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Green manager, intimacy coordinator, vfx e gaming, ecco le professioni che diventeranno fondamentali nel mondo delle produzioni. Lo dice la Roma Lazio Film Commission

di Maurizio Ermisino

“Abbiamo cercato di intercettare quali nuove professioni saranno fondamentali nel mondo della produzione, quali nuove figure sono sempre più richieste. Abbiamo scoperto come anche la tecnologia di mondi che sembravano avulsi dalla produzione, ad esempio il gaming, abbia sempre più collegamenti con la produzione contemporanea”. Così Maria Giuseppina Troccoli, Commissario Straordinario di Roma Lazio Film Commission, ha introdotto l’incontro Nuove professioni per nuovi scenari: le nuove possibilità professionali del cinema e dell’audiovisivo nell’attuale panorama globale, organizzato da Roma Lazio Film Commission e andato in scena ieri, a Palazzo Poli, nel cuore della Fontana di Trevi, a Roma. Quello della formazione è un tema che vede le film commission italiane in prima linea. E così ieri si è parlato di come le nuove competenze tecnologiche e artistiche, legate alla creatività digitale e a tematiche emergenti, determinino la nascita e la necessità di nuove figure professionali.

Green And Sustainability Manager

Carla Bernardin è la Green And Sustainability Manager del gruppo Freemantle: il ruolo di green manager oggi non è ancora contrattualmente definito, ma è la persona incaricata dalla società e riconosciuta all’interno della troupe che deve far rispettare tutte le buone pratiche possibili – stabilite da protocolli a livello nazionale e internazionale – al fine di ridurre l’impatto ambientale delle lavorazioni. Si tratta di lavorare su energia, trasporti, acquisti, materiali, cibo, smaltimento. “Quello che si cerca di avere sono allacci temporanei per l’energia del set invece che usare i gruppi elettrogeni, che sono diesel. L’allaccio temporaneo dipende dalla realtà in cui si opera, perché per averli a volte servono tempi biblici e il cinema va di corsa. In altri casi si cerca di avere batterie ricaricabili invece che quelle usa e getta. Per i trasporti si predilige il noleggio di auto elettriche, non facili da avere per i noleggi a breve termine, o classi energetiche performanti tipo euro 6, e si prediligono i viaggi in treno invece che in aereo. I materiali devono essere certificati, come carta, legnami e vernici. Anche il cibo è importante. Ho cercato di inserire una giornata vegetariana a settimana e abbiamo abbattuto le emissioni di CO2 di 14 tonnellate rispetto a scelte a base di manzo. Anche la plastica usa e getta non si può più utilizzare”.

 Intimacy Coordinator

È un ruolo molto richiesto, al momento si rifà a dei protocolli esistenti all’estero. Anche questo ruolo non è ancora riconosciuto a livello contrattuale. “Ha le sue origini nell’ambito del teatro” ci spiega Luisa Lazzaro, Intimacy Coordinator. “Alcuni accademici in America nel 2006 hanno applicato i contenuti della stunt coordination all’intimità. Il primo ruolo di Intimacy Coordinator è stato nel 2014, con la serie The Deuce”. Ma che cos’è l’intimacy coordinator? “Non è un ispettore, né un censore, né uno psicologo o educatore sessuale e neanche un aiuto regista” spiega Luisa Lazzaro. “Abbiamo il ruolo di facilitare delle scene con contenuti di intimità. Il nostro lavoro sta nel valutare, leggendo la sceneggiatura, e trovare le scene in cui è necessario farlo. Dobbiamo incontrarci con i vari reparti di produzione e regia: c’è una riunione con la regia per verificare la visione artistica e poi una riunione con gli attori per il consenso. In sceneggiatura spesso ci sono descrizioni piuttosto generiche e capiamo se si deve essere più precisi. E poi ci sono riunioni con i reparti dei costumi e del trucco, per le coperture: ci si chiede se siano disponibili degli indumenti che possano coprire gli attori nel caso ci sia la simulazione di un atto sessuale. Poi c’è il momento delle prove, mi preoccupo di avere la coreografia, così nel momento delle riprese posso aiutare il cast nei movimenti. C’è un check-in con gli attori anche alla fine delle riprese”.

Brand Manager

Un ruolo che chi si occupa di comunicazione e marketing conosce bene è quello del Brand Manager, di cui ha parlato Laura Corbetta, Presidente di OBE – Osservatorio Branded Entertainment, associazione che mette insieme protagonisti della comunicazione insieme a brand, editori e il mondo delle piattaforme. “Oggi il 90 % delle grandi aziende è caratterizzato da beni intangibili, mentre una volta era basato su beni tangibili” ci spiega. “Vuol dire che più del prodotto o del servizio vale la forza del brand, la capacità di stare sul mercato e innovare, di creare relazioni. Quello che conta è la capacità di raccontarsi, di raccontare storie originali in grado di emozionare e divertire. Oggi le aziende usano prodotti culturali, come il cinema e i prodotti audiovisivi, per raccontarsi. Non solo ai già clienti, ma anche ai propri target interni, ai dipendenti, agli stakeholder. Dobbiamo immaginarci i consumatori come persone che scelgono un brand per le storie che riesce a raccontare. Oggi la moneta di scambio è la fiducia. Certo, il Brand Manager si occupa sempre di migliorare il prodotto. “Ma gran parte del lavoro si fa poi sul racconto. Il Branded Entertainment è questo racconto. Un lavoro complesso, ha bisogno delle agenzie creative, delle case di produzione, di broadcaster ed editori. Il Brand Manager è qualcuno che coordina il lavoro del brand, che determina qual è il suo purpose. Un bravo Brand Manager deve essere il punto di contatto tra il brand e l’industria culturale e deve essere molto bravo a capire l’identità, i valori e gli obiettivi che il brand ha, il suo posizionamento all’interno di questo mondo”.

Diversity & Inclusion

Giuseppe Musci, Diversity & Inclusion di Sky, ci ha spiegato qual è il suo lavoro. “Mettiamo insieme un gruppo di colleghi e costruiamo dall’interno questo tema” ha raccontato. “Si parte dai dati, dal qualitativo e poi dal quantitativo: quanti uomini ci sono, quanti donne. È nato un cantiere. Da qui, nel corso degli anni, sono nati una serie di stimoli. Si tratta di essere rispettosi di una corretta rappresentazione delle diversità. Per sviluppare questa consapevolezza abbiamo attivato tutti, colleghi e colleghe. Se non diamo voce al nostro interno alla diversità che c’è fuori, non riusciremo mai ad essere credibili all’esterno. Per la disabilità abbiamo un progetto che riguarda sia quella fisica che quella psichica. Abbiamo fatto dei worskshop sul doppiaggio inclusivo e sulla scrittura inclusiva”.

Computer grafica

Di CGI ci ha parlato Francesco Mastrofini, Co-founder e Ceo di Rainbow CGI, azienda che fa parte di fa parte del gruppo Rainbow, che come core business ha la creazione dei cartoni animati, Iginio Straffi, il fondatore, è il creatore delle Winx. Francesco è uno di quei ragazzi che negli anni Ottanta è rimasto folgorato da Guerre Stellari, dagli effetti speciali e la computer grafica. “Sei-sette anni fa abbiamo creato la serie animata 44 gatti, una nostra property” racconta. “Aveva tanti gatti, pelosi, difficili da realizzare in computer grafica. Così abbiamo investito centinaia di migliaia di euro per creare un comparto in grado di studiare questo aspetto, che era tipico dei film per il cinema, ma non si usava per le serie televisive. Addirittura la Disney ci ha chiamato per il lavoro che avevamo fatto, e abbiamo iniziato a lavorare come service per alcuni loro prodotti. Il nostro settore è pieno di figure professionali che non si conoscono, sono un centinaio. La nostra Rainbow Academy forma professionisti che lavorano in tutte le produzioni del mondo. Nel nostro settore si parte dalla modellazione, si passa alla creazione dei modelli tridimensionali, con lo scultore digitale, poi ci si mette il colore, con il texture artist, il trigger artist è colui che ha studiato le dinamiche di come si muovono le braccia. Si allestisce un set digitale, si posizionano le camere, gli animatori cominciano a muovere i personaggi, con un sistema complicatissimo fatto di maniglie. Poi entrano in scena coloro che inseriscono l’effettistica, come i liquidi, e infine si illumina il set”.

Responsabile Post Produzione

Legato al lavoro della computer grafica è quello del Responsabile Post Produzione, un’altra figura che non è mai stata riconosciuta, ma è fondamentale. “È esattamente l’equivalente dell’organizzatore sul set, che coordina tutte le riprese e la troupe” spiega Monica Verzolini,Responsabile Post Produzione. “Io faccio la stessa cosa: mi occupo di tutto il budget della postproduzione e coordino tutti i reparti. Quello video e dei vfx; mi interfaccio con i sound designer, il montaggio del suono, la presa diretta e i rumori. Mi confronto con i musicisti e i direttori del doppiaggio, e poi con i titolisti e con chi si occupa dei sottotitoli. Oltre che sul budget, devo confrontarmi con tutti anche sui tempi. Con le piattaforme vanno considerati tempi più lunghi, perché i film devono essere mandati in tutto il mondo per i relativi doppiaggi. È importante cercare di avere un ottimo rapporto con la regia, ma bilanciato con l’aspetto economico: il regista tende a chiedere e a volte non è facile dargli tutto”. La postproduzione non viene presa molto in considerazione, soprattutto in fase di budget. “Si punta tutto sulle riprese, ma se non ci siamo noi il film esce muto, senza color correction, senza effetti. Ci troviamo sempre a dover discutere con tutti i reparti per gli aspetti economici, perché tutto viene investito nella produzione e non nella post”.

Visual Effects Supervisor

Ce lo spiega Fabio Cerrito, Head Of VFX Dept di Frame By Frame, 18 anni di attività, una carriera iniziata come architetto, con un grande amore per il cinema nato da Jurassic Park. “Ho cominciato a lavorare in un mondo in cui le produzioni erano molto piccole, e io ero considerato un ragazzetto che giocava con il computer” ci racconta. Ho lavorato per otto anni a Londra in uno studio con più di mille persone. Sono tornato in Italia a lavorare per Fame By Frame, la più grande società italiana di vfx, a oggi siamo circa 130 persone. La mia mansione, VFX Supervisor, è l’anello di congiunzione tra le richieste del regista e la fattibilità delle stesse. Che deve tenere conto della fattibilità tecnologica, delle tempistiche, e dei budget. Tanti mi dicono che faccio un lavoro molto creativo. È vero in parte, mettiamo in pratica le idee di chi è più creativo di noi: la vera creatività è come raggiungiamo quel risultato. Essenziale è la presenza di un vfx supervisor non solo in fase di post shooting ma anche in chiave di pre-produzione. Non si tratta di sistemare dopo le cose, ma di sistemarle prima, cercare delle soluzioni per evitare delle spese inutili”.

Sound Designer

Tra i film a cui ha lavorato Frame By Frame c’è il recente Elf Me, scritto e prodotto da Gabriele Mainetti, autore anche di quel Freaks Out che è stato un segnale di come stia cambiando il cinema in Italia. Così è cambiato anche il lavoro del sound designer. “Mi occupo di postproduzione audio: non è un nuovo mestiere ma un’evoluzione di qualcosa che esiste da quando esiste il cinema” spiega Mirko Perri, Sound Designer. “Le storie nel tempo sono cambiate: dai tipici film italiani come le commedie, solo dialogate, si è passati a un tipo di film con la narrazione più fantasy. Ci sono film sui motori, film ambientati nel passato, o nel futuro. In storie di questo tipo c’è la necessità preliminare di confrontarsi con il regista e i produttori in modo che tutta la lavorazione sia coerente. Pensiamo a un film ambientato nell’età del ferro: servirà una palette di suoni che sia costante per tutta la durata del film. Servirà una pre-produzione e non sarà possibile innovare sul set. È vero solo in parte che il suono arriva dal fonico di presa diretta con la giraffa. Lui si preoccupa di cogliere le prestazioni degli attori, invece molti suoni vengono creati fuori dal set, con una ricerca che dura anche mesi. Il goal finale è che il pubblico non si accorga di cosa c’è dietro”.

Creatore di video per mostre

Ma le produzioni audiovisive servono anche in altri campi. Federico Basso, Regista e Direttore creativo produzioni video di ETT, si occupa di contenuti audiovisivi per gli allestimenti museali, i contenuti di edutainment. “Vivono negli allestimenti museali ed esibizioni” ci spiega. “Dobbiamo veicolare contenuti culturali in ambienti dove la soglia di attenzione è molto bassa. Si tratta si sfondare questa soglia e cogliere l’attenzione in breve tempo. La complessità è in contenuti a tecnica mista, ma conta anche l’allestimento, come quello di creare degli schermi grandi. Per ottenere questo realizziamo contenuti non solo utilizzando le tecniche cinematografiche più complesse, ma tutte le tecniche in voga oggi: la stereoscopia, la realtà aumentata, la realtà virtuale”. La VR, la Realtà Virtuale, è quella forma di linguaggio in cui indossiamo un visore e siamo circondati dall’esperienza visiva a 360 gradi: siamo noi ad andare a vedere quello che ci interessa vedere. “Il problema è muovere questa telecamera. Anche la VR è un linguaggio: la telecamera viene mossa con dei veri e propri movimenti di macchina. Dal punto di vista narrativo non abbiamo più i movimenti di macchina del regista e l’inquadratura. Il pubblico non guarda quello che gli viene imposto, ma sceglie cosa guardare, per questo bisogna guidarlo indicandogli dove è meglio guardare”.

Produzione di videogame

Ma tra i prodotti audiovisivi ci sono anche i videogame, sempre più forma d’arte. Raoul Carbone, Presidente del Videogame Museum Of Rome, il primo museo di videogiochi in Italia, ci ha raccontato il mondo che ruota vicino ai videogame. “Abbiamo creato il primo corso di laurea verticale sui videogiochi, per tutte le professioni legate a questo mondo” ci ha spiegato. “Tante persone si sono laureate, è un percorso importante, con il riconoscimento del Ministero dell’Istruzione. L’opera interattiva, il videogioco, non è più video e gioco, opera di interesse culturale. Quello dei videogame è un mercato di oltre 200 miliardi di dollari a livello globale, che ha superato cinema e musica messe insieme. In Italia è un mercato di quasi 2 miliardi di euro, più grande del cinema. È un’industria florida, che non soffre di flessioni. È un settore dove ci sono tantissime professioni: sono le stesse professioni del cinema, ma ce ne sono altre afferenti alle nuove tecnologie e all’interattività. Fabio Viola, Game Designer, è il Curatore dell’area gaming del Museo Nazionale del Cinema di Torino. “A livello pubblico solo da due anni i videogiochi hanno accesso a delle aree di credito” ha spiegato. “In Canada questo processo è iniziato già 20 anni fa. In Polonia il 2% del Pil viene dai videogiochi. La produzione italiana sta tra i duecento e i trecento milioni l’anno e consumiamo per due miliardi: c’è un grande disavanzo. I videogiochi sono diversi da altre forme d’arte: un videogioco non può essere distribuito su scala nazionale ma solo su scala mondiale e deve essere creato per toccare delle sensibilità a livello globale”.