Youmark

La marca è solo uno dei pezzi. Bisogna lavorare sullo stile, per identità che siano Idem e Ipse. E la comunicazione c’entra. Peccato che aziende e agenzie scimmiottino ancora l’estero, quando urge un racconto tutto italiano

Capace di caratterizzare univocamente, vincendo il gioco tra distinzione e adeguamento, senza dimenticare chi si è, da dove si viene e dove si vuole andare.

Ma facciamo un passo indietro. Ci troviamo all’interno dell’Assemblea 2015 IBC – Associazione Industrie Beni di Consumo – dedicata al tema dell’identità d’impresa come risorsa competitiva e tenutasi ieri a Milano. L’obiettivo è cogliere le opportunità della situazione attuale e futura.

Che se da un lato un piccolo sorriso lo ruba, dall’altro avverte anche dei pericoli ancora all’orizzonte. Come ha sottolineato nel suo intervento Gianfranco Viesti, economista dell’università di Bari, la caduta della domanda interna sommata alle mutate condizioni internazionali devono mettere non poco in allarme il nostro sistema manifatturiero, che riparte dai livelli del 1990, con una redditività ai minimi storici. Dunque, pur sperando che la domanda interna si ripigli, la salvezza sta nell’internazionalizzazione.

Ma servono investimenti, soprattutto nel digitale, innovazione, ricerca. Sapendo che la dimensione familiare di certo non ci facilita. L’exploit di mercati emergenti, infatti, sta via via portando alla ribalta il tema della concentrazione. Da noi, inoltre, mancano risorse cognitive e capacità manageriali, extra imprenditore. Basti pensare che la nostra percentuale di laureati impiegati in azienda è la metà di quella tedesca.

E a testimonianza di quanto sia urgente un piano industriale che faciliti la strategia del cambiamento, c’è la non omogeneità di andamento. All’interno dei settori, ma anche dei distretti, con realtà che crescono e altre che chiudono. Perché tutto dipende dalla capacità di export, sintetizzando condizioni e comportamenti che virtuosamente interagiscono allo scopo. Dal rafforzamento del capitale proprio alla maggiore competenza diffusa, dall’innovazione di processo, prodotto, organizzazione all’espansione verso nuovi mercati in crescita.

Il tutto nella certezza che indietro non si torna più.  Come specificato da Mauro Magatti, sociologo ed economista dell’Università Cattolica di Milano (ascoltalo al microfono di youmark) il 2008 diventa linea di separazione. Con i primi 20 anni della globalizzazione in sola corrente espansiva (l’Italia, poi, si è limitata a seguirla, senza organizzare un proprio modello) e caratterizzati dallo slegamento delle relazioni, all’attuale, in cui conta la capacità di dominare il mare tenendo la rotta e riallacciando, ossia legando, relazioni. A partire dalla stessa Europa. Perché per vincere nel mondo serve un sistema di alleanze che generino valore. E il Governo deve porre regole che aiutino il nostro paese a tesserle.

Non a caso, si passa dalla fase della marca a quella dello stile, che è il modo in cui l’azienda ‘mette in forma’ un pezzo di realtà e la offre al mercato. Il tutto disegnando identità Idem (coincide con ciò che è invariabile e permane nel tempo, oltre la contingenza) e Ipse (ossia quella parte di identità che è capace di cambiare, coerentemente con quanto si è e con dove si vuole andare).

Come? Con innovazione e strategia, intelligenza (capacità cognitiva, ricerca e sviluppo, creatività) e l’abilità nello stabilire relazioni positive con il contesto. Dall’ambiente agli stakeholder agli shareholder. Centrando sì la questione normativa, ma pure la comunicazione, verso consumatori che dall’azienda oggi si aspettano valori.

Perché in questo terzo atto del capitalismo, a contare è solo la capacità di produrre valore. Ossia di avere uno stile. Di darsi delle priorità. Di fare investimenti. Per poter accedere ad altri mercati esteri, ma al contempo sostenere la domanda interna.