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Luciano Floridi, Yale University: “L’AI sembra intelligente perché le abbiamo costruito intorno un mondo artificiale dove può muoversi con successo”

Luciano Floridi, docente alla Yale University e all'Università di Bologna
Luciano Floridi, docente alla Yale University e all'Università di Bologna
di Massimo Bolchi

“Vorrei instillare un dubbio riguardo alla straordinarie prestazioni dell’intelligenza artificiale”, esordisce così al convegno di Assolombarda sull’AI Luciano Floridi, Founding Director of the Digital Ethic Center alla Yale University. “Un dubbio da ‘filosofo’, e si sa che, a partire da Socrate, non è che i filosofi abbiamo goduto di grande considerazione: l’AI è davvero intelligente?“.

“Perché, ad ascoltare quelli che ce le raccontano – ma un piccolo sospetto di conflitto di interessi dovrebbe sorgere spontaneo – da questo ‘matrimonio della storia’- tra biologia e ingegneria – si sta creando qualcosa che assomiglia all’intelligenza umana o addirittura la supera”, riprende Floridi. “Ma in realtà non di un unione stiamo parlando, ma di un divorzio: tra la capacità di agire con successo, in vista di un qualsiasi fine, e la necessità di essere intelligente nel farlo. E questo è straordinario, non è mai accaduto prima, perché ogni volta che si provava a fare qualcosa a intelligenza zero, il risultato è stato un disastro. Qualsiasi fosse il task: giocare a scacchi o guidare l’automobile a intelligenza zero, l’output era sempre lo stesso”.

“E allora perché l’AI funziona? Perché abbiamo trasformato il mondo intorno a essa. Non è vero che stiamo creando delle cose che vanno nel mondo e fanno cose al posto nostro, stiamo sempre più creando un mondo su misura del successo di queste ‘cose’. Siccome non si può far vedere con un software, facciamo un esempio con i robottini impiegati nel warehousing. Qui lo spazio non è per gli umani, che non possono neppure camminarci sopra, ma è perfetto per il robottino che lavora 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, senza ferie e sindacati tra i piedi. Oppure per la raccolta delle fragole. Non è l’androide che arriva e raccoglie i frutti: il campo di fragole, idroponico, è stato costruito su misura per il robot e l’essere umano non può più nemmeno fare questo lavoro. L’AI si muove così, in uno spazio predisposto per lei e non il contrario“.

“Oggi l’intelligenza artificiale non è più una branca della scienza cognitiva, come ci viene raccontato, è una branca dell’ingegneria, che non si pone neppure la domanda se sia intelligente oppure no. La questione è se svolga il lavoro che deve fare, con efficienza. Lo fa intelligenza zero? Chi se ne importa”, prosegue Floridi. “È un punto di non ritorno: tra cent’anni ci saranno ancora più capacità di agire a zero intelligenza. Se questo delta si va allargando, allora come gestiamo questa capacità di agire, che cosa ci facciamo, quali problemi le facciamo risolvere e quali compiti daremo ad essa da affrontare?”.

“Questi tre concetti, cioè il design, il management e il controllo, saranno anche gli impieghi del futuro: lì i lavori si stanno moltiplicando e mancano le persone, mancano gli skill: la disoccupazione che esiste nell’Unione non è da mancanza di domanda, è prodotta da un misalignment tra domanda e offerta. Questo l’hanno capito quasi tutti, tranne i governanti, che continuano a pensare a interventi di tipi keynesiano, assolutamente fuori luogo”, conclude Floridi. “Servirebbe invece una formazione specifica, capace di integrare l’AI in azienda. Che non è come prendere un ‘pezzo’ di artificial intelligence, metterlo nell’impresa e stare a veder quello che accade. Ciò che è utile, invece, è la capacità, quasi sartoriale, di gestire ogni singola operazione in una data azienda. E che la formazione non sia ‘top down’, con il classico corso di 100 ore, quando va bene, per usare un LLM, senza coinvolgere le persone che quei processi avevano imparato fare propri nel corso degli anni”.