di Massimo Bolchi
OpenAI ha creato una linea di credito revolving da 4 miliardi di dollari, con un consorzio di banche, il giorno dopo aver annunciato un round di raccolta fondi da 6,6 miliardi di dollari con importanti aziende tecnologiche: Nvidia, insieme a Microsoft, SoftBank Group e MGX di Abu Dhabi, ha partecipato al round di finanziamento, portando la valutazione di OpenAI a 157 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda il credito, l’azienda ha dichiarato in un blog corporate che JPMorgan Chase, Citi, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Santander, Wells Fargo, SMBC, UBS e HSBC hanno attivato la linea di credito, sottolineando che l’azienda ha ora “accesso a oltre 10 miliardi di dollari di liquidità, il che ci dà la flessibilità di investire in nuove iniziative e di operare con piena agilità mentre scaliamo per dimensioni”. Molte di queste istituzioni finanziarie, che alimentano la linea di credito, sono anche clienti di OpenAI, come ha orgogliosamente dichiarato il direttore finanziario Sarah Friar.
Tutto bene quindi, secondo quanto il comunicato di OpenAI: crescono gli investitori, cresce la valutazione dell’azienda, crescono le release software di ChatGPT: settimana scorsa, per esempio, è stata svelata un’interfaccia battezzata ‘canvas’, che apre una finestra separata, accanto alla normale finestra di chat, con un’area di lavoro ideata per progetti di scrittura e di codifica. Canvas è stato distribuito in versione beta agli utenti di ChatGPT Plus e Teams giovedì mentre per gli utenti di Enterprise ed Edu sarà disponibile la prossima settimana negli USA.
Il rovescio della medaglia è rappresentato però da due ostacoli a questo scenario di ben finanziata ‘crescita infinita’: da una parte l’incremento esponenziale dei costi di sviluppo dei foundation model per la GenAI, dall’altra il passaggio, sotto traccia ma ben presente nella mente del Ceo Sam Altman, dalla attuale forma mista della società, che prevede un limite ai guadagni degli investitori, a una forma invece esplicitamente ‘for profit’ dell’azienda. Ma esaminiamoli separatamente, perché rispondono a logiche differenti.
Capitolo primo: i costi crescono esponenzialmente
OpenAI ha avuto una grande vantaggio temporale con il lancio di ChatGPT a Novembre 2022 e le sue entrate sono aumentate rapidamente. Secondo i documenti finanziari esaminati dal New York Times, quest’anno la start-up prevede un fatturato di circa 3,7 miliardi di dollari. , con circa 1.700 dipendenti, dopo averne aggiunti più di 1.000 negli ultimi nove mesi, il che dà un’idea del dinamismo dell’azienda.
Ma OpenAI sta perdendo comunque miliardi di dollari, tuttavia, a causa dei costi elevati per la costruzione e il funzionamento delle tecnologie AI. Secondo un’analisi dei documenti effettuati dai professionisti finanziari, l’azienda prevede quest’anno di perdere circa 5 miliardi di dollari dopo aver pagato i costi di gestione dei servizi e le altre spese.
Gli investimenti necessari sono destinati a crescere perché il progresso dei modelli linguistici sta facendo aumentare sia i costi di sviluppo sia quelli del loro funzionamento. In una recente intervista, infatti, l’amministratore delegato di Anthropic, uno dei più agguerriti competitor di OpenAI, l’italo-americano Dario Amodei, ha spiegato che alcuni modelli linguistici esistenti o in fase di sviluppo costano ormai un miliardo di dollari e si attende che il costo aumenti fino a dieci (o addirittura cento) miliardi di dollari nei prossimi anni.
In più lo scenario competitivo si va affollando: solo per citare i maggiori concorrenti di ChatGPT, spiccano Claude (Antropic), Perplexity e Gemini di Google, per non nominare anche CoPilot di Microsoft – che con difficoltà può esser considerato un concorrente, visti gli investimenti di oltre 13 miliardi di dollari in OpenAI – e le versioni open source come Llama di Meta. In questo tumultuoso mercato è arrivata la notizia delle dimissioni di Mira Murati, il CTO di OpenAI.
Capitolo secondo: il passaggio da no profit a un modello misto: adesso verso il ‘for profit’?
Quando è nata nel 2015 OpenAI era una no profit company, sostenuta solamente dagli azionisti, tra i quali Elon Musk e lo stesso Altman, senza nessuna prospettiva di dividendi da condividere: tutti gli utili sarebbero stati reinvestiti per far crescere l’azienda e per ‘il beneficio dell’umanità’. Questa formula è durata ben poco: già nel 2018, Musk abbandona la start up dopo aver tentato senza successo di scalare l’azienda. E allora Altman escogita la soluzione dello spacchettamento: una società classicamente no profit, da cui dipende una società for profit ma con ‘guadagni limitati’, con gli azionisti che non possono recuperare più di 100 volte il loro investimento iniziale. L’eccesso deve tornare alla capogruppo, sempre per ‘beneficio dell’umanità’.
Ma il clima all’interno di OpenAI è rimasto teso per anni, e il contrasto tra le diverse anime della società è culminato in una crisi, nel nel novembre del 2023, con il ‘licenziamento’ di Altman, da parte del Consiglio di amministrazione, che lo accusò di non essere stato sempre sincero nelle sue comunicazioni, e la nomina di Murati a Ceo temporaneo. Il licenziamento venne annullato dopo pochi giorni per le pressioni degli investitori, Microsoft in prima fila, e il consiglio di amministrazione fu in parte rinnovato e ampliato, eliminando anche alcune voci più critiche e caute, e dando più potere ad Altman. John Schulman ha da poco lasciato OpenAI per la rivale Anthropic; Andrej Karpathy ha lasciato per Tesla e Jan Leike, anche lui ad Anthropic. A cui si sono aggiunti i nomi di Mina Murati, a fine settembre, e quelli di Ilya Sutskever , che ha lasciato lo scorso maggio per fondare la startup Safe Superintelligence (SSI), e di Greg Brockman ha preso un periodo di pausa dalla società. Della squadra di undici persone che fondarono l’azienda nel 2015, oltre ad Altman, è rimasto solo il ricercatore polacco Wojciech Zaremba.
Secondo Bloomberg, la riorganizzazione aziendale di OpenAI non avrebbe solo un valore simbolico con l’uscita di tutti (o quasi) i soci fondatori, ma garantirebbe ad Altman una partecipazione azionaria del 7% nella società. La società si trasformerebbe nel medio periodo, a tutti gli effetti, in una for profit company, probabilmente entro la fine dell’anno prossimo, anche per rispettare i termini legali del nuovo round di investimenti: OpenAI avrebbe due anni di tempo per diventare un’azienda a scopo di lucro o il suo finanziamento si trasformerà in debito, secondo alcuni documenti esaminati dal NY Times.