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Visori: un pericolo per la privacy e le fake news, ma tutto si può superare in cambio di vantaggi economici per l’utente. Al Metaverse Marketing Lab si fa il punto sui mondi in extended reality

metaverse marketing lab

di Massimo Bolchi

“Quando abbiamo esaminato, nel corso dell’ultimo seminario, l’allora più recente prodotto di Apple, il Vision Pro, tutto faceva pensare che sarebbe stato più facile sviluppare nuovi progetti di Mixed ed Extended Reality”. Così Lucio Lamberti, docente al Politecnico di Milano e Chair del Metaverse Marketing Lab: “questo purtroppo non è stato. per una combinazione tra gli alti costi del visore e la sostanziale carenza di casi d’uso concreti, che facessero da ispirazione per nuove sperimentazioni”.

Si è tenuta oggi, 9 ottobre, la seconda ‘puntata’ del Metaverse Marketing Lab, con un buona partecipazione dal vivo e da remoto, mentre Lamberti ha ampliato il suo esame prendendo in considerazione l’ultimo nato in casa Meta: dopo gli ormai famosi RayBan – “divenuti celebri per una vicenda che non c’entra nulla con il metaverso”, si permette una sottile battuta il professore – ecco Orion, che però, a differenza di quanto fu fatto da Apple, non è disponibile commercialmente ed è riservato alla sperimentazione dell’impiego.

“Gli Orion sono meno invasivi dei Vision Pro”; commenta Lamberti, “e sono già relativamente integrati con le funzioni dell’Artificial Intelligence: siamo davanti a un punto di svolta delle effettive potenzialità di queste macchine: si va verso una totale integrazione che può modificare la vita stessa degli individui. Si intravedono applicazioni concrete, perché l’AI è un potentissimo abilitatore di questi mondi”.

Prima di passare il microfono a Silvia Andreani e a Luigi Ponti, dell’Osservatorio nuove tecnologie di Ipsos, Lamberti ricorda l’appuntamento finale di questo ciclo di conferenze del Metaverse Marketing Lab, che avrà luogo nel mese di novembre.

IPSOS fa il punto su metaverso, artificial intelligence e influencer virtuali

Si tende a sovrastimare gli effetti a breve di una tecnologia e a sottostimarli nel lungo periodo: questa celebra battuta di Roy Amara, già direttore dell’Institute for the Future, ha aperto la presentazione della ricerca di Ipsos, che ha rilevato un sorprendente 6,3 (su una scale di 10) di accettazione da parte dei consumatori italiani, pur non nascondendosi anche le preoccupazioni: il 31% teme che verranno tagliati posti di lavoro, e il 22% di converso ritiene che verranno creati nuovi posti di lavoro dove prima non ce n’erano. Degna di nota gli atteggiamenti della GenZ: il 37% teme per il ‘proprio’ futuro, mentre tra i boomer, quasi tutti in pensione, è più facile confidare sulla virtù taumaturgiche dell’AI, tant’è che tra questo gruppo sale al 31% la quota dei fiduciosi.

Le applicazioni più usate dell’AI riguardano la sfera personale, con oltre il 70%, seguono l’ambito lavorativo, con il 35%, e lo studio, con il 30%: sono ammesse le risposte multiple naturalmente. Ma guardando a quali utilizzi primeggino, la generazione di testi è di gran lunga al primo posto, con il 52% (ma il 68% tra i boomer), seguono la sintesi di testi (41%) e la traduzioni (40%). Poi la generazione di immagini, l’analisi dei dati, la generazione di video e così via. Per quanto riguarda queste applicazioni, sono tutte prettamente utilitaristiche, e rilevano la capacità dell’AI di funzionare come amplificatore delle capacità individuali e velocizzatore della funzioni.

Per ciò che concerne le attività più legate al marketing, c’è da notare che la maggioranza degli intervistati esprime contrarietà nei confronti degli influencer virtuali: per il 70% sono abbastanza/totalmente d’accordo con l’espressione ‘mi preoccupa il loro uso per diffondere fake news’, mentre per il 65% l’utilizzo di deep fake potrebbe impattare pesantemente sulla capacità individuale di discernere il falso dal vero.

Aspetti analoghi emergono per i visori: per la maggioranza degli intervistati questi dispositivi potrebbero raccogliere informazioni sui comportamenti delle persone (52%), a fronte del 16% che si dice invece interessato a interagire virtualmente con personaggi o sportivi famosi. Ma attenzione, perché il 40% si conferma favorevole a indossare un visore, anche se tenesse memoria delle sue attività, purché in cambio ricevesse uno sconto o altro beneficio economico.

Il caso caso Old Wild West su Minecraft

In chiusura della mattinata, vi sono state le presentazioni di alcune attività sviluppate nel metaverso, quali quelle B2B in ambito medicale per la fomazione dei chirurghi ortopedici da ConMED, che utilizza un abbinamento di mixed reality e di realtà virtuale per accelerare il processo fino a sei volte; o le misurazioni di GEEIQ che mostrano come l’attention nel gaming si misuri in decine di minuti, non nei secondi di altre attiviyìtà.

Particolarmente interessante il business case che ha visto Old Wild West, il brand più conosciuto di CiGiErre, realizzare dapprima un prodotto virtuale in Minecraft, con l’aiuto dell’influencer e gamer Kendal, che ha creato il primo ristorante virtuale e poi ha lanciato un hamburger in edizione limitata ispirato al videogame: quadrato e disponibile nel ristorante di Corso Sempione a Milano per un solo giorno, il 15 giugno. Visti i risultati – 1500 partecipanti da tutta Italia per i 500 K-burger preparati – l’iniziativa verrà replicata da questo sabato in quasi tutti i punti vendita per tre mesi, con l’obiettivo di raggiungere i 150 mila panini ‘Minecraft’ venduti e capitalizzare sulla visibilità ‘esplosiva’ dell’accordo con Kendal.