La pubblicità sui podcast è destinata a raddoppiare per il 2022, ma il relativo mercato continua a essere frenato da una molteplicità di fattori che, più prima che poi, devono essere affrontati e risolti. Perché, al di là degli investimenti preventivati, che dovrebbero raggiungere 1,6 miliardi di dollari (la parte maggiore come sempre proverrà dagli USA), rimane il fatto che queste risorse costituiscono degli ‘experimental budget’ da parte dei brand, che attendono gli avanzamenti nel programmatic buying e nelle misurazioni delle audience per dare il via al grosso degli investimenti.
Un esempio in quest’ambito è arrivato dalle recenti mosse di Spotify, che punta proprio far crescere la propria quota nel programmatic che vale, negli USA, solo il 12% dei suoi ricavi. Oltre che per la pubblicità e le sponsorship, Spotify conta di utilizzare il data management per creare liste di podcast suggeriti che si abbinino sempre meglio alle preferenze inespresse degli utenti.
“La maggioranza degli utilizzatori è ben conscia del valore dello scambio tra le sponsorizzazioni e il podcast gratuito offerto”, scrive in una nota di commento James McDonald, Managing Editor, WARC Data. “I brand devo solo stabilire una relazione di fiducia, credibile, con i consumatori e utilizzare un tono di voce, per i contenuti sponsorizzati, che rifletta il podcast e che sia efficace ai fini della sponsorizzazione”.
In altre parole, la sponsorizzazione è un chiaro ed esplicito scambio di valore: infatti il 78% degli ascoltatori afferma che a loro non importa della presenza di una sponsorizzazione, e del relativo messaggio, quando supporta l’editore nella distribuzione gratuita. Un’altra ricerca recente di Edison, inoltre, mostra che oltre la metà (il 54%) degli ascoltatori si dichiarano pronti a seguire un brand dopo un’esposizione pubblicitaria su un podcast, mentre Nielsen conferma che il 62% degli intervistati ricorda correttamente un brand pubblicizzato e il 70% afferma di ‘sentirsi più positivamente disposto’ verso quel brand.
La maggioranza dei podcast inoltre è letta direttamente dagli autori, così diventa essenziale stabilire un corretto rapporto tra contenuto e messaggio per massimizzare l’efficacia dello stesso. Ma, se l’obiettivo è quello di accelerare la crescita futura, saranno necessari anche progressi nella misurazione delle audience. Perché, ragionando su scala globale, un elemento differenziante è sempre quello del tasso di penetrazione nei vari mercati, attualmente del 33.5 in media – persone che ascoltano un podcast almeno mensilmente. Si va da Hong Kong (55.4 per cento), a Taiwan (47.1%), Spagna (40.1%), USA (33%), Australia (32.8%), Singapore (32.3%), Norvegia (31.2), Italia (29.6), Francia (28), Canada (27.9), Giappone (26.), Germania (22.2), e UK, ferma al 18.1 per cento.
Gli acquisti di adv in podcast programmatic crescono in tutto il mondo, tuttavia la base di partenza è limitata, per cui se dai tassi si passa ai valori assoluti, il quadro appare meno confortante. Negli USA, dove pure il mercato è il più sviluppato su base globale, si prevede un moltiplicazione per il 2022, ma il valore passerà solo da 31,3 milioni di dollari di quest’anno a 106,5 milioni alla scadenza della previsione.
Quest’anno gli acquisti di adv in programmatic sui podcast raggiungeranno il 4% del totale speso, con un quasi raddoppio (era il 2,2% l’anno scorso) e un altro raddoppio, l’8%, si dovrebbe vedere nel 2022. Ma il totale rimane molto limitato. Vi sono varie ragioni che spiegano questo fatto. Innanzitutto non pochi tra i podcast publisher non hanno ancora adottato le tecnologie necessarie per facilitare gli acquisti automatici, con alcuni, Apple su tutti, che sono restii a condividere con gli inserzionisti i dati dei loro ascoltatori.
Poi vi è anche una ragione strategica, non si sa quanto indotta dalle circostanza avverse: le campagne effettuate puntano in genere alla brand awareness, che ricerca più l’ampiezza della copertura che l’ipertargetizzazione, alla base del concetto stesso di programmatic. Infine gli autori dei podcast preferiscono spesso gli annunci ‘a voce’ , non pianificabili in programmatic, perché li ritengono più efficaci, e soprattutto meno a rischio di abbattere il prezzo medio di vendita, un fattore che continua a pesare molto nel contesto commerciale della pubblicità.