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Pavel Durov, i quattro passaporti e l’arresto in Francia. Ma la messaggistica di Telegram non è ‘segreta’ come vorrebbe apparire

Telegram
di Massimo Bolchi

Pavel Durov, uno dei fondatori russi di Telegram, è stato arrestato la sera del 24 agosto in Francia nell’ambito di un’indagine su reati legati alla pornografia infantile, al traffico di droga e alle transazioni fraudolente sulla piattaforma. Ma trascuriamo per un momento l’ammontare impressionante della accuse, e l’implementazione del non detto – cioè di chi sia la responsabilità di un’app di messagistica (o social, Telegram è un ibrido delle due) per i reati che tramite quella messaggistica si compiono, e guardiamo alla ‘segretezza’ dei messaggi, una delle ragioni, se non la principale, del successo commerciale di Telegram.

Innanzitutto non è Pavel Durov, l’immagine accettabile – per lo meno fino all’arresto – di Telegram, ma il fratello Nikolai il ‘nerd’ responsabile per la crittografia di Telegram: si dice che i due fratelli – molto legati a quanto sembra – si siano divisi gli algoritmi di decrittazione a metà come assicurazione selle vita.

Ma mentre Pavel sembra fare collezione di cittadinanze: oltre a quella russa, possiede i passaporti di Saint Kitts and Nevis, degli Emirati Arabi e della Francia, il fratello è rimasto saldamente in Russia, dove lavora come senior researcher al Laboratorio di Algebra presso il Dipartimento di San Pietroburgo dell’Accademia Russa delle Scienze. Forse è per questo – per chi vuole crederci – che il Rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite a Vienna, Mikhail Ulyanov, ha accusato la Francia di agire come una Nazione ‘totalitaria’, definendo Durov ‘ingenuo’ per aver creduto alle promesse occidentali di difendere la libertà di parola. Ma contestazioni al provvedimento sono arrivata amche da persone agli estremi opposti del quadro politico, cone Elon Musk e Edward Snowden, sempre in difesa dal ‘free speech’, sia pure da angolazioni differenti.

La segretezza di Telegram non è poi così garantita…

Molto più probabile che la difesa ‘anticipata’ della Russia sia invece dovuta al fatto che i due fratelli possiedono insieme le chiavi per decifrare Telegram, usato, oltre che dai criminali descritti nell’atto di accusa, che dai militari russi e da quelli ucraini, dai dissidenti di tutto il mondo, e dai corrispondenti di guerra, ufficiali e e volontari, sui due lati del fronte. Chi mettesse la mani su questo ‘bottino’ farebbe un colpo sensazionale: tutte le registrazioni negli anni dei messaggi scambiati sono custodite, criptate, sui server di Telegram, dislocati nei diversi paesi per rendere molto difficile un’azione giudiziaria di confisca fisica degli stessi.

Il criptaggio end-to-end dei messaggi su Telegram viene attivato solo quando richiesto, in casi particolari, ma la grande maggioranza è nella mani dei due fratelli Durov. Non è per caso che ai funzionari dell’Unione Europea era stato richiesto – anni fa – di utilizzare esclusivamente la messaggistica di Signal e la sua criptazione garantita end-to-end, al posto dei più diffusi Whatsapp o Telegram, appunto. Telegram, in particolare, supporta solo facoltativamente la crittografia end-to-end (E2EE) per le chat dirette, utilizzando una funzione chiamata ‘chat segrete’, ma queste sono disattivate come impostazione predefinita, e devono essere avviate manualmente. Inoltre, per ragioni non conosciute, Telegram ha anche deciso di creare un proprio protocollo per la crittografia end-to-end, che è stato sviluppato da persone non riconosciute come ‘esperte’ del settore e che non è stata sottoposto a verifiche di vulnerabilità da parte di criptatori indipendenti.

Pavel Durov, in secondo momento, è stato posto in libertà vigilata, a fronte di una garanzia di 5 milioni di euro e un obbligo di presentarsi in una stazione di polizia due volte a settimana: non proprio condizioni ostative per una persona che è accreditata di un patrimonio personale di 15 miliardi di dollari e dispone, come abbiamo visto, di numerosi passaporti e aerei personali.

L’inchiesta tardiva della UE

Tralasciando comunque la questioni legate ai servizi segreti e agli intrighi, va notato che anche la UE, inizialmente estranea alla vicenda – sono questioni tra la Francia e una suo cittadino, era stato il commento iniziale – ha aperto a sua volta un’inchiesta sul numero di iscritti a Telegram nell’unione, sospettando che le risposte evasive ottenute fossero solo un modo per evadere all’obbligo di diventare ‘gatekeeper’ superando di 45 milioni di europei iscritti: la app aveva dichiarato a febbraio di avere 41 milioni di utenti nell’Ue. Ai sensi del Digital Services Act (DSA) dell’UE, Telegram avrebbe dovuto fornire un numero aggiornato questo mese, ma non l’ha fatto, dichiarando solo di avere “significativamente meno di 45 milioni di destinatari attivi mensili medi nell’Unione”.

La nuova indagine della UE si pone l’obiettivo di rispondere in modo certo a questo dubbio, poiché in caso di superamento della soglia si avrebbero maggiori obblighi in materia di conformità e moderazione dei contenuti, audit di terze parti e condivisione obbligatoria dei dati con la Commissione europea.

Telegram perde mezzo milione di dollari al giorno

Un altro fronte caldo per la app di messaggistica si è aperto con la pubblicazione di un’analisi del suo bilancio effettuata dal Times, proprio quando la società – che conta appena 50 dipendenti, di cui 30 ingegneri informatici – lavora alla sua quotazione in Borsa a partire dalla prima metà del 2026. Nel 2023 ha chiuso con 342 milioni di dollari di ricavi e una perdita operativa di 108 milioni che sale a 173 milioni dopo le tasse, quindi 473.972 dollari al giorno di media.

A titolo di confronto, ricordiamo che – benché non basati su numeri ufficiali – la rivale Whatsapp, con oltre due miliardi di utenti contro una stima di soli 800 milioni per Telegram, ha una fatturato valutato da Forbes intorno ai 5 miliardi di dollari. Al momento la app è interamente posseduta dai Durov, ma la società ha emesso titoli di debito per trovare finanziamenti, raccogliendo circa 2,4 miliardi di dollari con scadenza nel 2026. Tra i maggiori sottoscrittori ci sono i fondi governativi di Abu Dhabi, uno dei paesi che ha ‘graziosamente’ donato la cittadinanza a Pavel.