di tipo relazionale o psicologico, dal momento che la loro condizione deriva da una separazione con il coniuge o partner oppure anche da un lutto, e si trovano pertanto costrette a riorganizzare la propria vita dovendo affrontare tutta una serie di criticità che non erano presenti nella condizione precedente.
L’assenza di una casa di proprietà è un altro elemento che amplifica le problematiche famigliari, in particolare se si deve pagare un affitto, condizione che fa salire al 76% la quota di famiglie che reputa il proprio reddito inadeguato. Se a questo, infatti, sommiamo le difficoltà sopraggiunte nell’ultimo anno a causa dell’aumento del costo della vita e con le bollette in alcuni casi persino raddoppiate, ecco che la casa rappresenta un fattore in grado di amplificare le criticità e un fardello molto pesante sulle spalle delle famiglie.
Altre condizioni maggiormente note si confermano come elementi che più frequentemente si associano a situazioni di difficoltà economica, come l’avere un’attività lavorativa meno qualificata (il 73% dei capifamiglia operai giudica il proprio reddito non adeguato), un basso titolo di studio (62%), oppure vivere nel Sud Italia (63%).
Un’eventuale spesa imprevista, anche di piccola entità, potrebbe quindi diventare un serio problema da affrontare per il 22% delle famiglie totali, percentuale che sale al 30% tra le persone sole non anziane, al 31% per i genitori soli con figli, e al 41% per le famiglie in affitto. Per queste famiglie, dunque, basterebbe poco per incorrere in difficoltà economiche ed essere costrette a richiedere supporto esterno.
Tali criticità influiscono enormemente sulla condizione psicologica e sull’approccio alla vita e ai consumi, dal momento che queste stesse famiglie sono quelle che esprimono il grado di fiducia più basso nei confronti delle istituzioni a tutti i livelli, nazionali e locali, e anche verso le categorie professionali che negli ultimi anni sono state maggiormente sotto i riflettori, come medici, scienziati, insegnanti e giornalisti. Tali famiglie non vedono una via di uscita concreta per risolvere le proprie criticità, e dimostrano pertanto insoddisfazione verso un contesto che sovente non ritengono in grado di proporre soluzioni adeguate.
Accanto a questi elementi che concorrono a determinare condizioni di disagio economico, allo stesso tempo è possibile individuare alcune tipologie famigliari che più di altre manifestano debolezze e bisogni: si tratta di persone giovani-adulte che vivono da sole, di famiglie numerose con figli piccoli e di famiglie che si prendono cura di persone non autosufficienti.
Le persone non anziane che vivono da sole, infatti, lamentano problemi di tipo sia economico sia lavorativo, con contratti di lavoro spesso temporanei e sottopagati, sovente con un reddito inadeguato rispetto al costo della vita. Sono profondamente sfiduciate, hanno meno supporto familiare e devono ricorrere a sovvenzioni economiche elargite dal comune, oltre che supporto psicologico presso gli sportelli di ascolto. In termini di politiche di supporto, questa categoria necessita pertanto di sostegno economico e stabilità dal punto di vista occupazionale.
Un altro gruppo potenzialmente vulnerabile è rappresentato dalle famiglie numerose, in particolare quelle con figli piccoli, che vivono in una situazione di precarietà economica a causa principalmente delle spese elevate legate alla casa e alla presenza di componenti con criticità sul fronte lavorativo. Allo stesso tempo presentano problemi legati alla conciliazione famiglia-lavoro e all’educazione dei figli. Confidano nel supporto economico della propria rete familiare, oppure chiedono prestiti alle banche, o anche fanno richiesta di sovvenzioni economiche al comune di appartenenza. Per tali ragioni queste famiglie necessitano sia di supporto nella gestione familiare sia di sostegno economico, perché nel loro caso potrebbe bastare poco per andare in difficoltà.
Un terzo gruppo particolarmente fragile è quello delle cosiddette famiglie sandwich, vale a dire quei nuclei che devono assolvere al doppio compito di cura dei figli e di persone non autosufficienti, sia nel caso in cui queste ultime siano presenti all’interno dell’abitazione sia nel caso in cui vivano in altre case. Tali famiglie si trovano spesso ad affrontare sia problemi economici (la presenza di persone non autosufficienti è motivo di fragilità economica), sia criticità molto eterogenee (di natura psichica, di salute, di tipo lavorativo o familiare). Necessitano pertanto di una serie di interventi integrati di supporto, sia di tipo economico sia in termini di servizi di sollievo.
Dall’indagine di Nomisma emerge anche che, a parte la famiglia di origine, i servizi sociali sono la principale rete di supporto delle famiglie in difficoltà (vi si rivolgerebbe il 27% delle famiglie in situazione di incertezza): oltre alle sovvenzioni economiche (il 12% delle famiglie ne ha fatto richiesta negli ultimi 5 anni), i servizi più richiesti sono quelli legati all’assistenza domiciliare, sia quella esclusivamente sociale (per il 5% delle famiglie totali), sia quella integrata con i servizi sanitari (7%). Secondo l’opinione di chi ne ha usufruito, l’apprezzamento maggiore riguarda l’assistenza domiciliare sociale (il 65% ne dà un giudizio buono o ottimo), mentre c’è insoddisfazione verso i servizi alla prima infanzia (solo il 41% di giudizi positivi) e gli sportelli di ascolto (solo il 31%).
Finora, dunque, rete famigliare, servizi sociali, terzo settore e misure emergenziali emanate dalle istituzioni hanno consentito di tamponare l’emorragia, ma fino a quando?
Nei prossimi mesi Nomisma si aspetta una forte pressione sui Comuni, con servizi che potrebbero rivelarsi “sotto assedio” per almeno tre elementi:
- le modifiche del funzionamento del Reddito di cittadinanza lasciano il 38,5% dei nuclei familiari oggi sostenuti da tale misura senza nessuna copertura entro giugno 2023 (fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio);
- l’impatto dell’inflazione è più forte per le famiglie più povere e quindi introduce ulteriori elementi che mettono in discussione equilibri già precari;
- l’aumento dei tassi bancari appesantisce notevolmente le famiglie che hanno fatto ricorso al credito.