di Maurizio Ermisino
C’è ancora domani, il film d’esordio da regista di Paola Cortellesi, ha aperto la Festa del Cinema di Roma illuminandola con una forma visiva e un messaggio potentissimi.
C’è ancora domani è girato in un bianco e nero che ha un senso inequivocabile, quello di riportarci al Neorealismo, ai suoi luoghi e ai sui personaggi: la Roma del primo dopoguerra e la gente comune.
Siamo nel maggio del 1946, nell’immediato dopoguerra, e qualcosa di importante sta per accadere. Paola Cortellesi ci porta dritti dentro a quegli anni, ma li guarda con gli occhi di oggi. E così certe situazioni che all’epoca erano assodate, scontate, in fondo anche passate in secondo piano le esplicita, le sottolinea, le fa esplodere. Parliamo della condizione femminile, del patriarcato, del maschilismo tossico e della violenza domestica. E di un momento storico come il suffragio universale, che è stata una prima, importantissima conquista, ma solo un primo passo verso un percorso che, ottant’anni dopo, è ancora tutto da compiere. Per questo C’è ancora domani è un film potente, doloroso e allo stesso tempo irresistibilmente comico, ma con un messaggio attuale che non si può ignorare.
Delia (Paola Cortellesi) è la moglie di Ivano (Valerio Mastandrea), padre-padrone di una famiglia con tre figli. Ivano è uno che, dice lui, ha fatto due guerre, che lavora duro per portare i pochi soldi a casa, ma per questo crede di avere il potere su tutto e tutti. Ha rispetto solo per suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio livoroso e dispotico di cui Delia di fatto è la badante. Per fortuna, per Delia c’è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), compagna di risate e confidenze. La primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano) sta per fidanzarsi con un ragazzo borghese, Giulio (Francesco Centorame) ed è molto felice. Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.
Il film è scritto, recitato, girato dal punto di vista femminile, ed è fatto in modo così efficace che è impossibile non sposare questo punto di vista. La comicità e l’ironia della sceneggiatura servono a rendere meno dura la situazione, a lenire il dolore, a smorzare la tensione che sottende a tutta la storia. Il senso di oppressione, di claustrofobia è qualcosa che si respira a ogni inquadratura, in quegli interni angusti che sono paesaggi stati d’animo. E per andare avanti, oltre a sorridere (grazie a una sceneggiatura brillante e grandi attori), si deve sperare in una catarsi. Che ci sarà. Ma non è quello che pensiamo, quello che il film ci fa pensare all’inizio. È molto di più.
Non ci lascia scampo perché ambienta una storia negli anni Quaranta – e la racconta con i codici del cinema del tempo – dove il maschilismo e il patriarcato erano la norma ed erano accettati, anche dalle stesse donne. Ti fa pensare che sia qualcosa che succedeva ottant’anni fa, e già allora ti sembra incredibile. Ma poi pensi che accade anche oggi, forse in maniera diversa, forse più subdola. Forse non ovunque. La stessa Paola Cortellesi ha raccontato che, chi ha commentato un suo contratto, ha detto che non era “ottimo, per essere una donna”. Il che fa il paio con quello che, nel film, accade nella bottega dell’ombrellaio dove Delia lavora da tre anni, e dove il nuovo arrivato, al primo giorno di lavoro, guadagna già più di lei, “perché è omo”.
Ma è ogni cosa che nel film ci parla di discriminazione, di ingiustizia, di dislivello. La figlia femmina, Marcella, che non ha fatto la scuola media (ma solo l’avviamento) perché quella la fa Sergio che è maschio; il matrimonio con un benestante visto come unica possibilità per migliorare la vita; la moglie che in ogni famiglia (anche quella borghese del notaio dove Delia fa le punture) deve stare zitta. La proprietaria della merceria per cui Delia fa alcuni lavoretti che, alla firma della bolla di consegna da un fornitore, si sente chiedere se non c’è suo marito.
C’è ancora domani è anche un film sulla violenza domestica, sul maschilismo tossico, che allora era la norma, e oggi è ancora troppo diffuso. In questo senso, Cortellesi sceglie di non mostrare una scena di violenza in modo brutale, ma la sublima e la astrae in una danza, sulle note della famosa Nessuno di Mina. Ma non per questo la rende meno dura. Perché, in questo modo, la rende un rituale, qualcosa di ripetitivo, di quotidiano.
È una delle ottime scelte di regia di Paola Cortellesi, che parte dello stile del Neorealismo (il bianco e nero, il formato più stretto dello schermo, un uso preciso degli interni e degli esterni), ma poi apporta una serie di variazioni sul tema. Il ralenti – con una musica rock potente come colonna sonora – modernissimo che segue il titolo del film, che invece è puro cinema anni Quaranta.
La macchina da presa che gira intorno a due personaggi, sulle note di Fabio Concato. E il sogno/flashback che racconta l’innamoramento tra lei e Ivano, raccontato con gli stilemi del cinema muto anni Venti. Ci sono nel film una serie anacronismi musicali, con la musica rock, quasi punk, che irrompe sullo schermo in alcuni momenti e con tanta musica cantautorale: Concato, ma anche Lucio Dalla e Daniele Silvestri, la cui A bocca chiusa accompagna l’emozionante sequenza finale. Ma nel film ci sono anche i solai con le lenzuola messe a stendere come in Una giornata particolare di Ettore Scola. Vari immaginari che concorrono a creare un messaggio potente.
C’è ancora domani è scritto da Furio Andreotti, Giulia Calenda e dalla stessa Paola Cortellesi (è il team dei fortunati Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani) ed è prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, e Vision Distribution, società del gruppo Sky.
“Abbiamo creduto da subito in questo progetto, una storia ambientata nel passato ma di grandissima attualità, che con il suo talento unico Paola Cortellesi ha voluto raccontare attraverso uno sguardo intenso, intimo e sorprendente sul femminile”, ha dichiarato Antonella d’Errico, EVP Content Sky Italia e presidente di Vision Distribution.
“Un film importante sulla condizione della donna, tema che ancora oggi e tutti i giorni va sostenuto e posto al centro, perché un domani c’è e deve necessariamente essere migliore”.
“Siamo felici e orgogliosi del rapporto che negli anni abbiamo costruito con Paola Cortellesi con alcuni fortunati film ed essere accanto a lei nella sua prima regia di cui è anche autrice e protagonista ci sembrava l’evoluzione naturale del nostro percorso insieme”, ha raccontato Massimiliano Orfei, Amministratore delegato Vision Distribution. “Paola è una straordinaria artista e l’opera che porta alla Festa del Cinema di Roma la rappresenta al meglio: con eleganza, ironia, profondità e contenuti che solo lei poteva avere l’abilità di raccontare con una voce così sorprendente.”
“La storia è nata con la voglia di raccontare la vita di quelle donne che nessuno ha mai celebrato”, ha spiegato la stessa Cortellesi. “C’era un’immagine da cui sono partita: uno schiaffone sulla faccia della donna che poi si risveglia e fa le cose quotidiane, come una povera Cenerentola. C’era voglia di raccontare la storia delle mamme, delle nonne che hanno costruito un tessuto sociale di questo Paese e sono sempre state considerate delle nullità. Loro stesse si sono considerate così. Ci sono state anche donne grandi, con una coscienza, che hanno combattuto per i diritti delle donne, ma poi ci sono donne che nessuno celebra e ricorda che avevano una totale inconsapevolezza, non si rendevano conto delle violenze che subivano: gli era stato insegnato che non contavano niente e per lo era normale. Mia nonna, donna eccezionale, diceva sempre: ‘Però, che capisco io?”. “Me sò capita io”, invece, direbbe la Monica di Come un gatto in tangenziale, altro grande personaggio di Paola Cortellesi. E la sua Delia, in qualche modo, capisce. Guardate il film fino in fondo e capirete anche voi.