di Maurizio Ermisino
“Guardatevi intorno. Sono ancora tra voi”. È quello che dice la voce narrante di Benito Mussolini, interpretato da un febbrile Luca Marinelli, che sfonda la quarta parete e si rivolge direttamente a noi, al suo pubblico. È da queste idee, da inizi fulminanti come questi, che si vede una grande serie. È M – Il Figlio del Secolo, la nuova serie Sky Original sull’ascesa al potere di Benito Mussolini, diretta da Joe Wright. Presentata alla Mostra del Cinema di Venezia, dove è stata definita “il miglior film del festival”, pur non essendo un film, è una serie eccezionale, la migliore che vedrete quest’anno, e una delle più grandi da quando è nata la serialità italiana. Alla presentazione alla stampa, avvenuta a dicembre a Roma, ne erano tutti consapevoli. A partire da Nils Hartmann, Vice Presidente Esecutivo di Sky Studios Italia. “Diciamo sempre che c’è stato un prima e un dopo Gomorra” ha spiegato. “Siamo arrivati a un altro punto di svolta. Un progetto così ambizioso e così diverso nell’affrontare il period drama non si è mai visto: un dramma storico così contemporaneo nello stile, nella musica, nel montaggio, una storia così drammatica e contemporaneamente urgente”.
Da Mussolini a Trump
M – Il figlio del secolo, inizia a Milano negli anni immediatamente seguenti alla Prima Guerra Mondiale. Benito Mussolini, ex socialista, ex direttore de L’Avanti, ci presenta quello che sarà il suo seguito, il suo partito, il suo esercito, il suo elettorato. È un popolo smarrito, bisognoso di idee semplici: sono i reduci della Grande Guerra. “È con gli ultimi che si fa la storia. Con la loro rabbia” ci spiega Mussolini. “Molti di loro hanno in mano bombe e rivoltelle” dirà in seguito. Ed evocherà molti leader venuti dopo di lui. Anche quelli di oggi. Qualcuno ha detto Donald Trump? Non è un caso. Gli sceneggiatori metteranno in bocca a Mussolini anche la frase “Make Italy Great Again”. Un modo per dire che la storia che stanno raccontando arriva fino a noi.
Luca Marinelli è straordinario
Luca Marinelli è un Mussolini caricaturale, grottesco, eccessivo, simbolico. Eppure non è mai una macchietta. Non è mai ridicolo. Anzi, è inquietante e minaccioso. E lo diventa sempre di più, man mano che il racconto procede. Ha uno sguardo affebbrato, fanatico. È un Mussolini suadente, empatico, complice. Vuole essere simpatico. Ed è proprio questa la chiave. Far capire oggi, a noi che guardiamo, il modo in cui ha convinto tante persone. E il modo in cui, come lui, hanno fatto tanti venuti dopo. Luca Marinelli lo interpreta non cercando una perfetta somiglianza fisica, ma evocando, costruendo un immaginario, un corpo, il corpo del capo. “Dal punto di vista fisico mi serviva di sentirmi più pesante, più presente” racconta l’attore, che fornisce una prova straordinaria. “In teatro sarebbe bastato meno: al cinema c’è una ricerca ossessiva, che però aiuta. È stata un’esperienza fisica ed emotiva. Per me è stato importantissimo il piano fisico, ma anche quello intellettuale, emotivo: da antifascista, il fatto di aver dovuto sospendere il giudizio per dieci ore al giorno e sette mesi è stato devastante dal punto di vista umano”.
Come Kevin Spacey in House Of Cards
Sin dalla prima inquadratura, il Mussolini di Marinelli sfonda la quarta parete e si rivolge al pubblico, come Kevin Spacey in House Of Cards. Lo arringa, lo seduce, lo chiama a sé. Fa vedere a noi, pubblico di oggi, la grande opera di persuasione fatta un secolo fa a un’intera nazione. Che siamo sempre noi: sono gli italiani. E noi che guardiamo ci sentiamo complici, colpevoli, quasi quanto gli italiani di 100 anni fa. È questo il gioco straordinario con lo spettatore che fa M – Il figlio del secolo. “Ho tentato di togliere le definizioni” spiega Marinelli. “Cattivo, mostro, il diavolo: non fanno altro che giustificare una nostra posizione e allontanarlo, metterlo su un altro pianeta. Invece è stato un essere umano che ha imboccato questa via criminale che ha portato il paese alla distruzione. Abbiamo toccato la parte più oscura di noi stessi”.
Sedurre il pubblico come Mussolini aveva sedotto l’Italia
Joe Wright, il regista di Espiazione e L’ora più buia, si immerge nello stile dell’immagine degli anni Venti. Le scene si aprono e chiudono con l’iride come i film del tempo. La sua messa in scena è carica, teatrale, espressionista. Eppure dà sempre un senso reale, concreto. Il senso della Storia. È un’opera a colori, ma quei colori sono desaturati, o seppiati, in modo da creare una continuità con il bianco e nero d’epoca delle immagini di repertorio. La sua regia ha il giusto distacco, un certo senso del ridicolo. È come certi film di mafia recenti, in cui si mette alla berlina il potente. In questo modo si fa perdere ogni possibile fascinazione. Il superuomo è smascherato: è un piccolo uomo, è un meschino. Viene preso in giro come l’Hitler de Il grande dittatore. Anche la famosa marcia su Roma viene raccontata come un’enorme farsa, una fiction, e viene sminuita, presa in giro. Eppure il senso del pericolo, della violenza, della minaccia è sempre vivo. “La sfida più grande era trovare il tono giusto” spiega il regista. “Era importante non ritrarlo come un pagliaccio, ma prenderlo sul serio. Il tono si fa man mano sempre più cupo. La sfida più importante è stata riuscire ad avvicinarsi quanto più possibile alla figura di Mussolini e permette a Luca di interpretarlo seducendo il pubblico, così come Mussolini aveva sedotto l’Italia e anche tanti leader internazionali come Churchill”.
Il primo Mussolini è un perdente
“Il primo Mussolini è un Mussolini perdente, sconfitto, un arciitaliano meschino e opportunista” interviene lo sceneggiatore Stefano Bises. “Un Alberto Sordi, un Tony Soprano. Quel tipo di personaggio parte del nostro racconto. Abbiamo creato un tipo di trattamento funzionale a creare una simpatia, una vicinanza, una comprensione dei suoi sentimenti. Via via che la serie diventa più crudele, quest’uomo mette i propri vizi capitali al servizio di un potere feroce. Volevamo portare lo spettatore idealmente a sentirsi male per aver avuto dei sentimenti di comprensione per quel perdente iniziale”.
Facile sottovalutare un pericolo: lo stiamo facendo
E torniamo all’inizio, a Mussolini che sfonda la quarta parete, a quello sguardo in macchina. “Il controcampo siamo tutti noi” ragiona l’altro sceneggiatore, Davide Serino. “Ed è facile sottovalutare quel pericolo: lo facciamo ogni volta, lo stiamo facendo adesso. Volevamo portarvi a sottovalutarlo. Quel finale in cui Mussolini chiama tutti noi a dire una parola e nessuno di noi la dice è la chiave di tutto. Racconta il populismo e i rischi che corriamo ogni volta”. “Il tono da commedia era una trappola” continua. “Quello che ha fatto un paese intero è stato sottovalutare un possibile mostro umanizzandolo. Quei tratti da commedia all’italiana gli appartenevano completamente e hanno sedotto moltissime persone. Tendiamo a sottovalutarlo e questa è una colpa imperdonabile. Che parla anche dell’oggi”.
La musica di Tom Rowlands dei Chemical Brothers
M – Il figlio del secolo vive sulla musica elettronica di Tom Rowlands dei Chemical Brothers: big beat, jungle, drum’n’bass. È il ponte tra quel passato e il presente. È dire che quello che accadde allora potrebbe accadere oggi, che quel mondo non è finito. È l’onda che può arrivare fino a noi. La deriva che può prendere in ogni momento ogni Paese. La musica techno è anche quel senso di movimento, di rumore e meccanica, che era il Futurismo. E così la musica di Tom Rowlands si mescola alla perfezione con il repertorio, con l’accelerazione di quei treni in movimento, le rotative della stampa, le immagini di guerra.
Una grande regia e un grande montaggio
La serie Sky ha anche grandi spunti di regia. Come la figura della moglie di Matteotti che scompare e riappare: non c’è ma è presente, come un fantasma. O come le mosche che girano intorno al cadavere, e che arrivano continuamente fino allo studio di Mussolini, come presagio e senso di colpa. E poi c’è quel finale di cui parla Serino, in cui Mussolini chiede a tutti noi di dire qualcosa. È raccontato con un montaggio, prima più lento, poi sempre più veloce, frenetico, sui volti dei parlamentari, quelli che dovranno votare, che dovranno opporsi. E che, nell’ultima scena, rimarranno in silenzio. Quelle persone non sono alieni. Sono gli italiani. Quelle persone siamo tutti noi.