di Giuseppe Mayer
Questa settimana abbiamo assistito a un debutto che sta facendo molto discutere, tra chi vede in questa nuova tecnologia, l’AI, il futuro della creatività e chi teme che possa portare alla ‘morte dell’autore’ e all’impoverimento dei contenuti. Ma procediamo con ordine.
Showrunner, la nuova piattaforma di streaming lanciata da Fable Studio promette di rivoluzionare il mondo dell’intrattenimento grazie all’Intelligenza Artificiale generativa. Come? L’idea alla base è tanto semplice quanto dirompente: permettere agli utenti di creare i propri show animati personalizzati, partendo da semplici prompt testuali. Basta descrivere in poche parole l’episodio che si vuole vedere, e l’AI si occupa di tutto il resto: scrittura, doppiaggio, animazione. Il risultato sono contenuti che, stando ai primi esempi mostrati, riescono a essere al contempo familiari e originali, mixando stili e generi consolidati con spunti inediti.
La promessa è quella di un’esperienza di fruizione senza soluzione di continuità, in cui lo spettatore può passare in qualsiasi momento dal guardare una serie al crearne una propria. Un po’ come se Netflix ti permettesse, dopo aver finito una stagione della tua serie preferita, di generare al volo una nuova puntata su misura per i tuoi gusti. Il sogno di ogni binge-watcher, si dirà. O forse l’incubo di ogni creativo.
Da un lato, infatti, piattaforme come Showrunner sembrano aprire prospettive entusiasmanti per la democratizzazione della creatività. In un certo senso stiamo assistendo all’ennesima evoluzione di quel processo iniziato con il desktop publishing e proseguito con le piattaforme di video sharing, che ha reso gli strumenti di creazione sempre più accessibili a chiunque. Con l’AI generativa, siamo di fronte a un nuovo salto di paradigma: ora basta davvero un prompt per dare vita alla propria visione, senza bisogno di particolari competenze o budget.
Dall’altro lato, però, c’è il rischio che questa personalizzazione estrema dei contenuti porti a un appiattimento della cultura e a un impoverimento del dibattito pubblico. Se ognuno può avere la “sua” versione della storia, tagliata su misura per confermare i propri bias e soddisfare i propri desideri, che ne è della condivisione di immaginari ed esperienze che è alla base di ogni comunità? E che ne è del ruolo critico e “scomodo” che l’arte e l’intrattenimento hanno spesso svolto nel mettere in discussione lo status quo e aprire nuove prospettive?
C’è poi la questione, non meno spinosa, dell‘impatto che tecnologie come Showrunner potrebbero avere sul mercato del lavoro creativo. Se davvero l’AI generativa riuscirà a produrre contenuti di qualità paragonabile a quelli umani (e i progressi in questo campo sono impressionanti), intere categorie di professionisti rischiano di vedere le proprie competenze svalutate o rese obsolete. Sceneggiatori, animatori, doppiatori: quanti di loro saranno sostituibili da un algoritmo?
Certo ci saranno anche nuove opportunità per chi saprà sfruttare al meglio questi strumenti, magari specializzandosi proprio nella ‘prompt engineering’ o nella curatela di contenuti generati dall’AI. E probabilmente, almeno per un pò, l’AI affiancherà il lavoro umano più che rimpiazzarlo del tutto. Ma il timore di una progressiva ‘deskilling’ e di una concentrazione del potere creativo (e dei relativi profitti) nelle mani di pochi giganti tech è reale e condiviso, come dimostrano gli scioperi che hanno attraversato Hollywood nell’ultimo anno.
Di fronte a queste prospettive, le reazioni oscillano tra l’entusiasmo acritico di chi vede nell’IA generativa la panacea di ogni male e il catastrofismo di chi la dipinge come la fine della creatività umana. La verità, come sempre, sta probabilmente nel mezzo. Showrunner e piattaforme simili potrebbero rivelarsi un fuoco di paglia, una ‘novelty’ destinata a esaurirsi nel giro di poco. O potrebbero davvero innescare una rivoluzione nel modo in cui creiamo e consumiamo storie, con tutti i rischi e le opportunità che questo comporta.
Quel che è certo è che siamo di fronte a un cambiamento epocale, che richiede una riflessione collettiva e responsabile. Servono regole condivise per governare l’uso dell’AI generativa, tutelando il lavoro creativo senza soffocare l’innovazione. Servono investimenti nella formazione e nella riqualificazione delle persone, per preparare la transizione a un mondo del lavoro sempre più ‘aumentato’ dalle macchine. E serve un dibattito pubblico maturo e informato, che vada oltre le semplificazioni e affronti le implicazioni sociali, economiche ed etiche di queste tecnologie.
È una sfida complessa, ma anche un’occasione unica per ripensare il ruolo della creatività e dell’intrattenimento nella società. Per chiederci che storie vogliamo raccontare e ascoltare, e come vogliamo farlo. Per immaginare un futuro in cui l’AI sia uno strumento al servizio dell’espressione umana, e non un fine in sé.