Marketing

Siamo così certi che l’agenzia non debba possedere un suo stile?

Date uno sguardo alla comunicazione che ci circonda. Anzi, fate un esercizio ancora migliore, chiudete gli occhi e pensate a quali campagne vi hanno colpito, restandovi in mente. Non  vedete tante cose una uguale all’altra, realizzate con budget non adeguati e dunque dalla resa non certo entusiasmante?

Perché questo discorso? Per analizzare cosa stia succedendo al nostro mondo. Di sicuro all’universo creativo, ma anche al marketing delle aziende. Perché pure lì è come se si fosse smesso di rischiare differenziandosi. Certo, lo stiamo evidenziando anche analizzando le diverse fusioni tra brand storici della comunicazione, la finanza detta legge, ma non si potrebbe trovare una maniera per mettere d’accordo finanza e memorabilità, qualità, bellezza, impatto?

Di passato non si vive, evolvere è must. Parole sacrosante. Però applicate con la capacità di non correre acriticamente dietro al contemporaneo, per saper andare anche controcorrente, creando alternative. Non certo un discorso disfattista, le eccezioni esistono.

Esistono agenzie che quando escono nuove campagne sai se sono le loro, perché restano fedeli al dna del loro brand, del loro stile. Anche a costo di dire no a progetti che porterebbero in basso la percezione del loro valore. Perché il rischio è poi di ritrovarsi tutti uguali a competere solo sul servizio e sul prezzo.

Un nuovo coraggio

Come uscirne? Servono nuovi modelli e nuovo coraggio. Nuove partnership tra idea e produzione, tra media e contenuto, tra aziende ed agenzie, tra professionisti del marketing e della comunicazione. Serve ridare valore alla consulenza.

E’ da rifletterci. Anche grazie ad alcuni mitici esempi

Leo Burnett, che peraltro oggi è diventata Leo fondendosi con Publicis, possiamo dire che semplicità e umanità, con un focus sullo storytelling, rappresentavano il suo stile. Wieden+Kennedy, la sua creatività è stata audace e ironica, spesso con un forte impulso narrativo. Pensiamo a ‘Just Do It’ per Nike, o ‘The Man Your Man Could Smell Like‘ per Old Spice, che sono diventate virali e hanno ridefinito il marketing dell’azienda.

DDB, impossibile non citare l’innovazione e l’umorismo, con focus sul consumatore, delle  campagne per  Volkswagen, una su tutte ‘Think Small’ che rivoluzionò il modo di fare pubblicità automobilistica negli anni ’60. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito.

Chi fa la differenza?

A fare la differenza sono le persone. I brand storici nella maggior parte dei casi hanno come nome quello dei loro founder, che incidevano indelebilmente con il loro sguardo e la conseguente visione nella creatività e nelle scelte di business. Certo che questa condizione di ‘personalizzazione’ del brand non può esser infinita, visto che non siamo immortali. Però, pensiamo ad esempio ai brand della moda, se una sigla vuole perpetuare una determinata ‘firma’, un determinato modo di guardare e interpretare il proprio lavoro, seppur vestendolo delle esigenze dei diversi clienti, l’unico modo è scegliere le sue persone di conseguenza. Direttori creativi ma anche Ceo in primis. E ripetiamo, non significa restare alle origini, ma evolvere senza snaturare il proprio dna sì. E alla lunga il mercato se ne accorge. Vale, ovviamente, anche per le aziende, per i brand, i loro direttori marketing e Ceo.