I cookie di terze parti permettono la personalizzazione e la targettizzazione della pubblicità online a partire dagli anni ‘90, ma l’anno prossimo il settore subirà una vera e propria rivoluzione: Chrome, infatti, buon ultimo (alcuni lo hanno già fatto) impedirà il funzionamento di questi cookie come risposta alle richieste dei consumatori di maggiore trasparenza e chiarezza sull’utilizzo dei propri dati sul web. E Chrome pesa oggi per il 67% del totale d’uso dei browser.
“L’intera filiera del Programmatic advertising si troverà ad affrontare questi profondi cambiamenti, dal momento che proprio i cookie’ sono alla base del processo di cookie sync necessario per il matching tra le diverse piattaforme al fine di veicolare l’annuncio targettizzato all’utente”, ha dichiarato Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano “Negli anni questo settore ha aumentato la sua rilevanza all’interno dell’industry pubblicitaria proprio grazie alle sue alte potenzialità di targetizzazione, raggiungendo nel 2020 il valore di 588 milioni di euro in Italia, in crescita del 6% rispetto al 2019. L’impatto derivante dall’eliminazione dei cookie di terze parti su questa filiera sarà quindi molto significativo se gli operatori non si attrezzeranno per adottare soluzioni alternative”.
Quando si parla di un futuro senza cookie, si fa riferimento al blocco da parte dei browser dei third party cookie (cioè creati da domini differenti da quello in cui si sta navigando tipicamente) per il tracciamento cross-site, il retargeting, la profilazione dell’utente e il matching degli ID degli utenti tra diverse piattaforme, come è stato spiegato questa mattina alla presentazione dell’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano.
“Gli operatori che saranno più impattati dall’eliminazione dei cookie saranno i player di terze parti, in particolare le Data Management Platform (DMP) e le Data Company”, ha proseguito Noci, “Ma l’eliminazione dei third party cookie interesserà poi anche le aziende investitrici e gli editori, questi ultimi in particolare ne risentiranno soprattutto per la possibile diminuzione delle loro revenue pubblicitarie”.
Brand e publisher dovranno quindi cercare di valorizzare al meglio i propri dati di prima parte (creati e impostati dai proprietari di un sito web) certamente più di quanto hanno fatto finora, sopperendo così almeno in parte alle perdite dovute all’eliminazione dei cookie e consci del fatto che non potranno più rintracciare gli utenti al di fuori del proprio dominio web. Le soluzioni di identità dovranno lavorare sul processo di identificazione e tracciamento dell’utente lungo la filiera pubblicitaria tramite l’utilizzo di strategie diverse dai cookie di terze part, tra cui si trovano di tre possibilità principali.
Innanzitutto i dati di CRM, e in particolare l’email, che assumeranno un ruolo più importante all’interno della filiera pubblicitaria. Molte piattaforme CRM aziendali e Customer Data Platform ad esempio supportano già da tempo l’integrazione e l’attivazione diretta di indirizzi email all’interno dei social network.
Un’alternativa può essere il Mobile Advertising ID (MAID), un identificatore fornito direttamente dal sistema operativo del dispositivo Mobile (iOS o Android) che, con logiche simili ai cookie di terze parti, trasmette informazioni sul comportamento in app della persona e del dispositivo utilizzato.
“Ma attenzione”, ha ricordato Noci, “perché non possiamo sapere fino a quando il MAID verrà considerato, ai fini di protezione della ePrivacy, qualche cosa di diverso dai cookies di terza parte da consumatori sempre più attenti a queste tematiche. Il rischio è di trovarsi di nuovo ‘scoperti’ nella ricerca di quel customizable advertising che assume sempre più le sembianze di un’araba fenice”.
Vi è infine l’Universal ID, sistemi basati sulle piattaforme di identity resolution e creati per trovare un meccanismo di tracciamento cross-piattaforma che non ponga le proprie basi sul cookie sync. In generale queste soluzioni possono essere di tipo deterministico, basate sull’indirizzo e-mail, o probabilistico, legate alle informazioni derivanti dai cookie di prima parte, di terze parti (fin quando saranno utilizzabili) o indirizzo IP.
Il contextual advertising (cioè la pubblicità mirata che veicola l’annuncio pubblicitario in funzione del contenuto della pagina web di destinazione), d’altronde è profondamente cambiato rispetto al passato. In precedenza l’individuazione di contenuto si basava quasi esclusivamente sull’abbinamento di parole chiave; oggi l’elaborazione del linguaggio naturale consente una conoscenza più approfondita del contesto e del sentiment di ciascuna pagina, mentre il machine vision è in grado di analizzare anche immagini, video e audio e di comprenderne il significato.
Ci sono inoltre delle soluzioni basate sull’Intelligenza Artificiale che sfruttano parametri diversi dal contesto e comportamento dell’utente, poggiando le loro basi su alcuni elementi specifici come formato, posizionamento dell’annuncio, audience del singolo sito, performance delle campagne passate ed engagement. Le soluzioni a oggi presenti sul mercato fanno ampio utilizzo di algoritmi proprietari, e ciascuna di queste sfrutta dunque parametri e modelli differenti per il ‘delivery’ delle campagne.
Per far fronte a questa profonda mutazione che caratterizzerà il digital advertising nei prossimi anni, stanno inoltre nascendo diversi progetti portati avanti da più attori della filiera, anche competitor tra loro. Tra questi, i più noti sono la Privacy Sandbox (che non è ancora stata definita esattamente) proposta da Google e il Project Rearc del Tech Lab di IAB.
Solo il 22% della imprese investitrici ha pero valutato come rilevante o massimo il livello di conoscenza della propria azienda con riferimento al Targeting in merito alla deprecazione dei cookie di terze parti, il 31% dei rispondenti lo ritiene tale per la Misurazione e il 24% in riferimento al Programmatic. È importante quindi sottolineare come la maggior parte degli advertiser non ha ancora preso in considerazione né approfondito il fenomeno.
Considerando il livello di preparazione delle aziende rispetto allo scenario cookieless, il 48% dei rispondenti lo ha valutato ‘assente/minimo’ o ‘limitato’ in riferimento al Targeting, il 50% in riferimento alla Misurazione e al Programmatic. Inoltre, dalle interviste è emerso che le aziende advertiser ‘più evolute’, ossia quelle che hanno cominciato ad approcciare la tematica con maggiore attenzione, vivono un sentimento di generale preoccupazione e disorientamento, a causa di una deadline non ancora ufficializzata e una mancanza di proposte alternative da parte dei player della filiera.
Rispetto a quest’ultimo punto il 51% dei rispondenti ha affermato che la propria azienda si è effettivamente attivata per trovare una possibile soluzione/alternativa per affrontare le criticità emergenti dallo scenario cookieless: nello specifico il 9% sta già testando alcune soluzioni alternative, il 7% ha già individuato le soluzioni alternative che utilizzerà e il 35% ha avviato la ricerca.