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Censis, presentato il 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese. La sindrome italiana è la continuità nella medietà. De Rita: “In una società chiusa non si cresce”

Giorgio De Rita e Massimiliano Valerii

di Maurizio Ermisino

Tutto quello che conta sembra avvenire fuori dall’Italia. E questo accade in un momento in cui nessuno sembra essere contento di quello che il mondo è. L’Europa sembra vivere la crisi più grande dalla sua fondazione. Non sono contenti gli Stati Uniti che devono metabolizzare la fine dell’impero americano. Contenta non è la Russia, che in tre anni non ha risolto le sue mire egemoniche nelle regioni in guerra. Non è contenta la Cina, non lo sono il sud globale né i paesi arabi. Contento non è il continente africano di cui si parla da sempre di una promessa che sembra non realizzarsi mai. C’è uno scontento globale. È partendo da questo scenario che il Censis ha presentato oggi a Roma, al CNEL, 58° Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Ne esce l’affresco di un’Italia in chiaroscuro, tra luci e ombre, tra continue contraddizioni. Come ha illustrato Massimiliano Valerii, Consigliere delegato Censis, a prima vista il 2024 potrebbe essere per l’Italia un anno record: lo è a livello di occupati e di turismo, ma anche a livello di denatalità e di debito pubblico. L’immagine che abbiamo oggi del nostro Paese è quella di una “sindrome italiana” in cui siamo intrappolati: la “continuità nella medietà”. Insomma, non incorriamo in capitomboli rovinosi, ma non siamo capaci neanche di scalate eroiche. Tutto ruota intorno a una linea di galleggiamento.

Un disagio che non è sfociato in rabbia

Ci rialziamo dopo ogni inciampo senza ammutinamenti. Ma questa è un’insidia. La spinta propulsiva verso il benessere si è arrestata. I redditi medi delle famiglie sono inferiori del 7% rispetto a 20 anni fa. È evidente un logoramento della crescita economica e sociale del ceto medio. È evidente anche una crisi della politica. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee è stato un record: 51,7% di astenuti. La fiducia nell’Unione Europea è ai minimi storici: per il 71,4% degli italiani l’UE è destinata a sfasciarsi in assenza di riforme. E il 66% degli italiani attribuiscono all’Occidente, e in particolare agli USA, la colpa dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. E, di conseguenza, solo il 31,6% è d’accordo con il richiamo della Nato all’aumento delle spese militari. In molte case italiane sventola il vessillo dell’antioccidentalismo.

La guerra delle identità

Le questioni delle identità oggi superano le istanze delle classi sociali e cambiano il paradigma: si lotta per accrescere le identità individuali, in una chiave interclassista. La rivalità sull’identità e la lotta per il loro riconoscimento implicano una lotta amico-nemico. Avere più diritti e più risorse diventa un obiettivo strategico quanto sottrarne agli altri. In questo senso, molti si mettono sulla difensiva. Il 38,3% degli italiani si dice minacciato dai migranti. Il 21,5% vede il nemico in cui qualcuno di un’etnia diversa e il 21,8% che professa una religione diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso.

L’integrazione

A proposito di differenze e integrazione, c’è un dato molto interessante. Mentre il dibattito politico si arrovella sulle norme per acquisire la cittadinanza, in Italia sono stati integrati un milione e mezzo di cittadini. L’Italia è al primo posto dell’UE per le nuove acquisizioni della cittadinanza. Il 21,6% di tutte le acquisizioni registrare nell’UE nel 2022 sono avvenute in Italia. È una percentuale molto più grande in proporzione alla percentuale di abitanti dell’Italia in rapporto all’Europa. L’aumento delle concessioni delle cittadinanze in Italia, negli ultimi 10 anni, è aumentato del 112,2%. Però, oggi, per il 57,4% degli italiani l’italianità non è un costrutto sociale, ma un dato cristallizzato e immutabile portato dalla discendenza di un genitore italiano, per il 13,7% a determinati tratti somatici, per il 36,4% dalla religione cattolica.

Il Paese degli ignoranti

Ma la domanda è un’altra: siamo culturalmente preparati per gestire questo salto d’epoca?
In Italia gli analfabeti sono una minoranza, i laureati sono aumentati, ma c’è ancora una mancanza di conoscenze di base che rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. Pensiamo alla scuola: non raggiunge i traguardi prefissi in italiano il 43,5% degli studenti al termine degli studi superiori e in matematica il 47,5% sempre al termine delle superiori.  Il 49.7% degli italiani non sa l’anno della rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini, e crede sia un politico della prima Repubblica. Il 32,4% attribuisce gli affreschi della Cappella Sistina a Giotto o Leonardo. Sono pochi (ma lo sono davvero?), il 6%, quelli secondo cui Dante Alighieri non sarebbe l’autore delle cantiche della Divina Commedia.

Il pregiudizio

E ce ne sono molti che sono ancora radicati nel nostro Paese. Il 20,9% degli italiani crede che gli ebrei dominino il mondo attraverso la finanza; per il 15,3% l’omosessualità è una malattia; il 13,1% crede che l’intelligenza dipenda dall’etnia e il 9,2% è convinto che la criminalità abbia un’origine genetica, con idee degne di Lombroso. Per l’8,3%, infine, Islam e jihadismo sono la stessa cosa

I conti che non tornano nel sistema Italia

Ci sono più occupati ma scende il PIL. È record degli occupati: sono più di 24 milioni, non si è mai vista una cifra simile. Eppure questo incremento non si accompagna una crescita proporzionale economica: non raggiungerà l’1%. Sono aumentati di un milione e mezzo i posti di lavoro, 4,6% rispetto al 2007, l’anno prima della grande crisi. Gran parte della nuova occupazione è over 50. Nell’ultimo anno l’Italia è comunque ultima in Europa come tasso di occupazione: la distanza tra il tasso di occupazione italiano e la media europea è di 8,9 punti percentuali.

Il turismo sale ma l’industria va giù

La produzione manifatturiera nei primi otto mesi del 2024 segna un -3,4% rispetto agli stessi mesi del 2023. Invece le presenze turistiche segnano 447 milioni del 2023, un incremento del 18,7% in 10 anni. Si può ipotizzare un meccanismo di compensazione o sostituzione tra turismo e industria? Sono troppo diversi i livelli di produttività: negli ultimi 20 anni le attvittà del terziario hanno registrato una riduzione del valore aggiunto per occupato dell’1,2%.. Mente l’industria mostra un aumento del 10%.

Manca il personale

La quota di figure professionali di difficile reperimento rispetto ai fabbisogni delle imprese è arrivata al 45,1% del totale delle assunzioni previste, anche per esiguità dei candidati. E non sono solo professioni intellettuali: mancano anche agricoltori, artigiani, operai specializzati, cuochi e camerieri. Quanto agli operatori della salute, il ridotto numero di candidati riguarda il 70,7% della domanda di lavoro nel caso degli infermieri, 64% in caso di personale medico. Bisogna richiamare l’attenzione sulla rarefazione delle strutture di coesione sociale sul territorio. Il dato è preoccupante: il 50,8% delle famiglie hanno difficoltà ad arrivare al Pronto Soccorso, e il dato aumenta fino al 68,6% nei paesi più piccoli. A questo dato va aggiunto un aumento del 23% in termini di spesa sanitaria privata pro capite, per un giro d’affari che arriva 44 miliardi di euro nell’ultimo anno. Tanti italiani (62,1%) hanno rinviato visite per un problema di spese o di liste di attesa troppo lunghe.

Il mercato della sicurezza

Negli anni il numero dei reati commessi in Italia è andato incontro a una costante riduzione. il 2023 ha visto un aumento dei reati del 3,8% rispetto all’anno precedente. È una fase congiunturale o una inversione di tendenza? Gli episodi di criminalità mettono molta apprensione nell’opinione pubblica. Dal 2013 al 2023 gli omicidi sono calati del 32,1%, le rapine del 35,9% e i furti del 41,3%. Eppure tra gli italiani aumenta il senso di insicurezza e il bisogno di sentirsi protetti. Il 43,6% degli italiani pensa che sparare a chi si introduce in casa per rubare dovrebbe essere legittimo.

L’asimmetria delle emozioni

Dopo la pandemia è evidente il ritorno alla convivialità. Sono più di 10 milioni di presenze nelle fiere organizzate in Italia (+16,3%). È aumentata partecipazione ai concerti: oltre 28 milioni di presenze (+70,1 in più rispetto al 2019). Ma in casa può esserci solitudine: sono 8,8 milioni (+18,4% in 10 anni) le persone sole: anziani, vedovi, single, celibi, nubili e separati o divorziati.

È la fine del mondo (quello di ieri)

Il Censis parla quindi di “sindrome italiana” in un mondo scosso che è entrato in una stagione dello scontento globale. “Abbiamo perso la visione di un chiaro orizzonte da perseguire” commenta Valerii. “I discorsi apocalittici vanno di moda. Ma dovremmo intendere la parola apocalisse come la fine non del mondo ma di un mondo, il nostro mondo di ieri: non un requiem per l’occidente. Ma l’idea di trovare un modo nuovo di stare al mondo nel nuovo mondo. Nuovi dati, nuove interpretazioni, nuove parole”. Ed è di questo che si occuperà il Censis.

Galleggiare non funziona più

La sindrome italiana vuol dire questo. “Ma quel galleggiare dura da troppo” commenta Giorgio De Rita, Segretario Generale Censis. “È un quindicennio che aspettiamo. Abbiamo capito che quel galleggiamento sta finendo. Gli abili al galleggiamento sono sempre di meno, e abbiamo imparato che non si sale e scende tutti con la stessa marea: ci sono distanze sociali e mancanza di inclusione sociale”. “L’identità si costruisce giorno dopo giorno, nelle relazioni, nell’incontro e nello scontro” conclude. “Se vogliamo crescere doppiamo capire che in una società chiusa non si cresce. Si tratta di aprire a nuove tecnologie, nuove persone, nuovi algoritmi. Quel lusso di rimanere chiusi e non crescere non ce lo possiamo permettere”.