di Maurizio Ermisino
“L’Italia è il paese dell’eccellenza. E l’eccellenza non è tale se dietro non ha un marchio, un brand. Se pensiamo a qualcosa di valore, immediatamente ci viene in mente un nome: non c’è un’opera d’arte unbranded, l’arte ha un Autore. Il nostro è un Paese che ha la capacità di generare valore, che ricade non solo sulle aziende che lo generano ma su tutta una filiera”. Così Francesco Mutti, presidente di Centromarca, ha introdotto lo studio La Marca crea valore per l’Italia, redatto da Althesys Strategic Consultants, presentato oggi a Roma al Centro Studi Americani. Lo studio ci dice che Industrie Centromarca generano in Italia oltre 87 miliardi di Valore Condiviso. È un importo pari al 4,2% del Pil. Il contributo al fisco sfiora i 29 miliardi di euro. Ogni lavoratore delle aziende di Marca contribuisce a creare 7,2 posti di lavoro in Italia. Ed è di oltre 26 miliardi l’importo dei salari lordi.
Lo studio di Centromarca
Le industrie aderenti a Centromarca confermano il loro ruolo strategico nel tessuto economico e sociale del Paese. Nel 2023 hanno generato – a monte e a valle della loro attività – Valore Condiviso per 87,2 miliardi di euro (pari al 4,2% del prodotto interno lordo) con una crescita del 19% rispetto ai 73 miliardi rilevati nel 2019. Si parla di Valore Condiviso, non solo la fase di produzione delle aziende aderenti a Centromarca, ma i fornitori nazionali e i canali distributivi: contando questi le ricadute complessive sono tre volte quelle dalla sola fase industriale. L’apporto alla contribuzione fiscale è di 28,7 miliardi di euro (5% delle entrate fiscali 2023), di cui 12,9 miliardi riconducibili all’Iva, 12,2 miliardi a imposte e contributi sociali sul lavoro, 3,5 miliardi a imposte sul reddito delle società. Ogni lavoratore delle industrie Centromarca contribuisce a creare 7,2 posti di lavoro in Italia, l’equivalente di 1 milione di persone (pari al 4,1% degli occupati), di cui 738.760 nella filiera del largo consumo: 72.056 tra i fornitori, 131.522 nella produzione, 6.195 nella logistica, 528.987 nella distribuzione e vendita. Le imprese associate generano 26,6 miliardi di euro di salari lordi (+17% rispetto al 2019), pari al 3,2% del totale dei redditi da lavoro dipendente e al 15,7% delle retribuzioni dell’Industria manifatturiera. Il Valore Condiviso creato dall’attività produttiva delle associate Centromarca è pari a 26,9 miliardi di euro: 13,5 miliardi di Valore aggiunto, 9,1 miliardi di ricadute indotte, 4,2 miliardi di Iva e 100 milioni di donazioni. Altri 13,9 miliardi di valore sono creati dai fornitori, un miliardo dagli operatori logistici e 45,4 miliardi dai canali commerciali.
Mutti: “Non possiamo essere il mercato delle produzioni di massa a basso costo”
I dati dello studio sono molto eloquenti e inducono un ragionamento su quale debba essere il percorso del sistema Italia. “Possiamo essere il mercato delle produzioni di massa a basso costo?” si chiede Mutti. “Noi siamo un piccolo Paese che fa un miracolo quotidiano, che passa dalla capacità delle nostre aziende del saper fare. Un Paese con lo 0,8% degli abitanti del pianeta è una delle 10 più grandi economie al mondo. La chiave è non la produzione di massa, ma la produzione di eccellenza, che passa attraverso la qualità. C’è un legame strettissimo tra l’eccellenza dell’Italia e il fatto di portarla verso l’estero: serve valorizzarla e non fare un percorso in cui spendiamo di meno. In un contesto di elevata competitività serve arricchire il sistema Paese”.
Misiani: “La vocazione manifatturiera va accompagnata nella transizione digitale ed ecologica”
Sulla valorizzazione del Made in Italy di qualità è d’accordo anche Antonio Misiani, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato. “Siamo un paese di trasformazione manifatturiera, non abbiamo materie prime” spiega. “Se l’Italia perde questa vocazione non ha futuro in confronto alle altre economie avanzate. Questa vocazione manifatturiera di trasformazione va difesa e accompagnata nella transizione digitale ed ecologica. La competizione non la possiamo fare al ribasso: ci sono economie, anche in Europa, che possono produrre per il mercato mass market a costi più bassi dei nostri; noi cresciamo se la competizione la facciamo sul brand e sulla qualità. Servono politiche industriali: se l’Europa vuole competere ad armi pari con gli altri grandi deve investire”.
Osnato: “Collaborare con il pubblico per certificare la qualità”
La qualità, insomma è uno dei punti chiave. E, secondo, Marco Osnato, presidente della Commissione Finanze della Camera, “produzione e distribuzione possono collaborare con il pubblico per individuare percorsi di certificazione, per garantire questa qualità che è apprezzata molto dai consumatori”. La qualità sembra essere davvero trainante. “È un momento di difficoltà economia” riflette Osnato. “E nonostante questo il consumatore predilige un prodotto di marca, che significa qualità e norme sanitarie”.
Pastorella: “La digitalizzazione può aiutare contro la contraffazione”
E in aiuto della qualità possono arrivare proprio le nuove tecnologie. “La digitalizzazione può aiutare anche contro la contraffazione” spiega Giulia Pastorella, delle Commissione Trasporti della Camera. “Ci sono molte soluzioni digitali fatte apposta per la contraffazione che possono supplire alla mancanza di personale delle dogane. Possono aiutare nella logistica, nelle tempistiche”. “È chiaro che questo presuppone un livello di competenza che non è sempre presente” continua. “Il problema delle competenze nel nostro Paese non è risolto: spesso viene lasciato alle imprese il tema della formazione, dovrebbe invece essere compito del pubblico formare talenti. E dove non sia possibile vanno importati”.
Cattaneo: “Le aziende sono le prime a creare ricchezza nel Paese”
La leva fiscale è uno degli elementi più potenti, e più politici, per incentivare lo sviluppo economico e la terza legge di bilancio varata dal governo va in questa direzione. “È prioritaria la creazione di ricchezza o la distribuzione di ricchezza?” si chiede Alessandro Cattaneo, della Commissione Politiche UE della Camera. “Abbiamo pensato che la creazione di ricchezza oggi sia più importante. Chi concorre a creare ricchezza nel Paese? Lo stato o le aziende? Entrambi, ma innanzitutto sono le aziende”.
Il problema della web tax
A proposito di fiscalità, Giulia Pastorella ha parlato di una tassa “subdola”, che è stata reintrodotta, la web tax “Prima riguardava solo i grandi player del web” spiega. “Oggi qualunque brand che si affaccia con la pubblicità on line dovrà pagare il 3%. Così una PMI che ha capito come fare pubblicità sui social viene subito tassata. Andrebbe invece fatta una difficoltà tra grande e piccolo player”. La legge va riveduta, come spiega Cattaneo. “L’obiettivo è raggiungere i grandi del web. Ma è una partita tutta europea, tutta globale”.
Mutti: tutela della proprietà intellettuale, legalità, esportazione
Le conclusioni spettano a Francesco Mutti. Siamo quindi un Paese di piccole aziende, ma è il concetto di piccolo che deve variare, perché il nostro piccolo è diverso da quello che è piccolo nel resto del mondo. Si tratta poi di tutelare normativamente la proprietà intellettuale, in modo che un’azienda che ha un’idea non venga poi copiata in brevissimo tempo. E di agire sull’illegalità reale, perché esistono aree del Paese che giocano con regole completamente diverse rispetto ad altre. Infine, serve puntare forte sull’esportazione, da cui viene il 40% del valore del Pil. “Non possiamo pensare che sia solo il consumatore italiano che generi la nostra ricchezza” spiega il Presidente di Centromarca. “Dobbiamo diventare sempre più il Paese che esporta. E dobbiamo veramente credere nell’eccellenza del Made in Italy: non fare una guerra al ribasso, al contenimento dei costi. Quel brand che si chiama made in Italy e si chiama singola marca può generare valore per il sistema Paese”.