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Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna: al cinema dall’11 luglio il film che tutti i pubblicitari dovrebbero vedere

di Maurizio Ermisino

“Non dobbiamo mandare queste cose nello spazio, ma solo dirlo”. “Dobbiamo mentire?” “No, dobbiamo vendere”. A parlare è Kelly Jones, professione pubblicitaria, che ha il volto di Scarlett Johansson. È la protagonista di Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna, geniale film di Greg Berlanti – al cinema dall’11 luglio distribuito da Eagle Pictures – ambientato alla fine degli anni Sessanta, in piena corsa allo spazio, nel periodo dell’allunaggio. Kelly Jones sembra uscita da Mad Men, la serie tv ambientata tra gli anni Cinquanta e Sessanta che raccontava l’ascesa dei pubblicitari americani e delle grandi agenzie. Fly Me To The Moon parla anche di questo, di pubblicità, di marketing e di una donna chiamata per “vendere la Luna”. È per questo che è un film che tutti i pubblicitari dovrebbero vedere.

“Gli americani si sono disamorati della corsa allo spazio e io sono qui per farli innamorare di nuovo”

È sempre Kelly a parlare, e in una frase ci spiega il senso del suo lavoro e quello del film. La NASA sta preparando la missione Apollo 11, che punta a portare per la prima volta l’uomo sulla Luna. Ma la missione precedente ha fallito e si tratta di rilanciare l’immagine pubblica della NASA. Così viene assunta Kelly Jones, ragazza prodigio del marketing. I finanziamenti rischiano di essere ridotti e Kelly si troverà a orchestrare la più grande campagna di marketing della sua vita: vendere la Luna. Che significa vendere un sogno, un’idea, dei valori. Significa vendere l’America. Ma, al contempo, significa fare co-marketing e associare un brand da rilanciare, la NASA, ad altri brand che possano sfruttare il sogno della Luna.

L’entrata in scena di Kelly (Scarlett Johannsson) è folgorante

Si finge una donna incinta e riesce a vendere a un gruppo di clienti uomini la campagna pubblicitaria di una nota marca automobilistica, e, in particolare, la prima auto con le cinture di sicurezza, puntando proprio sul desiderio di ogni moglie di vedere tornare a casa sano e salvo il proprio marito. Smesso il pancione posticcio, la vedremo spesso in altre vesti. Kelly è una venditrice, una pubblicitaria, un’attrice. È bravissima nell’interagire con il suo interlocutore ponendosi subito al suo livello, ad essere esattamente la persona che questi vuole incontrare, a dire quello che vuole sentirsi dire. D’altra parte, porsi sullo stesso piano dell’interlocutore è quello che insegnano nella programmazione neuro linguistica, che è inserita in alcuni corsi di comunicazione.

In Fly Me To The Moon compaiono molti brand

In questo senso, Fly Me To The Moon è geniale. Racconta una colossale operazione di marketing diventando a sua volta una grande operazione di marketing. Il film di Greg Berlanti è una straordinaria case history di product placement. E fa brand integration nel modo in cui sanno farlo gli americani, in modo organico e mai forzato, apertamente e senza vergogna. Anzi, se in una storia con al centro una pubblicitaria non apparissero dei marchi sarebbe quasi irreale. Così (come accadeva nel film Perfect Strangers, in cui Bruce Willis era a capo di un’agenzia di advertising) appaiono molti grandi brand. E sono scelti non a caso, ma in modo che sia plausibile che potessero sponsorizzare lo sbarco sulla Luna negli anni Sessanta. E così compaiono Heinz a Nestlé, Omega e Kellogg’s. A proposito, la storia immagina che Kelly progetti una serie speciale di prodotti in cui ogni tipo di cereale abbia il nome di uno dei tre astronauti, con packaging dedicato.

Le riflessioni sulla comunicazione non si fermano al co-marketing

Ma coinvolgono ogni sfera dell’apparato comunicativo. Ci sono, ad esempio, anche le P.R. Kelly organizza delle interviste televisive per rendere più umana e vicina al pubblico la NASA, intervistando le persone che stanno lavorando alla missione. Ma assume degli attori per interpretare i veri responsabili della missione, per renderli più accattivanti, con più appeal. Nella storia a cui assistiamo è anche sua l’idea – geniale – di portare una telecamera per la trasmissione in diretta dello sbarco, facendo diventare quel momento memorabile. Si dice che una cosa non esiste se non va in tv. Ed è vero. Documentata a dovere, lo sbarco sulla Luna è entrato nelle case della gente prima ancora che nella Storia. Che poi, nel film, si immagini che, per paura che la missione non riesca, si decida di girarla in studio, è un altro discorso. Che rende ancora più divertente il film e ammicca a quella leggenda metropolitana che dura da decenni e vuole che lo sbarco sulla luna sia in realtà stato girato da Stanley Kubrick. Per questo Fly Me To The Moon è un film che tutti i pubblicitari dovrebbero vedere. Perché è una lezione di product placement e una riflessione sulla pubblicità. Fare pubblicità non significa mentire, ma vendere. E quindi presentare il prodotto, o l’idea che si deve promuovere, nel modo migliore possibile.