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David Lynch, padre della serialità moderna. Inventore del transmedia storytelling

Ha portato la qualità e la narrazione cinematografica nel prodotto televisivo, cambiando la tv, e non solo, per sempre. E’ morto ieri, 16 gennaio, David Lynch
David Lynch - ph. wikipedia

di Maurizio Ermisino

Adesso, una volta arrivato dall’altra parte, potrà vedere se davvero la Loggia Nera è come l’aveva immaginata ne I Segreti di Twin Peaks, uno dei suoi capolavori. David Lynch è stato uno dei grandi cineasti della sua generazione, e uno dei più grandi di sempre. Lynch ha innovato continuamente il linguaggio del cinema, lo ha portato in territori dove nessun altro, o quasi, lo aveva portato. E ha portato anche noi spettatori dove non eravamo mai stati. La Loggia Nera, l’aldilà di Twin Peaks fatto di sipari di velluto rosso, pavimenti di marmo bianchi e neri e statue neoclassiche, è un posto che si è fissato nell’immaginario collettivo. David Lynch ci ha conquistato perché ci ha fatto viaggiare come nessun altro nel nostro inconscio, nel perturbante, nell’oscuro. Persona di una calma, cortesia ed eleganza fuori dal comune – un James Stewart venuto da Marte, come lo definiva Alessandro Camon in un suo notevole saggio –Lynch è riuscito come pochi altri a raccontare la cattiveria, la sporcizia e la malattia che si nasconde dietro le facciate perbeniste. Ed è stato perfetto per raccontare quell’America che, lo sappiamo, tende da sempre a darci un’immagine scintillante da spot pubblicitario mentre la sua realtà è spesso anche un incubo. La poetica di Lynch è tutta in una sequenza, l’incipit di Velluto blu, del 1986. Sulle note di Mysteries Of Love, un classico anni Cinquanta, la macchina da presa vola leggera su un idilliaco scenario di villette, giardini e campi fioriti. Uno zoom, però, ci avvicina sempre più a quei fiori, fino a scendere sul terreno, dove si muovono operosi degli inquietanti insetti.

Dalle arti visive al grande cinema

Ha studiato arti visive il cineasta di Missoula. La sua prima opera, il suo saggio di laurea, Six Men Getting Sick, era un bassorilievo con sei teste, su cui venivano proiettate sei persone che si sentivano male. La sua abilità nella scultura si può ritrovare nei suoi primi corti, The Alphabet e The Grandmother, corti sperimentali in cui c’era già il seme della sua arte. Ogni sua opera è stata una sfida: con sè stesso, prima di tutto, per non rimanere mai uguale a prima. E con lo show business, rispetto al quale Lynch è stato sempre troppo avanti. È stata una sfida Eraserhead, il suo primo film in bianco e nero, per il quale ha rischiato tutte le sue finanze, finendo per dormire sul set dove girava. Lo è stato anche Elephant Man, prodotto da Mel Brooks che aveva amato Eraserhead, un viaggio nel cinema classico per raccontare l’età vittoriana e il “mostro” in modo inedito: l’uomo elefante parlava della paura di far paura agli altri. Dopo il passo falso di Dune, tentativo di adattare il famoso libro martoriato dai tagli del produttore Dino De Laurentiis, con Velluto Blu è esploso definitivamente il suo talento. Al cinema sono seguiti Cuore Selvaggio (Palma d’Oro a Cannes), Fuoco cammina con me, Strade Perdute, Una storia vera, Mulholland Drive, Inland Empire.

Twin Peaks cambia la tv per sempre

Al cinema David Lynch è stato tutto questo. La televisione, come sapete, l’ha praticamente cambiata per sempre. Twin Peaks, o I segreti di Twin Peaks, il titolo con cui è stata distribuita in Italia, è stata la serie che ha dato il via alla serialità moderna. Fino ad allora in televisione c’erano state le soap opera o i telefilm. David Lynch ha portato la qualità e la narrazione cinematografica nel prodotto televisivo. Scrittura, regia, fotografia, recitazione erano quelle del cinema. Lo sguardo non era uno sguardo neutro, ma soggettivo, quello di un Autore. Allo stesso tempo, il regista coglieva stilemi, tematiche, respiro e ritmi delle classiche soap opera televisive, come I segreti di Peyton Place, per trasformarle in qualcos’altro. I segreti di Twin Peaks arrivava in Italia nel gennaio del 1991, su Canale 5: la rete generalista per eccellenza, quella che trasmetteva Dallas e che avrebbe trasmesso Beautiful. Fu un corto circuito senza precedenti, spiazzò quel pubblico e allo stesso tempo conquistò una generazione che quel mondo lo porta con sé ancora oggi.

Lynch ha anticipato il transmedia storytelling

David Lynch è stato un anticipatore in molti sensi. Nel senso di avere reso possibile tutta una serie di opere che senza Twin Peaks non sarebbero mai nate: X Files, I soprano, Lost e tutte le serie a venire. Ma anche nel senso di essere stato uno tra i primi a dare vita al transmedia storytelling, prima ancora che se ne parlasse. I segreti di Twin Peaks è vissuto in televisione, con la nota serie, al cinema, con il prequel Fuoco cammina con me, e anche in libreria, con il famoso libro Il diario di Laura Palmer (scritto dalla figlia, Jennifer Lynch), a cui ne son seguiti altri nel corso degli anni. 25 anni dopo, come profetizzava in un sogno la famosa Laura Palmer, ci si sarebbe incontrati di nuovo. La nuova serie, Twin Peaks – Il ritorno, prodotta da Showtime e andata in onda da noi su Sky e NOW (l’intera serie di Twin Peaks ora è disponibile su Paramount+ e Pluto Tv), ci ha riportato in quel mondo. Ma, come sentivamo dire nella serie, “i gufi non sono quello che sembrano”: la terza stagione è stata una cosa completamente diversa dalle prime due, con altissimi momenti di cinema e videoarte. Di fatto, è stato il canto del cigno di Lynch. Che si è divertito a spiazzarci un’altra volta.

Abbattere i confini tra i generi e i formati

La modernità di David Lynch è anche nell’abbattere i confini tra i vari generi e i vari formati. A livello di generi, i suoi film sono spesso indefinibili: si muovono tra thriller, horror, melò, road movie. Ma pensiamo anche ai formati. Oggi si parla sempre più spesso di contenuti. Ecco, David Lynch ha anticipato questo concetto. Per lui una cosa poteva diventare facilmente un’altra. L’esempio più lampante è stato il suo capolavoro Mulholland Drive. Nato come il pilota di una serie tv dedicata ad Hollywood, che doveva essere una nuova Twin Peaks, fu bocciata dagli studios, pare per la poca notorietà e l’età un po’ avanzata delle protagoniste (Naomi Watts invece sarebbe diventata una star). Lynch portò il girato a Canal Plus, in Francia, che decise di farne un film e di finanziarlo. Anche Inland Empire, il suo 8 e ½, nacque in modo molto particolare. In origine era solo un corto, un monologo di Laura Dern, che poi si espanse per diventare un lungo, e definitivo, film.

Pubblicità d’Autore

David Lynch è stato anche un grande regista pubblicitario. È entrato anche in questo formato a modo suo: funzionale ai brand e ai prodotti da promuovere, ma portando sempre il suo sguardo, rimanendo sempre Autore. Sono famosi gli spot per Opium, con Isabella Rossellini, quello per Obession per Calvin Klein, ispirato ai mondi di Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway e D.H. Lawrence e quello per Georgia Coffee, un’ironica ministagione di Twin Peaks. Ha girato dei commercial per Armani, Yves Saint Laurent, Dior. Si è occupato di automotive, per Citroen, Nissan e Honda. In Italia è famosa la sua pubblicità per Barilla, con Gerard Depardieu. E poi lo spot per Gucci by Gucci (creatività e produzione italiana, REM Ruini e Mariotti e Think Cattleya), che, sulle note di Heart Of Glass di Blondie, vede ballare sfrenatamente una serie di modelle, come ballavano i suoi personaggi, sulle note di Sinnerman di Nina Simone, nel finale di Inland Empire. Nell’arte di David Lynch, come negli script di Strade perdute e Mulholland Drive, come l’anello di Moebius, tutto torna al punto di partenza, tutto si riavvolge su se stesso, tutto è un cerchio che si chiude. Tutto ha un senso. Anche quando sembra non averlo.