La guerra per il 5G non conosce soste. Dopo che anche il miglior alleato – la Gran Bretagna – ha accettato i componenti Huawei per progettare la propria rete di quinta Generazione, l’elenco dei paesi europei che sono pronti ad accettare prodotti a marchio cinese si allunga: Italia, Francia, Germania, Spagna e gli stati di dimensioni più contenute, a partire dai Paesi Bassi e dal Belgio.
Il fatto è che al momento non ci sono alternative disponibili sul mercato allo stesso prezzo. E contano poco, lo ha dimostrato proprio Boris Johnson, i warning di Washington quando di mezzo c’è lo sviluppo della rete più moderna. Per gli Usa è un posizione nuova, non essere all’avanguardia nella tecnologia a livello mondiale, ma i fatti sono incontestabili: le aziende cinesi sono le prime in questo settore, seguite da due imprese europee, Ericsson e Nokia, che però non appaiono in grado di sviluppare una competizione vincente con la Cina. D’altro canto, gli Stati Uniti sono obbligati a sviluppare alternative globali a Huawei, per evitare ciò i funzionari del governo giudicano considera una inaccettabile minaccia alla sicurezza, ma Washington appare non aver ancora individuato il miglior percorso da seguire a questo fine.
Per questo William Barr, procuratore generale degli Stati Uniti, che in passato è stato un dirigente di Verizon, ha affermato che gli Stati Uniti devono muoversi rapidamente per rendere disponibile lo spettro radio compatibile con il 5G per uso commerciale e disporre di un fornitore alternativo valido per Huawei.
In questo senso Barr ha sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero usare i fondi federali o stimolare investimenti privati per dare un vantaggio competitivo a Nokia e/o Ericsson, i principali rivali di Huawei nella produzione di apparecchiature 5G.
Si tratterebbe, ha detto Barr, di ““mettere il nostro grande mercato e i nostri muscoli finanziari dietro una o entrambe le aziende per renderle un concorrente molto più forte ed eliminare le preoccupazioni sul potere”, di Huawei ça va sans dir.
Tra l’altro, Nokia e Ericsson erano già state anche citate nei giorni scorsi da Larry Kudlow, consigliere economico della Casa Bianca, che le aveva indicate come possibili interlocutrici di un progetto attraverso il quale Microsoft, Dell e At&T avrebbero sviluppato una tecnologia ‘aperta’ in grado di ridurre il dominio della concorrenza cinese, accusata apertamente da Washington di voler utilizzare il 5G come “cavallo di Troia” per prendere il controllo dei sistemi di sicurezza dell’Occidente
Ma l’opinione espressa da Barr è totalmente opposta: si tratta di un approccio “completamente non testato” che “impiegherebbe molti anni per decollare”. “E non sarebbe pronto per l’avvio per un decennio”, ha aggiunto in una nota, “se lo sarà mai”.
Reuters, dal canto suo, ha riferito che Cevian Capital, che detiene una partecipazione dell’8,4 per cento in Ericsson, ha accolto il suggerimento a braccia aperte (sarebbe stato stupefacente il contrario, visto l’attivismo del fondo), dichiarando che lo riteneva ‘chiaramente positivo per la Svezia, la società e gli azionisti’.
Nell’alternanza di dichiarazioni in merito, infine, è da registrare la presa di posizione di una delle aziende citate da Kudlow. Il CEO e presidente di AT&T, Randall Stephenson, ha infatti gettato acqua fredda sul suggerimento di acquistare una partecipazione nei produttori europei di apparecchiature, sostenendo che al contrario si dovrebbe evitare il lock-in dei fornitori.
In un’intervista con CNBC, Stephenson ha affermato che ‘non credo sia una buona idea che i governi entrino in società quotate per spingere verso lo sviluppo di soluzioni private’. Ha aggiunto che il paese dovrebbe invece esplorare soluzioni aperte e basate su software che assicurino di non essere legati a singoli fornitori.
In questo caso, secondo il CEO di At&T, si vincerebbe attraverso l’innovazione del software, non attraverso gli incarichi pubblici.