Il film, idea e regia di Daniele Pignatelli, in associazione con Haibun di Cesare Fracca, con il sostegno di Fondazione Opera don Bosco Onlus e la collaborazione dei detenuti del Carcere di Opera, affronta temi di grande attualità, alla luce delle recenti problematiche che affliggono il sistema carcerario italiano. Negli ultimi tempi, infatti, le carceri italiane sono spesso al centro del dibattito pubblico a causa del sovraffollamento, delle difficili condizioni di vita dei detenuti e delle criticità legate al reinserimento sociale. Tali questioni sollevano interrogativi urgenti su come il sistema penitenziario possa svolgere al meglio il suo ruolo non solo punitivo, ma anche rieducativo e riabilitativo.
Il carcere come percorso di riscatto
‘Io spero paradiso’ si inserisce perfettamente in questo contesto, raccontando una storia di rinascita e seconde opportunità attraverso il vissuto di tre detenuti. L’opera diventa così occasione per riflettere su come il carcere possa essere anche un luogo di crescita personale, riscatto e reintegrazione, offrendo una visione più umana e meno stigmatizzante della realtà carceraria.
Intervista al produttore
Ieri, a Milano, presso la Fondazione Opera Don Bosco Onlus, in occasione della conferenza stampa del film ne abbiamo parlato con Cesare Fracca, HAIBUN GROUP.
Come è nata l’idea e come ti sei trovato coinvolto?
“L’idea nasce da Daniele Pignatelli, regista e co-produttore, il film è stato realizzato quasi tutto in ordine cronologico per cui le riprese sono cominciate quando è stato allestito il laboratorio per la produzione delle ostie all’interno del carcere di massima sicurezza di Opera il 15 ottobre 2015, hanno attraversato tutto l’arco dell’anno Giubilare e sono terminate il 17 gennaio 2017. Trattandosi di un carcere di massima sicurezza, di 2 ergastolani (uno detenuto da 25 anni, l’altro da 21 anni) e di un fine pena 2031 (detenuto da 9 anni), naturalmente abbiamo affrontato quotidianamente difficoltà sia burocratiche che di produzione. Abbiamo ottenuto l’articolo 17 per poter entrare e uscire dal carcere, ma ogni volta c’è stato bisogno di rifare i permessi per telecamere e materiale tecnico e solo dopo 6 mesi abbiamo ottenuto il permesso di potere girare all’interno delle celle e dei corridoi”.
Carcere di massima sicurezza e detenuti a parte, quale è stata la cosa davvero unica in questa produzione?
“La particolarità principale è che, pur partendo da un script di Daniele basato sul progetto del laboratorio delle ostie, la maggior parte delle cose sono avvenute nel corso della realizzazione obbligandoci a un’ attenzione e concentrazione costante per poter cogliere al volo qualsiasi momento decisivo. Ad esempio, chi mai avrebbe potuto prevedere che dopo solo 6 mesi, il 9 aprile 2016 i nostri detenuti sarebbero potuti uscire per la prima volta per incontrare Papa Francesco in Vaticano? Questo modo di lavorare realizzare, scoprire e cambiare continuamente il film ‘facendolo’ è stato veramente entusiasmante, al punto da renderci non solo testimoni, ma quasi co-protagonisti”.
Superfluo chiederti quanto tu ne sia orgoglioso, ma quali i perché?
“Innanzitutto sono orgoglioso di aver contribuito alla realizzazione di questo film perché è una storia che doveva essere raccontata al mondo. Il tema della speranza, qui centrale, e della possibilità di redenzione e di trasformazione della propria vita è assolutamente importante e attuale. Trattandosi poi di una storia vera, che si è sviluppata giorno per giorno sotto i nostri occhi, il messaggio è restituito con verità, forza e intensità commoventi. Il fatto poi che Papa Francesco, attratto dalla forza di questa vicenda, abbia deciso di incontrare personalmente i nostri protagonisti nel cuore del Vaticano è un atto di riconoscimento profondo e significativo che conferma la forza della loro redenzione e ne sottolinea il potere e il grande valore per il mondo intero.
Un commento sul finale?
Le ostie distribuite in tutto il mondo ci portano al finale a Lampedusa dove vengono consacrate davanti al mare e ai migranti sottolineando così il tema dell’accoglienza e della speranza. Come detto ‘Io spero Paradiso’ non è solo il racconto di un riscatto personale ma è un potente messaggio di speranza. Un documentario che svela e mostra la capacità dell’essere umano di cambiare, evolvere e migliorarsi anche dopo aver percorso strade sbagliate e aver commesso crimini terribili. Questo film esplora temi universali dimostrando che per quanto oscuro sia il passato, esiste sempre la possibilità di una rinascita. Un’opportunità che tutti meritano di avere”.
Sinossi
Nel carcere di massima sicurezza di Opera tre detenuti responsabili di omicidi, Ciro, Giuseppe e Cristiano, sono stati scelti per produrre artigianalmente, con le loro mani un tempo sporche di sangue, ostie che vengono consacrate nelle chiese di tutto il mondo, divenendo così il corpo di Cristo. Il loro sogno è consegnarle di persona nelle mani benedette del Santo Padre Papa Francesco, al quale scrivono una lettera. Una storia vera senza precedenti al mondo.