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Faccia a faccia con Francesco Cibò, Director of Brand Marketing & Communication Schӓr: una campagna è perfetta se cambia il percepito di una marca rendendola più rilevante e differenziata. Fa leva su una tensione che sia semplice ed emozionale e che sia coerente con l’essenza del brand. Con le nostre agenzie non è un rapporto a progetto ma di vera partnership, di lungo

Da due anni gestisci il brand marketing e la comunicazione globale di Schӓr. Qual è la tua visione, insomma cosa significa oggi tenere le redini di un brand worldwide?

In precedenza la marca veniva gestita in maniera più autonoma in ogni paese. Un approccio che oltre ad aver generato costi e complessità, aveva reso la marca incoerente e ne aveva diluito la forza. Il primo passo è stato quello di mettere insieme tutte le ricerche sulla marca, ascoltare tutti gli stakeholders per definire un posizionamento comune distillandone l’essenza in un proposito globale legato alla nutrizione inclusiva. Abbiamo spostato la marca da un’area più funzionale e razionale, verso una dimensione più valoriale ed emozionale. Abbiamo creato un ecosistema di contenuti che lo esprimesse e un modello operativo che ci permettesse di lavorare con i migliori talenti dell’industria e di declinare la marca in maniera più coerente in tutti i paesi.

Gestire una marca globale significa conoscerne profondamente storia ed evoluzione tenendo presente le sue peculiarità nei diversi paesi.

Deve superare l’approccio dicotomico del global vs local sapendo bilanciare le due dinamiche e guardando agli elementi che uniscono rispetto a quelli che dividono. Significa definire un framework startegico comune, delle piattaforme di comunicazione trasversali coerenti, ma allo stesso tempo consentire alla marca di avere la flessibilità che permette di catturare le opportunità e rispondere a specifici insights locali.

 

Qual è il vostro rapporto con i partner di comunicazione? dall’ultima campagna globale a firma IGP  al lancio del bio by Initiative al restyling del pack con Bulletproof e Artefice sino ai lavori in partnership con Ogilvy e pure la campagna Dude , cosa cercate e cosa vi convince nella scelta? 

Cerchiamo di selezionare sempre i migliori partner in base alle loro competenze specifiche. Ma appena sono arrivato in azienda e ho fatto un assessment dei partner di comunicazione mi sono reso conto che c’era una grande dispersione, poche risorse frammentate e ripartite tra tante piccole agenzie. In tutto il mondo lavoravamo con più di 40 partner tra agenzie media, seo, digital, creative e PR. Oltre ad aver contribuito a un approccio frammentato che aveva indebolito la marca, questo aveva reso il rapporto tra il budget di working media e non working (ovvero fee e produzione) molto inefficiente e sbilanciato sul quest’ultimo.

Avevamo bisogno di creare un modello che ci aiutasse a lavorare su tre fronti: impatto, qualità e coerenza. Così abbiamo messo insieme tutte le risorse locali che avevamo a livello di budget e abbiamo avviato una consultazione le due holding companies a cui facevano capo le agenzie delle diverse discipline con cui lavoravamo di più.

L’obiettivo era quello di creare un modello di agenzie integrate che ci permettesse di lavorare con i migliori talenti globali a livello digitale, creativo, media, planning e PR per sviluppare la strategia, i contenuti e le piattaforme trasversali e dei team locali per poterle declinare, amplificare e complementare a livello locale. Anche il modello di remunerazione è stato pensato in maniera diversa. Non volevamo lavorare con una serie di fornitori bensì con un vero e proprio business partner integrato, pertanto abbiamo creato un modello con una parte di fee fortemente sbilanciato su una parte variabile legata a KPI di marketing ma anche di business come quote di mercato e fatturato. Oggi lavoriamo con un modello costruito ad hoc da IPG che rispecchia la nostra struttura aziendale, con agenzie locali e dei team centrali composti da Initiative Londra per la parte media, MRM Madrid per la parte Digitale, Weber Shandwick Monaco per la parte di PR, McCann Milano per la parte di prodotto e Mercado McCann per la parte di marca.

E’ giusto dire che preferite cambiare piuttosto che avere rapporti di lungo periodo? Fosse sì, oppure no, perché?

Come ti anticipavo, il rapporto che abbiamo con le nostre agenzie di comunicazione non è a progetto ma è di vera partnership di lungo periodo. Ci vuole tempo per conoscere in maniera approfondita il nostro target, le dinamiche di business e la marca, e ritengo che solo conoscendo in profondità questi elementi riesci a produrre contenuti di valore.

Qual è la tua opinione su influencer e social? 

Il contesto è in continua evoluzione e quello che funzionava ieri non funziona già più la prossima settimana. Pertanto credo che le marche debbano avere una grande agilità, flessibilità e un approccio aperto al tentativo/errore con un processo di adattamento e apprendimento rapido e costante.

Gli algoritmi privilegiano sempre di più le persone rispetto alle marche e per questo la strategia deve far leva sempre di più sulla voce delle nostre comunità, dei nostri clienti, dei nostri partner e dei nostri associati. Ci focalizziamo sul relazionamento della community attraverso l’engagement con un approccio sempre meno quantitativo e più qualitativo. Privilegiamo i contenuti video brevi e digeribili come gli Instagram Stories che continuano a crescere in popolarità e un approccio autentico e trasparente. I temi su cui lavoriamo sono legati ai prodotti, alla parte di educazione alimentare e nutrizione, alle ricette e ai contenuti di marca legati al nostro proposito.

Anche per quanto riguarda gli influencers privilegiamo trasparenza, autenticità e vicinanza e per questo globalmente tendiamo a lavorare con nano influencers che hanno una maggiore affinità con noi e coinvolgendo persone che già conoscono e amano la nostra marca.

Com’ è strutturato il tuo team e qual è il tuo stile di management e le attitudini che reputi importanti?

Siamo un team multifunzionale di 35 specialisti e di agenzie che coprono le ricerche di mercato, analytics, piattaforme digitali, consumer service, social media, advertising, design, packaging, media e PR e fanno capo a 5 responsabili, Johannes Tappeiner a capo dell’esperienza e delle piattaforme digitali, Nicole Mattei a capo del Design e del Packaging, Barbara Oberleiter a capo degli insights e delle ricerche di mercato, Cristian Voltolini a capo della Comunicazione di Marketing e Stefania Cosimi a capo della Relazioni Esterne e delle Comunicazione istituzionale. Inoltre abbiamo delle relazioni indirette con tutti i team di marketing dei singoli paesi.

Il mio stile di management andrebbe valutato dal mio team e non da me ma come approccio, cerco di lavorare per loro, ascoltando e dando autonomia e fiducia. Le attitudini che reputo importanti sono da un lato lo spirito di adattamento, curiosità e innovazione per poter dominare il cambiamento e la complessità. Dall’altro empatia e ascolto, che penso siano doti importanti a livello di leadership ma anche a livello di marketing, per poter essere in sintonia con il nostro pubblico.

A livello di business, l’Italia quanto conta nel vostro portafoglio? 

Di tutti gli 85 paesi in cui siamo presenti l’Italia è uno dei paesi che pesa di più globalmente.

Tra le diverse leve del marketing quali sono quelle oggi determinanti, quindi chi sale e chi scende rispetto al passato?

Ritengo che sia importante raccontare storie straordinarie alla velocità e al passo con la cultura. Il raccontare storie è un qualcosa che non cambia nel tempo e ritengo che le storie più efficaci rispondano a una tensione, sono semplici ed emozionali e si connettono a una narrativa coerente con l’essenza della marca. Quello che è cambiato radicalmente è che tali storie oggi devono basarsi nel contesto culturale in cui vengono ospitate, devono essere non solo raccontate ma costruite con lo storymaking del design e dell’esperienza e devono avvalersi di nuovi partner editoriali, influencers e tecnologia per essere diffuse.

A livello di media, l’evoluzione segue quello del consumo e della fruizione dei mezzi del nostro pubblico. Da tanti anni i nostri piani sono fortemente dominati dal digital perché in rete l’interesse legato al cibo e alla nutrizione è già altissimo, quello che cerchiamo di fare è connettere tale interesse con i temi che ci riguardano e cercare di essere sempre a portata di dito con quello che i consumatori cercano. A livelli di tematiche, quelle che funzionano meglio sono quelle che riguardano i prodotti, gli ingredienti, la filiera, il proposito della marca e la sostenibilità.

Cos’è per te una campagna perfetta?

E’ quella campagna che riesce a cambiare il percepito di una marca rendendola più rilevante e differenziata. Ed è una campagna che risponde ai principi di cui parlavo prima, che fa leva su una tensione implicitamente o esplicitamente, che sia semplice ed emozionale e che sia coerente con l’essenza della marca.

Una creatività da premio sa fare la differenza anche per il business?

Le idee e la creatività hanno un impatto incredibile sul business e in quelle tanto straordinarie da essere riconosciute con dei premi tale correlazione è ancora più forte, tanto che mi sembra che la cosa sia anche stata dimostrata da vari studi.

La domanda che non ti ho fatto ma ti avrei dovuto fare?

Qual è stato il più grande fallimento dell’ultimo anno e perché pensi che sia successo? E ti rispondo pure: siamo stati troppo ambizioni nel cercare di riposizionare la marca e creare un nuovo modello operativo globale in pochi mesi. C’è voluto del tempo per creare dei team e dei processi che funzionassero tra noi e le diverse agenzie e che riuscissero a produrre valore. Potendo tornare indietro l’avrei fatto in maniera più progressiva e meno radicale.

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