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Andy Warhol: quando l’arte incontrò l’advertising. A Gorizia fino al 4 maggio

I pubblicitari, ma anche gli addetti ai lavori, sono d’accordo nel dire che in alcuni casi l’advertising possa essere arte

di Maurizio Ermisino

C’è stato un momento storico in cui davvero l’arte ha incontrato l’advertising, perché ha saputo cogliere la natura iconica e di simbolo di un’epoca dei brand. E, a sua volta, ha trasformato gli artisti stessi in brand. È stato il momento della Pop Art, quella di Andy Warhol, un artista che non ci si stanca mai di guardare.

La mostra “Andy Warhol. Beyond Borders”

È di nuovo il momento di ammirare le sue opere nella mostra “Andy Warhol. Beyond Borders”, a Palazzo Attems Petzenstein, a Gorizia, dove è visitabile fino al 4 maggio. È un viaggio immersivo nel mondo e nell’opera del padre della Pop Art, che offre al pubblico un’ampia panoramica della sua vita e della sua carriera, attraverso decine di opere, installazioni multimediali e fotografie iconiche.  La mostra ripercorre l’evoluzione artistica di Warhol, esplorando i temi chiave della sua estetica, dalla sua formazione come illustratore nel mondo della pubblicità e della moda, fino alla sua affermazione come uno dei più influenti artisti del XX secolo. Circa 180 opere, provenienti da prestigiose collezioni europee, guideranno il visitatore attraverso un percorso tematico che si snoda in un continuo dialogo tra passato e presente. Sono esposti numerosi lavori storici, come le serie complete Campbell’s Soup, Flowers e Marilyn, ma anche ritratti celebri di figure come Muhammad Ali, Truman Capote, Grace Kelly, Jackie Kennedy, Mickey Mouse e Superman. Il progetto espositivo, a cura di Gianni Mercurio, è una produzione Madeinart.

Arte e pubblicità

La profonda conoscenza dei consumi e della pubblicità permette a Andy Warhol di celebrare le offerte del mercato meglio di chiunque altro. Warhol nasce come grafico, eppure nelle sue opere artistiche mette a riposo la possibile ricerca di uno stile per la ricerca di un’assoluta sterilità. La Campbell Soup, una delle sue opere più famose, viene riprodotta in tutte le varietà esistenti, e senza alcuna aggiunta personale. La disposizione dei dipinti delle famose lattine, com’era stata pensata per la sua prima esposizione, nel 1962, alla galleria Ferus di Los Angeles, evoca quella degli scaffali di un supermercato. Warhol era un acquirente e un collezionista compulsivo, e in questo evocava perfettamente lo spirito americano. In realtà Warhol temeva il consumismo, lo considerava un’illusione per preservare dalla morte le cose e chi le possedeva. A 20 anni dalla famosa Campbell, Warhol è tornato sul tema con la serie Advertising. Ma, mentre le molte immagini create nel corso degli anni finivamo per pubblicizzare chi veniva ritratto, ecco che queste nuove opere ritraggono direttamente il mondo stesso della pubblicità. I loghi Chanel e Apple, o James Dean, raffigurato accanto a un testo giapponese che fa la pubblicità di Gioventù bruciata.

I quadri sono giudicati in base al loro valore di mercato

Ma, a proposito di consumismo, eccone una rappresentazione efficace: Dollar Sign, una serie di dipinti esposti nel 1982 nella galleria di Leo Castelli. La serie Dollar Sign di Warhol è un gioco ironico, che voleva essere un emblema profetico di tutto il denaro che sarebbe circolato nel mondo dell’arte negli anni successivi. Ancora una volta Warhol aveva colto il segno dei tempi e lo aveva fissato. Il significato di queste opere è chiaro: i quadri ormai sono giudicati in base al loro valore sul mercato. E i quadri stessi, quindi, sono una metafora del denaro.

Andy Warhol ha avuto un grande rapporto con la musica

Anche il suo lavoro in questo mondo, se non advertising, è comunicazione, è promozione. Quando uscì il primo album dei Velvet Underground, nel 1967, la band era ancora poco conosciuta e Warhol già un artista affermato. La famosa banana (con la scritta “peel slowly and see”, “sbuccia lentamente e guarda”) disegnata da Warhol spinse molte persone ad acquistare il disco. Warhol capì subito l’importanza della musica rock, una forma di comunicazione che attraeva le masse. Ritrasse molte rockstar, ma influenzò anche la loro musica. Quel disco, The Velvet Underground & Nico, lo produsse, non disegnò solo la copertina. E si occupò anche della forma visiva dei loro concerti, dando vita al The Exploding Plastic Inevitable, che mescolavano musica, danza, cinema e arte, nel 1966: era pop art, psichedelia, cultura underground. Nella mostra di Gorizia vediamo anche quell’esibizione, in un’installazione immersiva.

È comunicazione anche il lavoro su Interview

La rivista nata nel 1969 come un giornale di cinema underground, un DIY (cioè do it yourself) da poche centinaia di copie, si trasformò in una rivista internazionale che faceva tendenza. Nella mente di Warhol Interview doveva diventare il catalizzatore dello star system e la rivista, che Warhol amava distribuire personalmente passeggiando per la città, lo diventò davvero. Per anni Interview divenne un modello di ispirazione per grafici, pubblicitari e giornalisti. Interview lanciò un nuovo modo di fare interviste, con il personaggio che intervistava il personaggio. Dal 1972, per 15 anni, le copertine vennero realizzate dal grafico Richard Bernstein, che partiva spesso da ritratti di fotografi come Herb Ritts e Albert Watson e, ritoccando i volti con tratti di matite pastello, eliminava i difetti e accentuava la loro aura di superstar. In qualche modo, in maniera artistica e dichiarata, Bernstein aveva anticipato il ritocco fotografico di applicazioni come Photoshop e Illustrator e i filtri dei social come Instagram.

Andy Warhol è stato uno straordinario creatore di icone

E una sezione intera, Icons, le celebra all’interno della mostra. La più famosa è Marilyn Monroe, raffigurata come una vera e propria icona bizantina: la fissità e la mancanza di profondità sono proprio quelle di quel tipo di opere d’arte che Andy vedeva nella Sinagoga di San Crisostomo a Pittsburgh, dove lo portava la madre. Marilyn è il simbolo della bellezza e della felicità effimera. Ed è raffigurata in moltissime versioni. Altra icona è Jackie Kennedy, in un dipinto che parte dalle foto “virali” dei funerali di Kennedy, la prima overdose mediatica di quella generazione. C’è un senso di morte nelle icone di Warhol: Liz Taylor, ad esempio, fu dipinta mentre uscì la notizia della sua grave malattia legata all’alcolismo. Il senso dei ritratti di Warhol è riscrivere il significato di icona: non più rappresentazione riconoscibile del reale, ma qualcosa che reale non è, ed è puramente simbolico.

I ritratti sono un marchio di fabbrica dell’artista

Quando si vede uno di questi non si pensa prima di tutto a un dipinto, ma a un Andy Warhol. Da pratica desueta, con Warhol il ritratto diventò un oggetto desiderato. Negli anni Sessanta e Settanta star, artisti e imprenditori bramavano un suo ritratto: non era solo uno status symbol, ma anche un modo per fermare il tempo che passava. Garantiva l’immortalità a buon mercato, solo 25 mila dollari, come amava dire lui. La ritrattistica era considerata un modo per esorcizzare la morte, con una serie di interventi “cosmetici” sui volti dei soggetti ritratti. Warhol, che fu definito “il pittore di corte del Novecento, infatti partiva da delle polaroid su cui interveniva con pennellate di colore. “Quello che rende attraente un ritratto è l’uso del colore” diceva Warhol. E dai suoi colori ancora oggi si rimane abbagliati.