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Golden Globe: Demi Moore vince per The Substance. Il primo premio della sua carriera, che va oltre i popcorn

di Maurizio Ermisino

Quello che è successo a Los Angeles nella notte tra il 5 e il 6 gennaio sembra davvero un film. E potrebbe essere anche un finale alternativo del The Substance. L’opera di Coralie Fargeat ha permesso a Demi Moore di vincere il Golden Globe per la Miglior attrice protagonista in un film commedia/musicale. È il lieto fine della storia di un’attrice che si è giovata molto, ma in fondo è stata anche penalizzata, dal suo aspetto fisico. Che è proprio il tema al centro proprio del body horror The Substance, in cui, in modo grottesco, le cose vanno a finire molto male per la protagonista.

Il primo premio in 45 anni

Che in quel ruolo ci sia stato molto di più di una semplice interpretazione, ma qualcosa di molto più personale ed intimo per Demi Moore è sempre stato molto chiaro. Ma lo è stato ancora di più proprio dopo aver sentito le parole pronunciate alla serata dei Golden Globes. “Non me l’aspettavo, sono sotto shock in questo momento”, ha dichiarato l’attrice nel suo discorso di ringraziamento. “Faccio questo mestiere da oltre 45 anni e questa è la prima volta che vinco qualcosa come attrice. Sono profondamente grata. Trent’anni fa un produttore mi disse che ero un’attrice da popcorn. Così, all’epoca mi sono convinta che non avrei mai potuto ricevere premi come questo, che avrei potuto girare film di successo, capaci di incassare molto al botteghino, ma che non avrei mai ricevuto un riconoscimento e ci ho creduto. Questa idea mi ha logorato lungo tutti questi anni fino a che, poco tempo fa, ho iniziato a pensare che forse era finita, che forse avevo fatto tutto ciò che potevo fare”. Sono parole che la riguardano da vicino, ma che potrebbero davvero riguardare tanti attori e tante attrici. E la dice lunga su come Hollywood, ma in fondo tutto il sistema dei mass media, tende a incasellare le persone in un ruolo.

Posiamo il metro con cui ci misuriamo

“Ma ecco che, proprio quando ero nel punto più basso, sulla mia scrivania è apparso questo script magico, audace, coraggioso, fuori dagli schemi e incredibile, The Substance” ha continuato Demi Moore. “L’universo mi aveva detto che non avevo ancora finito. Sono così grata a Coralie per essersi fidata di me e avermi affidato il ruolo di questa donna; a Margaret, per essere stata l’altra metà di me stessa, senza la quale non sarei riuscita a farcela; a tutte le persone che mi sono state accanto per oltre trent’anni, specialmente quelle che hanno creduto in me quando ero io la prima a non credere in me stessa”. “Vorrei lasciarvi con un’ultima cosa, che credo questo film possa insegnare” ha aggiunto.  “In quei momenti in cui pensiamo che non siamo abbastanza intelligenti, o abbastanza carine, o abbastanza magre o abbastanza di successo, o quando pensiamo semplicemente di non essere abbastanza… una donna mi ha detto: ‘sappi che non sarai mai abbastanza, ma puoi imparare a comprendere il tuo valore se posi il metro con cui stai cercando di misurarti’.”

Da Cannes verso gli Oscar

La vittoria ai Golden Globes potrebbe tirare la volata a Demi Moore e al film verso le candidature agli Oscar che saranno annunciate il prossimo 17 gennaio. The Substance ha vinto il premio alla Miglior sceneggiatura al Festival di Cannes, il premio del pubblico per la sezione Midnight Madness al Festival di Toronto, è stato candidato a 4 EFA vincendone 2 (Miglior fotografia e Migliori effetti visivi) ed è in longlist per ben 11 BAFTA e ha raccolto numerose candidature ai vari premi dei circoli della critica statunitense.

Nel segno di Cronenberg

The Substance è un body horror che riprende la lezione di David Cronenberg e la reinventa in un film pop, patinato, ironico e tagliente, con un finale che porta tutto all’eccesso. È la storia di Elisabeth (Demi Moore), un’attrice sui sessant’anni e una star del fitness in tv. Il proprietario dell’emittente pensa che sia ormai troppo anziana: vuole qualcuno di più giovane e di più sexy. Elisabeth scopre una sostanza che darà vita a una nuova lei. Ma ci sono delle regole da seguire…

Fare patti con il diavolo

The Substance rilegge in chiave moderna il mito del Faust e del patto con il Diavolo, che è sempre stato un classico del racconto sulla natura umana. È anche una metafora che coglie molte delle situazioni della nostra epoca. Dall’ossessione per la giovinezza, che da anni ormai si rivela nel continuo ricorso alla chirurgia estetica, all’attenzione spasmodica per nostra immagine nell’era dei social, in cui gli altri noi stessi che promuoviamo su quegli schermi, più giovani, più belli, più felici e di successo. In questo senso, Demi Moore ha trovato nella storia molto di sé. Da quella paura di invecchiare e di non essere più considerata, a quella di non essere presa sul serio, che ha svelato proprio nel discorso ai Globes. The Substance parla di lei: Demi Moore ha ricorso alla chirurgia estetica, ha cercato l’eterna giovinezza. Ma senza esagerare, con misura. E lavorando molto su se stessa e sulle sue capacità attoriali. È per questo che, nella realtà, il finale della storia è diverso.

Demi Moore si è messa a nudo

Demi Moore è l’anima e il corpo di The Substance. Che è un film sul corpo: e il suo è in scena dall’inizio alla fine. L’attrice è stata estremamente coraggiosa: si è messa a nudo, letteralmente e metaforicamente. Letteralmente, perché il suo corpo, con le sue imperfezioni e la sua innegabile bellezza nonostante l’età, con i segni del tempo e anche quelli della chirurgia, è il cuore pulsante del film. E metaforicamente, perché, come abbiamo detto, il tempo che passa per un’attrice, il vedersi rimpiazzata in certi ruoli da sex symbol che un tempo erano suoi, il vedere proprio corpo che cambia e, insieme ad esso, il proprio ruolo nel mondo e nello star system, sono cose che l’hanno riguardata. Interpretando Elisabeth Demi Moore ha messo in scena le proprie ferite.

Ribaltare la comunicazione sessista

Ma è interessante anche come Demi Moore e Margaret Qualley – che è la sua versione giovane – vengono inseriti in una confezione anni Ottanta, gli anni in cui l’attenzione per il corpo e per l’immagine che viviamo oggi è iniziata. Coralie Fargeat riprende i codici di una certa comunicazione visiva sessista e maschilista per ribaltarla e veicolare in maniera più efficace e diretta il suo messaggio. Il sessismo è messo chiaramente alla berlina: il personaggio del tycoon, Dennis Quaid, è raffigurato come un essere laido e vorace. E il gioco delle inquadrature è talmente insistito e dichiarato da rendere tutto palesemente ironico e grottesco. Tanto più che a inquadrare i corpi c’è una donna.